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Negli ultimi quarant'anni sono state molte le donne che dallo Sri Lanka si sono trasferite nel Golfo Persico per svolgere lavori di cura nelle case delle famiglie di una terra sempre più ricca. Gli intermediari che le hanno accompagnate in questo cambio di vita hanno riprodotto squilibri e disuguaglianze

Nel Golfo Persico
per fare le colf

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Foto: Unplash/Safwan Mahmud

Lo Sri Lanka è una nazione insulare in via di sviluppo situata nell’Oceano Indiano, leggermente a sudovest del Golfo del Bengala. Fin dai primi anni '80, un numero consistente di donne si è spostato dallo Sri Lanka al Golfo Persico, territorio ricco di petrolio, trovando un'occupazione nel settore del lavoro domestico. Il lavoro domestico migrante offre una ‘soluzione promettente’ al fallimento degli sforzi dello Sri Lanka per lo sviluppo, e gli alti tassi di povertà, la disoccupazione e le disuguaglianze che persistono nel paese spingono le donne singalesi, specialmente se provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati, a cercare all’estero un lavoro domestico retribuito.

Attualmente le donne costituiscono circa il 35% della forza lavoro singalese migrante. In ampia maggioranza (75%) sono impiegate come lavoratrici domestiche migranti conviventi (con vitto e alloggio forniti nell’abitazione del datore di lavoro). Il Golfo Persico conta più del 95% di questa manodopera. La maggior parte delle donne singalesi si rivolge a intermediari della migrazione per cercare lavoro domestico retribuito nell’area del Golfo Persico. Gli intermediari giocano quindi un ruolo cruciale nelle aspirazioni di mobilità verso l’esterno e verso l’alto di queste donne, un processo che spesso non fa che riprodurre le disuguaglianze.[1] 

Sono stata in Sri Lanka, Arabia Saudita e Kuwait tra il 2019 e il 2022, proprio per analizzare il processo di intermediazione di manodopera domestica migrante nel mercato della cura fra Sri Lanka e Golfo Persico. Il contenuto di questo articolo è frutto del mio intermittente lavoro sul campo.

Tra lo Sri Lanka e i paesi di destinazione del Golfo Persico, la mobilitazione di manodopera domestica migrante assume la forma di un’operazione transnazionale, coinvolgendo attori pubblici e privati, formali e informali. Tuttavia, la maggior parte del lavoro è svolta in Sri Lanka da intermediari della migrazione accreditati dallo stato che operano in collaborazione con analoghi intermediari nei paesi di destinazione. In un mercato dell’intermediazione regolamentato, organizzano e agevolano la mobilitazione della forza lavoro migrante attraverso i confini in vari modi. Fra questi, ma non solo: ricerca di aspiranti lavoratrici domestiche migranti, la maggior parte delle quali vive in zone remote dell’isola; individuazione di lavoro domestico retribuito tramite contatto e negoziazione con i datori di lavoro; organizzazione e agevolazione di reclutamento, selezione e collocamento; monitoraggio successivo.

Nel selezionare le candidate, gli intermediari della migrazione cercano determinati standard, come genere, età, salario, esperienza, formazione, abilità linguistiche (arabo), religione (musulmana/non musulmana), stato civile e aspetto fisico/colore della pelle. Gli standard sono stabiliti sia dallo stato sia dai datori di lavoro, e sono negoziabili. Gli intermediari negoziano personalmente con i datori di lavoro i criteri di selezione e le condizioni di vita e lavoro delle lavoratrici. Alcune mie interviste sul campo hanno fatto luce su come gli intermediari trattano e disciplinano la ‘appetibilità’ delle lavoratrici quando incontrano potenziali datori di lavoro e in tal modo (ri)producono certe dinamiche di potere nel mercato dell’intermediazione.

“Negozio personalmente con gli sponsor la retribuzione e faccio in modo che concedano un pagamento extra. È così che io e il mio agente estero [intermediario della migrazione nel paese di destinazione] ci prendiamo cura delle nostre donne… Però le ‘ragazze’ devono lavorare secondo gli accordi”, ha dichiarato un'intermediaria nel corso di una delle interviste. “I datori di lavoro hanno le loro preferenze, come età – sotto i 45 anni –, colore della pelle – bianca o chiara perché alcuni non amano le donne scure. Selezioniamo le lavoratrici secondo queste specifiche. …Se non rispettiamo le preferenze dei datori di lavoro è un problema. È nostro dovere dare la persona giusta per il lavoro giusto” ha dichiarato un altro.

Successivamente, gli intermediari della migrazione organizzano e agevolano il reclutamento producendo, acquisendo, usando e conservando documenti. Ciò include redigere contratti biennali basati sul partenariato contrattuale paritario, che, d’altra parte, è discutibile. Ecco cosa ha risposto una lavoratrice domestica migrante in Arabia Saudita, quando le è stato chiesto se avesse capito il contratto e in che lingua fosse: “Questo non lo sapevo. Loro [l’agenzia di intermediazione] mi hanno chiesto di firmare e poi mi hanno spiegato; mi hanno detto che sarei dovuta stare due anni con quella famiglia e che il mio salario sarebbe stato di 1000 riyal”. Ma in Arabia Saudita il salario mensile di base per una lavoratrice domestica singalese convivente è di 1250 riyals (pari a 250 dollari).

