Dati

Più istruite e brave dei colleghi, meno presenti ai posti di comando. Tutti i numeri delle barriere di genere nel mondo della imprenditorialità e del lavoro autonomo in Italia

Poche ma buone. Manager,
imprenditrici e autonome

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foto Flickr/European Parliament

Come noto, l’Italia si caratterizza per una bassa incidenza di donne sul totale dei lavoratori: nel 2014 le donne italiane rappresentano il 42,3% degli occupati, valore più basso di circa 4 punti percentuali rispetto alla media europea a 28 paesi.

Inoltre, nel nostro paese la percentuale di persone con titoli di studio universitari è decisamente inferiore rispetto alla media dei paesi dell’Ue e ciò si ripercuote, naturalmente, anche sull’insieme degli occupati. In Italia, infatti, nel 2014 solo il 20,3% dei lavoratori è in possesso di una laurea, contro il 32,6% della media europea. Tuttavia le donne occupate italiane risultano ben più scolarizzate dei colleghi e, infatti, tra gli occupati con titoli universitari prevalgono le donne (53,6%), con una quota che supera anche il valore riferito alla media europea (51,0%). 

Ciò nonostante, il potenziale delle donne - in termini di capitale umano - è meno valorizzato sul mercato del lavoro italiano. Un utile spunto di riflessione in tal senso può derivare dall’analisi delle “posizioni di comando” tra gli occupati, rappresentate dai dirigenti (nel caso di lavoratori dipendenti) o dagli imprenditori, dai liberi professionisti con dipendenti e dai lavoratori in proprio con dipendenti (nel caso dei lavoratori autonomi). I lavoratori che ricoprono una posizione di comando sono l’8,4% del totale degli occupati italiani del 2014 e, si osserva, da un lato che solo il 25% è donna e dall’altro che il “capitale umano di qualità” è più appannaggio femminile. Circa 37 donne su 100 tra quelle che sono al comando hanno un titolo di studio universitario, mentre la stessa misura riferita agli uomini scende a 28. 

Analizzando, inoltre, se il ruolo di comando è esercitato nell’ambito di un lavoro alle dipendenze o autonomo, si riscontra che le donne più degli uomini lo esercitano come lavoratrici dipendenti. In tal senso sembra dunque palesarsi una scarsa propensione femminile in posizioni apicali legate alla tipologia di lavoro autonomo, vale a dire nel caso di imprenditrici, libere professioniste con dipendenti o lavoratrici in proprio con dipendenti. Tuttavia resta da capire se si tratti effettivamente di una scarsa propensione o al contrario sia una sorta di barriera di genere che limita l’ingresso delle donne in questo tipo di attività.

Per questo sembra utile approfondire, anche in comparazione con le altre realtà europee, il rapporto tra le donne, il lavoro autonomo e più specificatamente il mondo dell’imprenditorialità, guardando al volume e alle specificità. 

Fonte: elaborazioni Isfol su dati Eurostat-Database, anno 2014 

* Dirigenti, imprenditori, liberi professionisti con dipendenti o lavoratori in proprio con dipendenti. Fonte: elaborazioni Isfol su dati Istat – RCFL 2014

* Dirigenti, imprenditori, liberi professionisti con dipendenti o lavoratori in proprio con dipendenti. Fonte: elaborazioni Isfol su dati Istat – RCFL 2014

In generale, nonostante il nostro paese si caratterizzi per un’elevata incidenza di lavoro autonomo, la categoria degli imprenditori è poco rappresentata rispetto agli altri paesi dell’Ue e questo vale sia per gli uomini, sia per le donne.

Ma vediamo cosa ci dicono i dati analizzando in primis il peso del lavoro autonomo sul totale dell’occupazione e successivamente il peso degli imprenditori e delle imprenditrici all’interno del lavoro autonomo.

In Italia la quota di lavoratori autonomi sul totale degli occupati è del 22,2% ed è la seconda più alta a livello europeo dopo la Grecia (30,7%), mentre per la media Ue il valore si attesta al 14,4%. Anche quando si considera la sola componente femminile dell’occupazione, nonostante il lavoro autonomo sia una prerogativa prevalentemente maschile, per il nostro paese si rilevano quote di lavoratrici autonome superiori al dato medio europeo: in Italia nel 2014 le donne che svolgono un lavoro autonomo sono il 6,7% della totalità degli occupati contro il 4,6% relativo alla media europea. 

Fonte: elaborazioni Isfol su dati Eurostat-Database, anno 2014

Tuttavia, tra gli autonomi, la categoria degli imprenditori non è quella maggiormente rappresentata: nel 2014 gli imprenditori, infatti, sono il 27,9% e la restante quota è costituita dai liberi professionisti o dai lavoratori autonomi. Se l’incidenza degli imprenditori sull’insieme del lavoro autonomo nella media europea è abbastanza simile a quella italiana (28,5%), in molte altre realtà, al contrario è molto più elevata (48,6 in Ungheria, 44,6% in Germania, 41,7% in Danimarca, oltre il 38% in Francia Svezia). A caratterizzare il nostro paese è, infatti, la presenza tra gli autonomi di un insieme di categorie professionali che comprendono, oltre ad un‘elevata quota di lavoratori in proprio, anche i lavoratori parasubordinati, fenomeno tutto italiano che, ovviamente determina una visione diversa del lavoro autonomo.

