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Le donne sono state protagoniste di molte delle inziative pacifiste portate avanti in maniera congiunta tra Israele e Palestina. Negli ultimi anni molte di queste iniziative sono naufragate, una riflessione su successi e insuccessi nel nome di Jerusalem Link

Jerusalem Link
Femminismo tra Palestina e Israele

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photo by Omar Chatriwala on http://www.worldpolicy.org/

Nonostante la letteratura mainstream contemporanea e il conseguente dibattito politico abbiano enfatizzato il confine tra le comunità etno-nazionalistiche che vivono in terra di Palestina/Israele, il significato originario di “inestricabilità” tra arabi ed ebrei, palestinesi ed israeliani, espresso dal grande intellettuale Edward Said nel 1999, descrive ancora efficacemente un percorso molto più stimolante da seguire.

Intorno al 1880, ai tempi del primo Aliyah[1], presero piede strette interrelazioni e iniziative condivise sia a livello teorico che pratico tra arabi ed ebrei che, da allora, non si sono mai interrotte. Le donne sono spesso state le protagoniste delle azioni sul campo. Anche se queste azioni hanno coinvolto solo piccole minoranze delle due popolazioni, la collaborazione, le lotte e i progetti portati avanti con l'obiettivo comune di superare la contrapposizione di identità hanno rappresentato una delle poche alternative in grado di contrastare e superare il consolidamento delle narrazioni etno-nazionalistiche nella regione.

Nell'ultimo decennio la maggior parte di queste inziative sono crollate, facendo sorgere dubbi sul loro reale valore e innescando controversie sui loro effetti sulla vita quotidiana della gente comune. Questi insuccessi hanno evidenziato l’esigenza di decostruire le concezioni dominanti sugli Stati-nazione e sulle identità etno-nazionalistiche e le loro prospettive di riconoscimento e riconciliazione in relazione alla continua asimmetria tra "occupante” e "occupati”.

Nel periodo compreso tra il cosiddetto processo di “costruzione della pace” di Oslo nel 1993 e il riemergere di feroci combattimenti alla fine di settembre 2000, sono ebbero luogo molte di queste attività comuni, i cosiddetti progetti People-to-People, che sfidavano lo status quo dell’occupazione militare. Parallelamente, durante gli anni ’90, il concetto di “normalizzazione”, entrato nel linguaggio comune dopo il trattato di pace egiziano-israeliano nel 1979, assumeva connotazioni negative, suggerendo, falsamente, che le relazioni tra palestinesi e israeliani fossero “normali” e implicando, altrettanto falsamente, che l'occupazione militare fosse finita. Jerusalem Link è uno dei progetti People-to-People più famoso ed è stato realizzato da donne palestinesi e israeliane nell’area di Gerusalemme. 

Considerato il vero frutto degli Accordi di Oslo,  Jerusalem Link viene considerato l'emblema del fallimento delle iniziative congiunte israelo-palestinesi. L’inizio di questo progetto risale alla prima conferenza ufficiale indetta sulla base del dialogo tra sessanta donne ebree-israeliane e palestinesi della Cis-Giordania, Striscia di Gaza e della diaspora. La conferenza era intitolata Give Peace a Chance - Women Speak Out (Date una possibilità alla Pace – La parola alle donne) e si svolse a Bruxelles nel maggio del 1989. Durante la prima Intifada il dispiegarsi di un panorama politico promettente creò le condizioni per la diffusione di pratiche di solidarietà femminista. 

