Per una vera accoglienza le politiche devono ripartire dal diritto alla vita e devono farlo subito. A pochi giorni dall'ultima strage di braccianti ne parliamo con Marialuisa Mancuso, avvocata che da anni si occupa di migrazioni a partire da un territorio difficile, quello della Calabria

Marialuisa Mancuso, avvocata del foro di Catanzaro, si occupa di diritto civile e di diritto dell’immigrazione. Da dieci anni presta consulenza e assistenza in materia di protezione internazionale. È stata consulente legale in materia di diritto d'asilo per organizzazioni e cooperative impegnate nella gestione di progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) in Calabria. Ha svolto attività di ricerca, di orientamento legale e formazione per associazioni impegnate a realizzare progetti europei e regionali di integrazione e inclusione sociale rivolti a richiedenti asilo, rifugiati e mediatori interculturali. Le abbiamo rivolto alcune domande.
In cosa consiste il tuo lavoro di tutti i giorni e come si svolge?
La mia attività è cambiata nel corso degli anni. Le persone che assisto sono, di volta in volta, richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale, sussidiaria e/o umanitaria, esclusi dal sistema accoglienza o provenienti dai diversi progetti Sprar del territorio. Nella generalità dei casi vengo contattata dai miei assistiti telefonicamente con il sistema del passaparola. Ogni assistito, nel campo della protezione internazionale, è portatore di specifici bisogni in ragione della sua personale condizione: posso incontrare donne, donne sole con minori, disabili, uomini, vittime di tratta, vittime di tortura. Molte persone, vivono in paesi distanti o mal collegati con la città di Catanzaro, dove ricevo. Per questo, sono costretti ad alzarsi molto presto per ricevere assistenza legale e soprattutto per non perdere l’unica corsa pomeridiana poi utile per il loro rientro in accoglienza. Durante il primo appuntamento lascio loro tutto il tempo di ambientarsi.
Come avviene il primo incontro e come prosegue poi il percorso?
Di solito prima di entrare nel merito della questione giuridica specifica da trattare, informo la persona che ho davanti sulla normativa vigente in materia di asilo e sui diritti diritti e doveri derivanti dal titolo di soggiorno in suo possesso. Con questa premessa, che chiude generalmente il primo appuntamento, entro nel vivo della mia attività, che può proseguire, a seconda dei casi, nella preparazione dei richiedenti la protezione internazionale all’audizione personale davanti alla Commissione Territoriale. Sempre in via stragiudiziale, offro assistenza per le istanze di rinnovo dei permessi di soggiorno e del titolo di viaggio per stranieri, rendendomi disponibile, nei casi critici, all’ accompagnamento in Questura, in materia di cittadinanza. In via giudiziale, invece, dopo aver informato il richiedente asilo del suo diritto a presentare istanza di gratuito patrocinio, studio il caso e predispongo il ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale competente che ha respinto la sua domanda di protezione, garantendo la sua difesa ed assistenza in giudizio.
Come sei arrivata a fare il lavoro che fai e quali sono le tue motivazioni?
Penso che sia stata la mia prima migrazione per motivi di studio a farmi scoprire persone, luoghi, usi e costumi diversi nel mio paese. Ho frequentato la facoltà di giurisprudenza dell’università degli studi di Siena e ho avuto la fortuna di incontrare studenti italiani e stranieri che mi hanno aperto alla scoperta della diversità. Ne sono rimasta positivamente travolta e questa è diventata la mia risorsa. Terminati gli studi mi sono proposta come volontaria in una cooperativa che si occupava di inclusione sociale per migranti. Facevo attività di orientamento legale. Mi occupavo di pratiche di rinnovo di permessi di soggiorno per motivi diversi – lavoro, famiglia, studio. In questa attività sono stata affiancata, nel corso del tempo e su svariati progetti, a due figure professionali che hanno segnato il mio percorso, Khalid e Sissoko. Con loro ho conosciuto la storia del Sudan e del Senegal, per il mio lavoro ho appreso l’importanza estrema della figura del mediatore interculturale. Così ho iniziato a lavorare ai primi progetti in materia di asilo, come formatrice. Ho iniziato a conoscere richiedenti asilo e rifugiati provenienti dall’Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Somalia, Eritrea.
