Politiche

Da dove vengono i prodotti che usiamo? Michela Puddu, con il suo team, ha inventato una tecnologia capace di tracciare le materie che utilizziamo per tutta la filiera. Per questo è stata premiata come eccellenza dell'innovazione europea

Michela Puddu,
innovatrice europea

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Foto: Unsplash/ Héctor J. Rivas

Fra coloro che si sono aggiudicate l’Eu Prize for Women Innovators 2019, prestigioso riconoscimento dedicato alle donne che hanno saputo coniugare l’eccellenza in campo tecnologico con l’attività imprenditoriale, c'è anche l’italiana Michela Puddu. Le abbiamo rivolto qualche domanda sul valore di questa vittoria e sulle ricadute che potrebbe avere per lei a livello professionale.

Il premio che ha vinto è nato con l’obiettivo di valorizzare "quattro imprenditrici europee che hanno sviluppato e portato sul mercato progetti innovativi che hanno migliorato la vita dei cittadini europei", ci spiega innanzitutto il lavoro che è stato premiato?

Il riconoscimento è stato attribuito alla tecnologia innovativa messa a punto nel corso del mio dottorato presso il Politecnico Federale ETH e in seguito sviluppata con il team che lavora in Haelixa AG, l’azienda di biotecnologie con sede a Zurigo che ho fondato assieme a Gediminas Mikutis e della quale sono amministratore delegato. Haelixa è specializzata nell’uso di traccianti al Dna per “etichettare” beni di consumo e tracciarli lungo tutta la filiera produttiva. Il Dna è il sistema di memorizzazione delle informazioni del prodotto (origine, produttore, data, composizione, ecc.). Le sequenze univoche di Dna sono incapsulate in particelle applicate direttamente sul materiale grezzo, ad esempio cotone. I traccianti sono innocui e rimangono inalterati in tutte le successive lavorazioni industriali. Il tracciante al Dna non è soggetto a manomissioni e frodi come può avvenire con i metodi che sono fisicamente distaccati dal prodotto ad esempio certificati, codici a barre, fino alla blockchain. La diffusione di questa tecnologia contribuirà certamente ad assicurare procedure industriali trasparenti ed ecosostenibili quindi etiche e rispettose dell’ambiente.

Cosa significa nel suo settore e per una donna ottenere un riconoscimento così prestigioso?

L’iniziativa premia tre aspetti: l’innovazione introdotta, l'impatto economico e sociale, la leadership e la personalità delle donne che possano essere esempio e fonte d'ispirazione. Le startup fondate da donne ricevono solo una piccola parte degli investimenti, ma generano rendimenti migliori per ogni dollaro finanziato. Esiste quindi un grande potenziale ancora inutilizzato. Il riconoscimento mi rende molto fiera e premia i risultati di anni di studio, di ricerca e di attività imprenditoriale. È un incoraggiamento a perseguire con più energia e determinazione gli obiettivi che mi sono posta come donna, come leader e come parte di un team. 

Investirà la quota ricevuta dal premio in ricerca?

Il premio ricevuto sarà senz’altro impegnato in azienda e una parte sarà destinato a una società no profit che si occupa di tutela dell’ambiente marino.

Cosa significa per lei essere una donna innovatrice? 

Sono stata sempre ricettiva rispetto a nuove idee ed esperienze. Ho sviluppato un atteggiamento di apertura verso il nuovo e diverso e con esso la capacità di incorporare queste novità nel mio modo di agire e pensare, di cercare o creare contesti lavorativi e sociali stimolanti. 

Come nasce una buona idea?

Un’idea innovativa necessita a mio parere di tre principali ingredienti: la curiosità, la motivazione e la competenza. Essere curiosi e desiderosi di scoprire cose nuove ed eccitanti porta a un arricchimento personale, al desiderio incessante di ampliare le proprie competenze e fare di più. La motivazione è l’impulso a perseverare che permette di raggiungere gli obiettivi che si sono posti, nonostante il duro lavoro e i sacrifici. Questi ingredienti sono sicuramente il frutto di stimoli interni legati alla personalità, ma possono certamente essere ampliati a favoriti dall’ambiente lavorativo. Un clima d’interazione che fornisca input e che sia aperto al confronto e alla condivisione è essenziale all’acquisizione di nuove conoscenze e alla nascita di nuove idee. Quando si lavora in squadra, la creatività e la qualità dei risultati prosperano, come pure la capacità di superare punti di vista obsoleti e creare soluzioni innovative. Infine, per innovare è necessario essere competenti nel campo e aggiornare costantemente la propria formazione. Nel corso del mio dottorato di ricerca in ingegneria chimica, ero spinta a progredire dalla curiosità di sviluppare e studiare le proprietà di materiali, e di testarne nuove applicazioni. Non ho voluto relegare la mia ricerca universitaria a un articolo nelle riviste di settore, ma ho desiderato fortemente che si tramutasse nella realtà in un ambizioso progetto imprenditoriale.

Quanto è difficile per una donna affermarsi nel suo campo di ricerca? Ci sono pregiudizi di genere?

Nonostante siano stati fatti dei progressi, la piena affermazione delle donne stenta ad essere realizzata in numerosi ambiti, ricerca inclusa. Inoltre il gap di genere cresce progressivamente risalendo la piramide gerarchica della ricerca e della formazione. Le difficoltà più comuni che le donne affrontano se vogliono intraprendere una carriera nel mondo accademico e nella ricerca sono l’eccessiva severità dei giudizi, la disincentivazione a proseguire la ricerca, specie in caso di maternità. Nel mondo dell’imprenditoria le donne sono sempre più rappresentate, ma una donna imprenditrice, e per giunta innovatrice, deve sicuramente faticare un po’ di più. Per conseguire i risultati sperati, bisogna costruire solide relazioni proficue, avere idee sempre molto chiare sugli strumenti anche finanziari necessari a perseguire i propri obiettivi, mantenere sempre alta la motivazione.

È possibile secondo lei crescere da un punto di vista professionale in Italia oppure è necessario andare all’estero?

La ricerca e l’innovazione sono settori caratterizzati da una dimensione intrinsecamente internazionale, quindi il fatto che neolaureati vadano a perfezionare gli studi e lavorare in università e centri di ricerca di altre nazioni è in parte fisiologico. La Svizzera è estremamente competitiva nel campo della ricerca e investe molto nelle nuove tecnologie con infrastrutture all’avanguardia. L'Italia in questo è molto indietro ed è incomprensibile come non si sappia utilizzare pienamente i fondi per l’innovazione, anche notevoli, messi a disposizione dall’Ue e come non sia pienamente compreso che l’innovazione è un motore fondamentale del progresso economico e sociale.

Come si può sensibilizzare l’opinione pubblica per coinvolgere maggiormente le donne nel campo dell’innovazione?

In generale la scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica credo sia soprattutto il frutto di convenzioni sociali e culturali. È necessaria un’opera di sensibilizzazione più decisiva che consenta di superare i pregiudizi e il divario di genere. Un pregiudizio assai frequente, per esempio, riguarda la scarsa predisposizione che le donne avrebbero verso la tecnologia e la scienza. Per scardinare questi stereotipi è necessario agire sin dai primi livelli dell’istruzione.  

Come vede il futuro del suo settore?

Sono convinta che l’innovazione tecnologica guiderà saldamente l’economia e favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro, contribuendo fortemente a migliorare le condizioni di vita e a renderle sempre più sostenibili.