Politiche

La cultura prevalente all'interno del Parlamento europeo è ancora patriarcale e intrisa di stereotipi antifemministi. Alla vigilia delle prossime elezioni un rapporto racconta come arginare un possibile arretramento in materia di parità e diritti in Europa

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Arginare il backlash
Credits Unsplash/Annie Spratt

Mettere l'uguaglianza di genere al centro del processo decisionale europeo. Con questo obiettivo programmatico, il rapporto preparato dal think tank femminista europeo Gender Five Plus fornisce una riflessione sullo stato attuale delle politiche del Parlamento europeo sulla parità di genere e sul gender mainstreaming, e un contributo femminista all'elezione di un parlamento più equo e alla costruzione di un'Unione europea più democratica, forte e inclusiva.

Nel Parlamento europeo uscente le donne costituiscono il 39,1%, con grandi differenze tra gli stati membri: si passa da paesi come la Finlandia e la Svezia, rappresentati da una maggioranza di donne, a situazioni come quella di Cipro, nella cui rappresentanza non ce n'è nemmeno una. 

Soprattutto, ci sono grandi differenze tra i gruppi politici, dove il gruppo Greens/European Free Alliance (Verdi/Alleanza libera europea) vede una presenza di donne quasi paritaria (49%) e, all'estremo opposto, il gruppo degli European Conservatives and Reformists (Conservatori e riformisti europei), di cui è leader Giorgia Meloni, ha la percentuale più esigua di donne (30%). 

Quest'ultimo gruppo, inoltre, insieme con quello di Identity and Democracy (Identità e democrazia) di cui fa parte la Lega, rigetta completamente l'approccio di gender mainstreaming. 

La crescita, nelle elezioni europee del 2019, dell'estrema destra e del numero di parlamentari direttamente e indirettamente contrari all'uguaglianza di genere e ai diritti delle donne – arrivati a rappresentare circa il 30% dell'intero Parlamento europeo e quasi il doppio rispetto alla precedente legislatura – ha creato un'atmosfera favorevole a un'agenda anti-gender e alla polarizzazione delle posizioni.

È in questa polarizzazione che si può riconoscere una delle cause dei limiti che hanno caratterizzato quest'ultima legislatura, alle cui pressioni va comunque riconosciuto il merito dell'approvazione della direttiva sulla trasparenza retributiva tra uomini e donne, della ratifica della Convenzione di Istanbul, e dell'approvazione della direttiva sulla violenza di genere contro le donne, benché con un compromesso al ribasso nella definizione del reato di stupro.

Nonostante la polarizzazione di posizioni nei diversi partiti politici, le resistenze rispetto alla promozione di politiche per l'uguaglianza, e soprattutto all'implementazione dell'approccio di gender mainstreaming, si riscontrano in varia misura anche in gruppi parlamentari non di destra. 

La cultura prevalente infatti è ancora patriarcale e intrisa di stereotipi antifemministi. Nel Parlamento europeo, la tendenza prevalente è ancora quella di considerare la parità di genere esclusivamente come "women's issue" (una questione che riguarda esclusivamente le donne), con conseguente marginalizzazione del ruolo degli uomini, raramente inclusi nell'implementazione delle politiche di gender mainstreaming. 

In pratica, le questioni relative al genere sono di responsabilità delle parlamentari donne, e in particolare della Commissione sui diritti delle donne e l'uguaglianza di genere (FEMM) che, facendo un paragone con altre commissioni, incontra tuttora resistenze in termini di influenza politica e di impatto. 

Basti pensare alle forme di segregazione di genere nelle commissioni parlamentari, per cui, mentre nella commissione FEMM gli uomini sono solo 8,6%, nella Commissione affari costituzionali sono l'85,7%. 

In generale, le donne sono poco rappresentate all'interno delle commissioni con un impatto legislativo più significativo.

L'aspetto centrale rimane tuttora l'attaccamento degli uomini alle posizioni di potere, rispetto a cui un approccio solo quantitativo, focalizzato esclusivamente sul numero di candidate ed elette, rimane assolutamente insufficiente, in quanto in sé non cambia i rapporti di potere tra i generi, e quindi nemmeno le posizioni guida nel processo decisionale. 

La persistenza di questo tipo di approccio e dei rapporti di potere di genere, insieme con la riluttanza a superare cultura e norme informali patriarcali, alimentano anche indirettamente un terreno fertile per la permanenza di comportamenti e pratiche opposte all'uguaglianza di genere e per le politiche antifemministe.