In altre parole, il controllo dei prezzi attraverso il salario minimo indica l’interesse dello stato a regolare il mercato dell’intermediazione; eppure, gli intermediari agiscono a loro discrezione.

Gli intermediari intervengono anche nell’acquisizione di documenti, come passaporti, certificati medici e formativi, assicurazioni sulla vita e visti. Pagano alle lavoratrici domestiche migranti i biglietti aerei, persino offrendosi di accompagnarle all’aeroporto se necessario. Una cosa interessante è che, durante il processo di mobilitazione, la lavoratrice riceve una commissione personale dall’intermediario, una sorta di ‘ringraziamento in denaro’ che chiaramente lega le lavoratrici ai loro intermediari. Questa commissione, vietata dallo stato, funge anche da ‘incentivo’, che invoglia le donne a migrare: una decisione intrisa di sentimenti di separazione familiare e solitudine, fatica, controllo e soggiogamento.

Infine, arrivate nel paese di destinazione, le lavoratrici vengono ricevute dagli intermediari locali e accompagnate dai datori di lavoro. Per la durata del contratto, è compito dell’intermediario monitorare la situazione della lavoratrice, ad esempio intervenendo in caso di maltrattamenti da parte del datore di lavoro.

Questa mobilitazione di manodopera domestica retribuita verso il Golfo Persico non è a buon mercato. Specialmente nel caso dello Sri Lanka, come ha sottolineato un datore di lavoro saudita in una delle interviste: “c’è una buona domanda di colf singalesi in Arabia Saudita. …Ma le spese di agenzia sono davvero alte… Per una domestica dobbiamo pagare 20000-25000 riyal [pari a 5400-6750 dollari]. In altri paesi la tariffa non è così cara”.

Assumere una lavoratrice domestica singalese costa al datore di lavoro una commissione di intermediazione di 5400-6750 e 3000-3500 dollari rispettivamente in Arabia Saudita e Kuwait. La commissione è suddivisa fra gli intermediari partner in Sri Lanka e nel paese di destinazione; da lì si recuperano i costi del reclutamento. Nel caso dell’Arabia Saudita, la commissione dell’intermediario singalese è attorno ai 3500 dollari, mentre il tetto approvato dallo stato resta a 1560.

Il sistema della sponsorizzazione da parte dei datori di lavoro, chiamato kafala, definisce quella che forse è la regola principale nel disciplinare la mobilitazione delle donne singalesi come lavoratrici domestiche migranti nel Golfo Persico. Dà ai datori di lavoro diritti esclusivi su ingresso, residenza, lavoro e uscita dal paese di destinazione di queste lavoratrici. La kafala permette una forma di lavoro o vendita vincolati, accordando al datore di lavoro proprietà e controllo non solo sull’attività della lavoratrice ma sulla totalità della sua persona.

Gli intermediari della migrazione hanno quindi uno specifico potere che si ripercuote sulle disuguaglianze. Permettono il contatto fra le lavoratrici domestiche migranti singalesi e i datori di lavoro arabi, attraverso lo spazio geografico e sociale, sforzandosi di fornire un servizio appetibile, combinano strategicamente elementi del mercato, come domanda, offerta e prezzi, con fattori non economici, come leggi, norme e usanze. Spesso lo fanno operando al di fuori dell’ombrello normativo dello stato in collusione con vari attori, incluse le stesse lavoratrici.

Gli intermediari fabbricano e plasmano attivamente le informazioni fra datori di lavoro, lavoratrici, stato e altri attori coinvolti. Nel fare questo, gli intermediari decidono e determinano l’appetibilità delle lavoratrici domestiche migranti quanto a forma fisica (es. in salute, non troppo vecchia o troppo giovane) e atteggiamento (es. obbediente, zelante), producendo dinamiche di potere in termini di genere, classe, etnia, età, lingua, in un mercato che promette lavoratrici ‘personalizzate’ ai datori di lavoro.

Riassumendo, gli intermediari della migrazione hanno la facoltà di plasmare lo spettro delle realtà vissute dalle lavoratrici migranti domestiche dello Sri Lanka durante i cicli di migrazione. Sono infatti l’anello di congiunzione fondamentale fra la speranza che le donne hanno di partire e il superamento degli ostacoli alla migrazione. Ma nel farlo modellano schemi, sistemi, interfacce e gradi di disuguaglianza.

Riferimenti

‘Ideal’ Migrant Subjects: Domestic Service in Globalization, progetto finanziato dall'Austrian Science Fund (FWF) e coordinato da Wasana Handapangoda, con la Professoressa Brigitte Aulenbacher, per l'Istituto di Sociologia della Johannes Kepler University, periodo 11/2019-4/2023. 

Traduzione a cura di Sara Concato