Cosa dicono le linee guida del Miur sull’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni

Il 18 aprile 2018 InGenere pubblica un’intervista di Rossella Ghigi a Giulia Selmi (Educare alle differenze) sul recente piano del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (Miur) “per l’educazione al rispetto” e sulla pubblicazione delle linee guida per promuovere nelle scuole “l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni”.
Ghigi sottolinea l’ingente somma di 8,9 milioni di euro investita, per la prima volta per la scuola, in corsi di formazione e misure varie a questo scopo e chiede una valutazione del piano, cioè “se queste misure saranno sufficienti a sostenere effettivamente la trasformazione in corso nella scuola”.
I soldi vanno bene, risponde Selmi, ma le “coordinate culturali” no, e perché? Perché nelle linee guida secondo lei si “parla di una sola differenza, quella tra maschi e femmine, raccontata ancora in modo complementare e piuttosto essenzialista.” Come possa essere “piuttosto essenzialista” non è chiaro.
“Le differenze, che includono sia una pluralità di modi di essere maschi e femmine che va oltre il binarismo, sia la varietà di orientamenti sessuali, di abilità, di classe, di origine, di fatto non ci sono. Nel testo non si parla, ad esempio, di bullismo omofobico. Per il cyberbullismo hanno fornito delle linee guida separate, ma ben poco anche quelle parlano di omofobia.”
Basta andare sul sito Miur per rendersi conto che negli ultimi anni si sono fatte campagne nelle scuole esclusivamente contro il bullismo (7 febbraio 2017 ultima giornata nazionale contro il bullismo a scuola, ma sono anni che si fanno) e contro l’omofobia (2015 campagna nazionale).
Se si leggono attentamente queste linee guida, già nella premessa si legge che sono un atto dovuto a cui il governo si è impegnato nella Legge 107 del 2015 (contro il femminicidio) che recita esattamente l’obbligo a fornire "l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni".
Nelle stesse si legge inoltre che il Documento di indirizzo su Cittadinanza e Costituzione (n. 2079 del 4 marzo 2009) impegna tra le altre cose la scuola a educare in modo da “identificare stereotipi e pregiudizi etnici, sociali e culturali presenti nei propri e negli altrui atteggiamenti”.
Va precisato che le linee guida sono un atto ufficiale del Ministero e devono rappresentare quindi un punto di vista alto e fondato su principi che tutti/e i/le cittadini/e italiani/e sono tenuti/e a rispettare, una cosa piuttosto diversa dalle opinioni di un gruppo di associazioni che si riunisce sulla base di scelte e convinzioni legittimamente diverse e non necessariamente condivise da tutti/e.
Cosa c’è che non va quindi in queste linee guida (liberamente consultabili sul sito del Miur) alla cui stesura chi scrive ha partecipato per lunghi mesi?
Si comincia con una affermazione “Nascere uomini o donne crea appartenenze forti, è la pietra angolare dell’identità, informa di sé l’intero orizzonte esistenziale.” Non è una valutazione, è un fatto difficilmente smentibile… “piuttosto essenzialista”?
Più avanti si legge “la prima differenza che sperimentiamo nella nostra vita, ci è stata di solito trasmessa come gerarchica e tale diventa il modello che profondamente interiorizziamo, differenza come disuguaglianza: se c’è una differenza, allora qualcuno è migliore e qualcuno è peggiore e, soprattutto, c’è una dimensione di potere dell’uno sull’altro. Dalla differenza come disuguaglianza gerarchica discende la relazione nella forma del dominio, che produce discriminazioni e che in italiano (e in altre lingue) risulta simboleggiata e insieme costruita anche dalla pratica linguistica.”
Il ragionamento dunque poggia sull’idea che il rapporto di potere uomo/donna su cui si basa la nostra cultura ci impedisca di sperimentare l’idea stessa di differenza come varietà tra pari, come ricchezza e non come dominio: una esperienza precocissima e non detta che orienta profondamente il modo di essere di tutti, uomini e donne. Da qui discendono tutte le altre esperienze per cui ogni differenza è gerarchizzata e la violenza è implicita nel gioco.
Ma il punto della critica sembrerebbe proprio questo: non si deve più parlare di differenza uomo/donna, il potere patriarcale non va denunciato, anche se tutto intorno a noi dice che in Italia (e non solo) le donne sono ancora discriminate, oggetto di violenza, abusate, molestate e se sappiamo bene che tutta la società ne è impoverita in ogni senso. E vediamo anche che sembra ancora normale che le donne siano tenute fuori dai luoghi dove si esercita il potere e si decide il destino di tutti/e.
Sono decenni che la scuola non si occupa di questo cruciale fondamento della nostra società, ma se il Miur ottempera al suo dovere e stanzia fondi importanti rispetto ad una legge contro il “femminicidio”, punta dell’iceberg di una diffusa violenza sulle donne, viene criticato perché non obbedisce alla political correctness del momento.
Noi abbiamo invece ritenuto molto importante che in un documento ufficiale dello stato, non in un convegno di studi per pochi, si affermi che “è opportuno ribadire che 'maschio' e 'femmina', che connotano l’identità (l’essere) della persona, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti. Ci sono molti modi di essere donna e altrettanti di essere uomo. Si può essere uomini e donne in modo libero e rispettoso di sé e degli altri senza costringere nessuno dentro un modello rigido di comportamenti e di atteggiamenti”.
Così come è rilevante che, nello stesso documento, ci sia una lunga analisi della violenza sulle donne e delle sue profonde radici culturali, negli uomini e nelle donne, su cui la scuola ha il dovere di intervenire perché non si tratta di un fatto privato.
Abbiamo una scuola in cui si insegna senza problemi una cultura neutra dalla quale le donne sono cancellate, in cui una maggioranza assoluta di insegnanti donne continua a trasmettere una storia cui apparentemente le donne non hanno preso parte, nella quale vige la pratica della segregazione educativa per cui le ragazze sono indirizzate verso le professioni della cura e i ragazzi verso la scienza e la creatività. Eppure, ogni volta che si prova a mettere al centro questo come un tema fondante e discriminante ci tocca sentir dire che “si parla di una sola differenza”.