Nella crociata contro gli studi di genere, le associazioni di matrice cattolica e i neoconservatori hanno spesso portato il 'paradosso norvegese' a sostegno dei loro argomenti. Ma si tratta di un equivoco, nato da un caso di cattiva informazione

Negli ultimi anni si è assistito in Italia, così come in altri paesi, a una forte campagna di mobilitazione contro la cosiddetta 'ideologia del gender' o 'teoria del gender' portata avanti da varie associazioni di matrice cattolica integralista o di appartenenza politica neoconservatrice. Tra i principali obiettivi della campagna vi sono gli interventi in ambito scolastico finalizzati a contrastare gli stereotipi di genere anche al fine di promuovere una maggiore equità nelle scelte scolastiche e professionali. Un caso esemplare è quello della recente cancellazione dei corsi realizzati nelle scuole della provincia di Trento, dove ho avuto occasione di trascorrere un lungo periodo come visiting professor. Provenendo dalla Norvegia sono rimasta particolarmente colpita dal fatto che tra le ragioni che venivano addotte da questi movimenti venisse spesso richiamato anche il cosiddetto 'paradosso norvegese'. Ritenendo importante fare chiarezza su questo tema, provo a fornire alcuni elementi informativi.
Narrazioni dall’esterno
Tra le principali 'prove' che vengono portate al fine di dimostrare l’inconsistenza degli studi di genere vi è il documentario norvegese Brain wash (Lavaggio del cervello), andato in onda nel 2010. Il documentario, condotto dal comico e sociologo Harald Eia, aveva come sottotitolola frase Nato così o diventato così ed era stato realizzato con il principale obiettivo di dimostrare come biologia e teoria evolutiva fornissero risposte migliori e più approfondite rispetto agli studi sociali e culturali. Il primo episodio Paradosso sull’uguaglianza di genere si occupava della segregazione di genere nel mercato del lavoro in paesi con elevata parità di genere.
Al di là dell’impatto che il documentario ha avuto in Norvegia, è importante capire come esso sia stato utilizzato in altri paesi e in particolare in Italia e diffuso attraverso il web da siti e pagine legate a gruppi e soggetti impegnati nella campagna 'anti-gender', per costruire una narrazione di delegittimazione nei confronti degli studi di genere. Su La nuova bussola quotidiana Costanza Tognini ad esempio scrive: “Uno degli effetti immediati del documentario è stata la decisione, da parte del Consiglio dei ministri dei paesi nordici di tagliare i fondi al Nordic Gender Institute, provocandone la chiusura”. Si tratta in realtà di una informazione falsa, come ho potuto verificare contattando Linda M. Rustad, direttrice del sito Kilden genderresearch.no, che rappresenta un centro nazionale sulle prospettive di genere e l'equilibrio di genere nella ricerca. Rustad mi ha informato che avendo ricevuto diverse segnalazioni in tal senso aveva deciso di pubblicare un articolo per fornire la versione corretta di quanto avvenuto.
La ricerca di genere in Norvegia, un’esperienza consolidata
L’articolo pubblicato su kilden no 24 nell'aprile 2019, racconta dunque un’altra storia, questa volta vista dall’interno. Il Nordic Gender Institute (NIKK) è un'istituzione nata nel 1995 con l’obiettivo di sviluppare conoscenza su genere e uguaglianza di genere e costituire un collegamento tra la ricerca e le politiche in materia di equità di genere. Nel 2011 il Consiglio dei ministri nordico ha deciso di ristrutturare NIKK, trasformandolo da Istituto a Programma di cooperazione. È stato lanciato un bando pubblico per la gestione del programma, che è stato vinto dal segretariato nazionale per la ricerca di genere e dall'Università di Göteborg. Il nome è stato cambiato in Institute for Women and Gender Research and Information for Gender Knowledge.
Anche l'affermazione secondo cui il Consiglio di ricerca norvegese avrebbe abbandonato il suo programma di ricerca di genere sulla scia del programma Brainwash è falsa. Secondo il direttore Jesper Simonsen la decisione di non continuare i precedenti programmi di ricerca di genere era stata presa ben prima che il programma televisivo Brainwash andasse in onda. Le autorità norvegesi stanno in realtà ancora finanziando la ricerca di genere, ma lo fanno ora in un’ottica di gender mainstreaming, come parte dei programmi esistenti. Va inoltre ricordato che la ricerca di genere è un settore consolidato in Norvegia e che le più grandi università hanno i loro centri per la ricerca di genere.