Cosa è successo dopo?
È seguito uno scambio di competenze all’interno della classe. Io insegnavo ai beneficiari del corso la storia della nostra Costituzione e la geografia dell’Italia, i richiedenti asilo e i rifugiati condividevano con me i racconti della loro vita quotidiana prima della fuga dal loro paese di origine, dei loro movimenti, dei viaggi estenuanti che li avevano condotti fino ai nostri porti di approdo. Ho così scoperto che la mia classe era costituita da un chimico, un giudice, uno studente, un contadino, e per ogni storia ho approfondito la condizione sociopolitica del paese di origine.
Qual è stato l'apprendimento più importante per la tua professione?
Più di tutto, ho appreso sul campo la differenza fondamentale dal punto di vista legale tra migrante e rifugiato e l’importanza di quelle che sarebbero diventate risorse preziose di lavoro: le informazioni sui paesi di origine. Ho continuato a studiare le norme vigenti del diritto internazionale in materia di asilo. Il 2008 ha rappresentato per me il punto decisivo: per la prima volta sono entrata in team con i mediatori culturali nel centro CARA hot spot di Crotone. Ho iniziato a incardinare i miei primi giudizi in materia di asilo e con gli approfondimenti, i fondamentali corsi di specializzazione che la materia in continua evoluzione richiede, ho scelto, grazie anche ai diversi ruoli ricoperti, di assistere esseri umani in cerca di protezione.
Secondo te, dal punto di vista del diritto in materia di asilo, quali sono le criticità che andrebbero affrontate?
Porto un caso concreto che si è concluso positivamente. I miei assistiti, titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari, già richiedenti asilo, erano tra le duecento persone rimaste sul territorio della provincia prive di assistenza, all’indomani della chiusura nel 2013 di un ex centro di accoglienza sorto in Falerna, il residence degli Ulivi, di fatto occupato dai migranti e poi sgomberato nel 2016. Per le istanze di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari e del titolo di viaggio per stranieri, ho riscontrato che solo il mio intervento ha avviato in concreto i relativi procedimenti, pure verbalmente già sollecitato dai singoli interessati alla scadenza dei rispettivi documenti in loro possesso. Il comportamento della questura, prima della mia attività, è consistito, nelle controversie trattate, nel rinviare, di volta in volta, i diretti interessati, a successivi, ripetuti e lontani appuntamenti per ottenere il rinnovo dei documenti, così di fatto bloccando il procedimento, ritenendo, contrariamente alla legge, non dimostrata una collocazione certa sul territorio del richiedente.
Questo, ragionando in termini più ampi, cosa ci dice?
Ci dice che prassi illegittime, nella generalità dei casi, unitamente alla mala accoglienza e all’assenza di effettivi servizi sul territorio, possono ancora oggi ripercuotersi sulla protezione riconosciuta dallo stato italiano alle persone in fuga da guerre e persecuzioni, fino, in alcuni casi, addirittura a polverizzarla. È la condizione di tutte quelle persone titolari di permessi umanitari o con protezioni maggiori, che provate dai tempi lunghi della questura per il rinnovo dei documenti, indigenti e senza un supporto legale, rinunciano inconsapevoli, a rinnovarli, spostandosi sul territorio in cerca di lavoro, e così cadendo nell’irregolarità ed esponendosi al rischio effettivo di essere nuove potenziali vittime di sfruttamento lavorativo. Queste anche solo possibili distorsioni del sistema asilo rivendicano, a mio avviso, le fondamenta della protezione internazionale che trova nella fuga per la vita il suo epicentro.
Quali capisaldi non andrebbero messi in discussione?