Le donne imprenditrici italiane nel 2014 sono circa 330 mila, con un’incidenza sul totale degli imprenditori del 24,4%. Tale incidenza, in coerenza con quanto registrato per la totalità degli imprenditori, è inferiore a quella della media europea (26,0%). In altri paesi, infatti, le donne sono maggiormente rappresentate tra gli imprenditori: Spagna 31,1%; Polonia 30,3%; Lettonia, Lituania e Portogallo tutti al disopra del 29%.

Fonte: elaborazioni Isfol su dati Eurostat-Database, anno 2014

Inoltre, a descrivere le specificità italiane è anche il basso livello di scolarità degli imprenditori, rapportato a quanto accade in altri contesti territoriali. Solo grazie alla componente femminile, scarsa ma di più elevata qualità, si riesce ad innalzare un po’ il bagaglio di capitale umano di chi guida il sistema produttivo del nostro paese.

L’importanza di considerare il livello d’istruzione è data dal fatto che un “deficit” nella dote di capitale umano individuale degli imprenditori può avere delle ricadute negative in termini di sviluppo economico sostenuto e sostenibile[1].

Lo studio dei livelli di istruzione degli imprenditori e imprenditrici italiani in comparazione con quanto rilevato nelle altre economie europee fa emergere un quadro poco confortante. Come evidenziato l’incidenza dei laureati sugli occupati in Italia (20,3%) è tra le più basse in Europa, ma guardando al solo collettivo degli imprenditori si rileva una situazione peggiore: il 16,5% dei nostri imprenditori ha una laurea, mentre tale quota sale al 38,0% per la media europea. 

La situazione appare leggermente migliore quando si osservano i valori relativi alle imprenditrici italiane: l’incidenza delle laureate sul totale delle imprenditrici sale al 19,7% (15,5% per gli uomini), confermando ancora una volta il più elevato grado di scolarità della componente femminile dell’occupazione.

Nota: Il dato relativo a Malta non è disponibile. Fonte: elaborazioni Isfol su dati Eurostat-Database, anno 2014

In definitiva, la predominanza maschile sul mercato del lavoro italiano sembrerebbe rafforzarsi quando l’attenzione si focalizza su quella parte di occupazione che ricopre posizioni di comando e in special modo tra gli imprenditori. Dalle analisi risulta infatti una maggior propensione – purché scarsa – a inserire le donne in ruoli di responsabilità nel mondo del lavoro alle dipendenze. 

Ci sono dunque evidenti barriere che limitano le possibilità delle donne di ricoprire posizioni di comando e sono riconducibili a condizioni “ambientali e di contesto” tra cui ad esempio le difficoltà di accesso al credito o la discriminazione rispetto alla possibilità di far carriera che risultano ancor più immotivate considerando che la dotazione di capitale umano femminile, siano esse lavoratrici dipendenti o imprenditrici, è mediamente più elevato dei colleghi. In tal senso si ripropongono e si amplificano alcuni degli elementi che in modo strutturale caratterizzano le dinamiche di genere nel mercato del lavoro. 

È però opportuno sottolineare come l’Italia sia particolarmente debole sul fronte della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell'innovazione che sono fattori fondamentali per costruire un sistema produttivo solido e lungimirante. E il raggiungimento di questo obiettivo passa anche attraverso gli elevati livelli culturali di chi lo guida. È ampiamente dimostrato, infatti, che investimenti e innovazione sono maggiormente presenti nelle imprese gestite da imprenditori più qualificati. In questo senso, offrire maggiori opportunità alle donne di ricoprire ruoli di responsabilità, nel caso delle lavoratrici dipendenti, o incentivare il loro ingresso nel mondo imprenditoriale, ad esempio attraverso programmi di sostegno all’imprenditoria femminile, potrebbe contribuire ad accrescere il livello di capitale umano di chi dirige e coordina, favorendo così il rilancio di un sistema produttivo in un paese fortemente debilitato dalla crisi economica com’è il nostro.

NOTE

[1] Cipollone e Sestito (2010) affermano infatti che “la scolarità aiuta le persone a compiere scelte più consapevoli e basate su dati oggettivi e meno soggette ad errori sistematici, rispetto per esempio al proprio stile di vita, alla cura delle proprie condizioni di salute, ai comportamenti in quanto consumatore e risparmiatore, alla stessa partecipazione alla vita politica e sociale” (Cipollone P. Sestito P. (2010), “Il capitale umano, come far fruttare i talenti”, Farsi un'idea, Il Mulino, Bologna : pag. 91).