“Non sembra così bello”
A seguito del programma Brain wash il presentatore Harald Eia è diventato un eroe all’interno degli ambienti anti-femministi e neo-conservatori. “Non sembra così bello”, sostiene tuttavia in un’intervista su kilden del 24 aprile 2019, considerando un problema il fatto che gruppi antifemministi utilizzassero parti del suo documentario per legittimare le loro dottrine. Eia sottolinea che il programma era stato pensato per il pubblico di un paese, la Norvegia, “dove è normale essere femminista” e che oggi avrebbe scelto un metodo leggermente diverso nelle interviste con i ricercatori sul genere. “Le domande che mi sono state poste sono state inserite in un contesto diverso che non è stato visualizzato”, ha inoltre sostenuto una delle ricercatrici intervistate da Eia. Il documentario era costruito in modo tale da valorizzare i contributi dei biologi comportamentali e degli psicologi evolutivi, collocati presso prestigiose sedi accademiche, e delegittimare i ricercatori di genere, rappresentati come “post-strutturalisti senza direzione”, sosteneva Håvind nel 2010. Il programma in realtà non aveva lo scopo di divulgare risultati di ricerca, ma veniva “pubblicato da un narratore non scientifico con conseguenze politiche distruttive”, commentava Dussauge nello stesso anno. La drammaturgia del programma era “una battaglia tra il bene e il male, in cui Eia era l’eroe che ci salva dal male, e il cattivo era lo scienziato norvegese” era stato il commento di Sletteland nel 2011. Come è noto, infatti, le narrazioni semplici ed emozionanti sono più facili da vendere.
Che cos’è in realtà il “paradosso norvegese”
In effetti in alcuni studi sul mercato del lavoro si parla di 'paradosso di genere' in riferimento alla realtà norvegese (o a quella scandinava più in generale), ma con una accezione piuttosto diversa da quella a cui si è fatto riferimento fino a qui. L’espressione 'paradosso dell’equità di genere' ha in realtà un significato differente da quello che è stato utilizzato per demonizzare gli studi di genere attraverso il documentario Brain wash. Essa è stata in realtà coniata per descrivere la relazione apparentemente conflittuale tra uno stato sociale impegnato sul piano dell’equità di genere e la persistenza di un mercato del lavoro diviso per genere.
Un principio centrale per l'organizzazione della società norvegese è stato infatti quello di liberare gli individui da tutte le forme di dipendenza. Tutti hanno il dovere e devono avere l’opportunità di sostenersi attraverso il lavoro retribuito, anche per contribuire alle entrate fiscali in modo che lo stato sociale possa offrire molti servizi di welfare ai cittadini. La Norvegia è considerata uno dei paesi più egualitari al mondo, al secondo posto dopo l'Islanda nel 2018 per il World Economic Forum. Il paese è un pioniere in termini di politiche di genere. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro negli anni ’70 è proceduto in parallelo con la crescita del welfare norvegese. Molte donne hanno iniziato a lavorare in occupazioni legate ad attività che avevano precedentemente svolto in modo non retribuito a casa, come insegnanti, maestre d’asilo ecc. Nel 2018, il 70% delle donne lavorava nel settore pubblico. La crescita delle professioni di servizio e del settore pubblico ha contribuito all'alto tasso di occupazione femminile: 77 % (25 ai 66 anni e 83% per gli uomini).
Tuttavia, esistono alcune criticità: il settore pubblico ha una struttura di carriera più piatta e questo può rappresentare una trappola per la carriera delle donne. Inoltre, le professioni del pubblico in cui le donne sono presenti hanno spesso un reddito inferiore rispetto alle professioni del privato. E ancora, molte donne lavorano con contratti part-time, anche se nel tempo la percentuale è diminuita, arrivando al 37%.
La consistente entrata delle donne nel mercato del lavoro norvegese è stata dunque inizialmente accompagnata anche da una generale tendenza alla segregazione di genere. Tuttavia, la desegregazione negli ultimi anni ha spostato la Norvegia dal gruppo di paesi altamente segregati a quelli moderatamente segregati. Oggi le donne sempre più scelgono occupazioni che erano precedentemente dominate dagli uomini e la quota delle donne nelle posizioni dirigenziali è in aumento. Un decennio con una quota obbligatoria del 40% di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate ha funzionato bene.
Le donne inoltre oggi occupano un posto centrale nella leadership politica in Norvegia e attualmente il paese ha una prima ministra e una ministra delle finanze e degli esteri, in un governo in cui il 45% dei ministri sono donne. Nonostante dunque rimangano ancora aperte diverse sfide rispetto al raggiungimento di una piena equità di genere, la Norvegia continua a rappresentare un importante modello di riferimento mondiale sul piano delle pari opportunità tra donne e uomini. Prenderla ad esempio per dimostrare l’inutilità delle politiche di genere rappresenta una chiara manipolazione della realtà.
Riferimenti
Dussauge, Isabelle (2010) Harald Eia & Ole-Martin Ihle: Født sånn eller blitt sånn? [“Nato così o diventato così”] Recensione. Tidsskrift for kjønnsforskning, 34(4), 433-444.
Ellingsæter, Anne Lise (2013) Scandinavian welfare states and gender (de)segregation: Recent trends and processes. Economic and Industrial Democracy, 34(3) 501-518.
Haavind, Hanne (2010) Harald Eia & Ole-Martin Ihle: Født sånn eller blitt sånn? ? [“Nato così o diventato così”] Recensione. Tidsskrift for kjønnsforskning, 34(4), 424-432.
Sletteland, Anja (2011) Hjernekrigens kortslutning.[Untranslatable: On the Norwegian popular science TV-show Hjernevask/Brainwash. Samtiden 10/13.
The Global Gender Gap Report, World Economic Forum (2018)
Women and men in Norway, Statistics Norway (2018)