Il diritto alla vita, che rappresenta uno dei diritti inalienabili (art.2 e 27 della nostra Carta fondamentale) che ogni essere umano possiede, indipendentemente dal suo legame con il territorio, è il primo dei diritti fondamentali riconosciuto dalle carte internazionali e sovranazionali che costituiscono la base dei diritti umani: (la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, il Patto internazionale dei diritti civili e politici, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, CEDU, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
Quali sono le politiche che auspicheresti?
È essenziale, a mio parere, in questo momento storico più che mai, distinguere la politica di emergenza che in maniera allarmante viene quotidianamente e impropriamente invocata dal potere politico – che ha da ultimo addirittura attaccato la categoria degli "avvocati d’ufficio" – dalle norme che disciplinano nel nostro ordinamento la materia del diritto di asilo. È necessario guardare con occhi aperti al mondo delle persone in fuga dalle persecuzioni per cogliere davvero la portata del fenomeno dentro e fuori l’Italia. È fondamentale, oggi più che mai, riappropriarsi dei principi costituzionali e della normativa europea e internazionale che ordinano il diritto di asilo, per continuare a difendere i diritti inviolabili delle persone potenziali richiedenti asilo, richiedenti asilo e rifugiate nelle appropriate sedi.
Questo come si può tradurre nel concreto?
Riconoscendo, innanzitutto, le diverse figure professionali che ruotano intorno al mondo del diritto asilo. Se dalle statistiche, come si vede dall'UNHCR Global Trends 2017, emerge che nella classifica mondiale dei paesi con il maggior numero di rifugiati la Turchia è al primo posto e la Germania al sesto, unico paese europeo nelle prime dieci posizioni, il corollario che non dovrebbe essere messo in discussione è che, come a più riprese chiarito, in Italia non c'è emergenza. Bisognerebbe, allora, aver cura di trasferire il messaggio di pacifica convivenza e accoglienza che i numeri svelano e non sollecitare dai vertici nell’immaginario collettivo fatti diversi non riscontrati. Questo per ristabilire nell’immediato nella società civile un clima di serenità e apertura al mondo dei rifugiati, abbattendo altrettanti preoccupanti avvenimenti di marginalizzazione e discriminazione sociale influenzati, non si può escludere, da asimmetrie informative.
Cosa può fare ancora il nostro paese, e l'Europa?
Se in Libia, paese di transito per i migranti in fuga, sono state accertate, denunciate le condizioni inumane dei centri di detenzione ufficiali, luoghi di detenzione e morte, nei quali vengono trattenuti potenziali richiedenti asilo, rapporti e organizzazioni accreditate non possono non essere tenuti in considerazione dal nostro paese per applicare una politica di riduzione dei flussi dei migranti dalla Libia in Italia. Le norme internazionali impongono il divieto dei respingimenti collettivi dei migranti verso paesi terzi in cui sarebbero esposti a torture e trattamenti disumani e degradanti. In Italia esistono da quasi dieci anni campi di sfruttamento dei lavoratori stagionali, come in Calabria il lager di S. Ferdinando a Rosarno, che ho personalmente visitato nell’anno 2016, constatando le condizioni degradanti in cui sono costretti a vivere i braccianti della Piana di Gioia Tauro. Non si possono aspettare altre proteste, nuove vittime, per sgomberare, magari con interventi d’urgenza, le baracche del campo e subito dopo nuovamente arginare la presenza di realtà scomode e ormai radicate sul territorio. Servono nuove politiche di intervento volte al superamento del discrimine tra politica e operatori umanitari, ong, Alto Commissariato delle Nazioni Unite, sistema accoglienza, avvocati, magistrati. Sicuramente la grave crisi dei rifugiati richiede già da tempo lo sforzo dell’Ue e degli stati membri per una effettiva e diretta condivisione di responsabilità mirata anche a prevedere la regolarizzazione dei canali umanitari. Una nuova politica interna non può che superare gli interventi emergenziali, per garantire la vera accoglienza con servizi integrati e per la riaffermazione della dignità di esseri umani vittime di sfruttamento nei luoghi ad oggi abbandonati dalle istituzioni.
LEGGI TUTTO IL DOSSIER Migrazioni in corso A CURA DI inGenere