Alcuni anni dopo, nel 1993, uno dei programmi congiunti delle donne più noti e riconosciuti a livello internazionale, il Jerusalem Link, venne creato tra donne israeliane rappresentate da Bat Shalom (Figlia di Pace) e le donne palestinesi del  Markaz al-Quds la l-Nissah (Jerusalem Center for Women - JCW).  Fino a poco tempo fa i due centri delle donne hanno continuato a mantenere il controllo sul proprio personale e sulle proprie strategie interne, accettando di lavorare sia insieme che separatamente. Questa scelta si basa sul desiderio di incoraggiare la collaborazione e mantenere allo stesso tempo la propria autonomia. Almeno a livello teorico, le due organizzazioni hanno promosso una visione condivisa dei valori fondamentali come ad esmpio: il riconoscimento dell’autodeterminazione del popolo palestinese, l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente accanto ad Israele in linea con la legge internazionale e, tema più controverso, la convivenza a Gerusalemme. Nel perseguire questi obiettivi, hanno tentato di sviluppare uno spazio esclusivo nel quale le loro esperienze potessero generare un impatto più ampio sulle due società attraverso “continue tensioni e rammendi” (Emmett, 2003: 16). Per riuscire a tradurre le analisi teoriche in pratiche quotidiane (Yuval-Davis, 1999) il processo politico delle “politiche trasversali” ha reppresentato uno strumento fondamentale. Sottolineando la pluralità dei loro ambienti e dei loro valori attraverso la condivisione di progetti comuni mirati ad una equa risoluzione del conflitto le attiviste hanno messo in discussione i confini e i limiti esistenti tra e nell’ambito di identità narrate come contrapposte. Tenendo a mente altri esempi storici di attivismo pacifista delle donne, come le Madres de Plaza de Mayo in Argentina e le Black Sash in Sud Africa, hanno esaminato criticamente il legame tra etno-nazionalismo militarizzato e diritti delle donne, sottolineando in particolare le modalità con le quali l’occupazione militare israeliana ha oppresso le donne della Cis-Giordania. della Striscia di Gaza e anche della stessa Israele (Cockburn, 2007).

Arrivando ai tempi più recenti, il progetto Jerusalem Link ha continuato a riflettere gli atteggiamenti egemonici presenti nel processo decisionale israeliano che incidono sul fronte palestinese, mantenendo un divario tra le proposte iniziali e quello che c'era veramente bisogno di fare. Di conseguenza, molte donne palestinesi hanno criticato le partner israeliane per aver considerato il lavoro congiunto un'illusione "normalizzata" di parità, invece di riflettere sulla crescente discriminazione tra "occupante" e "occupati". Le differenze tra gli obietti perseguiti dalle donne palestinesi e israeliane è stato un altro fattore che ha contribuito a perpetuare le asimmetrie, e questo ha oscurato difficoltà più controverse come il diritto dei rifugiati palestinesi di fare ritorno e sullo status di Gerusalemme.

L’insorgere della seconda Intifada nel 2000 e la più recente Operazione Piombo Fuso del 2008/9 a Gaza hanno sconvolto il quadro generale, sconvolgendo anche le prospettive delle donne su dialogo e lavoro congiunto. Infatti, la brutalità della violenza perpetrata dall’esercito israeliano insieme al costante processo di “normalizzazione” hanno prodotto profonde divisioni e conflitti che hanno avuto la meglio rispetto agli impegni etici delle attiviste politiche del Jerusalem Link. La fine dell'iniziativa riflette le divergenze e le disuguaglianze tra le donne palestinesi e le donne ebree israeliane: le prime sono parte della popolazione che subisce l'occupazione e non ha ancora conquistato l’autodeterminazione mentre le seconde sono cittadine dello stato che ha reso irraggiungibili gli obiettivi fondanti del progetto.

Attualmente, sembra prevalere una fase di crisi sia nei territori palestinesi occupati sia in Israele. Questo è reso evidente dal fatto che l’attuale agenda politica ha portato ad un ulteriore aumento del contenuto militaristico e discriminatorio delle politiche. Questa situazione ha fatto sì che altre iniziative simili promosse da donne, pur nel tentativo di superare le narrazioni etno-nazionalistiche oppressive che incidono sulle identità individuali e collettive, non siano riuscite a smantellare le origini del perdurante conflitto israelo-palestinese, ossia l’asimmetria di potere tra “occupante” e “occupati”.


Riferimenti:

Cockburn, Cynthia (2007), From Where We Stand: War, Women’s Activism and Feminist Analysis, Zed Books, Londra.

Emmet, Ayala H. (2003), Our Sisters’ Promised Land: Women, Politics and Israeli-Palestinian Coexistence, University of Michigan Press, Ann Arbor.

Said, Edward W. (1999), Truth and Reconciliation, Al-Ahram Weekly, gennaio.

Yuval-Davis, N. (1999), What is ‘Transversal Politics’?, Soundings, n. 12, 94-98.



[1] Il termine ‘aliyah’ si riferisce alle diverse ondate di immigrazione ebraica verso la terra della Palestina storica, che hanno avuto luogo a partire dalla fine del XIX secolo, rafforzando i valori del Sionismo politico nella nuova società coloniale. 

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Testo originale in inglese. Traduzione di Francesca Pesce