La possibilità che dalle prossime elezioni emerga una presenza maggiore dei partiti conservatori di destra e un maggior numero di europarlamentari che sostengono idee maschiliste e antifemministe rappresenta una seria minaccia alle conquiste degli ultimi decenni. 

È dunque imperativo e urgente sfidare questo possibile passo indietro (backlash). In realtà, il processo di arretramento contro progressi e diritti delle donne è già in atto, grazie alla crescita e alla forza acquisita – non solo in Europa – dai movimenti antifemministi e anti-gender, rispetto a cui il Parlamento europeo ha lanciato l'allarme già nel 2023 (con la Risoluzione 2021/2039 INI).

Il rapporto di Gender Five Plus sottolinea l'esistenza di una relazione tra movimenti maschilisti e antifemministi e gruppi politici di estrema destra, uniti nel riferimento alla pericolosità della "gender ideology" (ideologia gender), espressione con cui si intende un ipotetico minaccioso riferimento a valori "contro-natura" rispetto ai ruoli di genere tradizionali, alla sessualità, alla famiglia.

Poiché la vaga e generica nozione di gender ideology e l'accusa rivolta all'Unione europea di non proteggere le donne da questa "minaccia" sembrano in grado di cementare ansie e paure di attori politici differenti, il rischio che dalle prossime elezioni emerga un blocco più forte di opposizione all'uguaglianza di genere e un Parlamento con una maggior presenza di forze politiche sessiste, ostili sia ai diritti delle donne che ai diritti delle persone Lgbtqia+, appare molto alto.

Il cuore del rapporto è quindi nell'appello a scongiurare questo rischio, oltre che a rimuovere gli ostacoli esistenti all'uguaglianza nei processi di decision-making nei partiti, nei gruppi e nelle commissioni parlamentari.

Allo scopo di rendere l'intero processo decisionale più egualitario ed efficace per l'implementazione del gender mainstreaming, vengono quindi incluse anche linee guida e raccomandazioni pratiche per le e i futuri europarlamentari e leader dei partiti – ad esempio, l'istituzione di quote di presenza di donne in tutte le istituzioni dell'Unione europea e nelle commissioni del Parlamento, un miglior coordinamento dei soggetti responsabili di attuare il gender mainstreaming, la promozione di congedi parentali più lunghi con benefit adeguati a un'effettiva condivisione delle responsabilità, un maggior sostegno alla vittime di violenza di genere.

Nella composizione del futuro parlamento, è in gioco soprattutto l'opportunità strategica che possano vedere la luce riforme profonde, in grado di migliorare il funzionamento democratico dell'Unione europea e di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo anche in una prospettiva femminista. 

Il futuro parlamento, infatti, potrà svolgere un ruolo cruciale nella convocazione di una Convenzione europea per la riforma dei Trattati e rispetto alla portata stessa della riforma.

Il report di Gender Five Plus conclude sottolineando giustamente la rilevanza, per un'Europa più democratica e più equa, di alcune delle più importanti proposte di modifica dei Trattati: l'espressione "uguaglianza di genere" dovrebbe sostituire nei Trattati l'attuale "uguaglianza tra uomini e donne"; al Parlamento europeo verrebbe finalmente garantito il diritto di iniziativa legislativa che oggi è prerogativa della Commissione; si passerebbe dal voto all'unanimità a quello a maggioranza qualificata e alla procedura legislativa ordinaria in varie aree politiche, inclusa l'adozione della legislazione antidiscriminatoria, che verrebbe estesa, in armonia con quanto previsto nell'art.21 della Carta dei diritti fondamentali, oltre al genere, all'origine razziale o etnica, alla religione, alla disabilità, all'età o all'orientamento sessuale, anche all'origine sociale, alla lingua, alle opinioni politiche e all'appartenenza a una minoranza nazionale (grazie alla modifica dell'art. 10 TFEU).

Se queste riforme si concretizzassero, il potenziale positivo per una prospettiva femminista di uguaglianza e democrazia sarebbe enorme – possibilità questa tanto più difficile quanto più le forze sovraniste, contrarie a una più profonda integrazione europea, venissero a rafforzarsi nel Parlamento europeo. 

In una prospettiva femminista, sarebbe però necessaria anche una strategia politica contro la guerra, per un'Europa di pace, com'era nella visione degli uomini e delle donne che ne hanno gettato le fondamenta. 

Ma questa visione strategica è oggi assente in tutte le principali forze politiche, così come, purtroppo, anche nel report di Gender Five Plus, fattore che contribuisce ad alimentare le paure di tutti e tutte noi, cittadini e cittadine d'Europa. 

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