Con la vittoria del Partito Laburista nel Regno Unito, la Camera dei Comuni ha accolto un'ampia rappresentanza di parlamentari Lgbtqia+. Un'occasione per riflettere sul ruolo della diversità nel contesto politico e istituzionale
Attorno ai risultati delle ultime elezioni politiche nel Regno Unito sono sorte molte discussioni, anche in Italia: la vittoria dei laburisti di Sir Keir Starmer è da intendersi come un buon esempio di capacità di apparire moderati nei toni e al contempo radicali in alcune proposte? Sarà forse, invece, una vittoria del riformismo, come suggerito dall'ex Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni? Oppure è un risultato legato all'insoddisfazione profonda della popolazione britannica dopo 14 anni di governi guidati dai conservatori?
Sullo sfondo hanno trovato posto le consuete discussioni da "addetti ai lavori" su quanto siano distorsivi – oppure garanti di stabilità e maggioranze solide – quei sistemi elettorali maggioritari come il first-past-the-post in vigore a Londra, ovvero l'uninominale secco in cui vince il seggio chi conquista anche un solo voto in più rispetto agli avversari e alle avversarie.
Nella nuova composizione della House of Commons, la camera bassa del Parlamento del Regno Unito, spiccano diverse novità: una delle più solide maggioranze laburiste nella storia, con 411 seggi su 650, e la più cocente sconfitta per i conservatori da oltre un secolo – tradottasi in una delegazione di soli 121 parlamentari. La più grande delegazione liberal-democratica con 72 seggi conquistati, l'ingresso dell’estrema destra di Nigel Farage con 5 seggi e il grosso ridimensionamento dell'indipendentismo scozzese – passato da 48 a soli 9 seggi.
In questo quadro di complessivo rinnovamento del panorama politico britannico si segnala anche un fattore di continuità positiva rispetto alla legislatura precedente. Anche dopo le recenti elezioni si conferma una nutrita rappresentanza di membri del parlamento Lgbtqia+: secondo i dati attualmente a disposizione, sarebbero almeno 66 i e le parlamentari dichiaratamente Lgbtqia+, appartenenti a 5 partiti diversi.
Dati sicuramente maggiori rispetto a quelli provenienti dagli Stati Uniti, in cui a oggi si contano solo tredici parlamentari dichiaratamente queer, di cui due al Senato e undici alla Camera dei rappresentanti. Questi dati provengono da un dataset facilmente accessibile, che raccoglie esclusivamente i dati di quelle e quei membri del Parlamento che hanno deciso esplicitamente e in piena autonomia di parlare pubblicamente della propria identità di genere e/o del proprio orientamento sessuale. Le informazioni all'interno del dataset sono sempre riferite a fonti pubbliche e attendibili, come i siti dei vari partiti, le interviste rilasciate ai vari media e i discorsi delle persone direttamente interessate.
A questo punto sarebbe significativo fare un paragone con la situazione italiana. Tuttavia, come spesso accade, mancano i dati su cui poter basare qualsiasi analisi in chiave comparata.
L'unico riferimento attendibile, a giudizio di chi scrive, non si basa su una ricerca scientifica, ma su un resoconto giornalistico del 2021 che, in occasione del coming out dell'ex Ministro Spadafora, raccolse i nomi dei pochi parlamentari italiani che hanno esplicitato la propria appartenenza alla comunità Lgbtqia+ – parliamo di meno di 20 persone in 19 legislature.
Chiaramente, il tema della raccolta di informazioni in questo ambito si intreccia a più riprese con la tutela della privacy e dei dati sensibili. In tal senso non vi è alcun invito a fare outing, pratica con cui un soggetto rivela ad altri l'orientamento sessuale o l'identità di genere di una persona senza il suo consenso, ma, piuttosto, un suggerimento a coltivare una "cultura del dato" in un'ottica di diversità e inclusione: è ormai assodata l'importanza di conoscere quante deputate e quante senatrici, quante consigliere regionali e comunali vengono elette nelle differenti tornate elettorali.
Sono dati pubblici, di facile accesso e anche molto utili per favorire tutta una serie di analisi sul contesto. Dovremmo impegnarci, come paese, a sviluppare un'attenzione al dato anche su altre caratteristiche delle persone che vengono elette.
La scarsa rappresentanza delle persone Lgbtqia+ nella politica italiana è ancor più evidente se, oltre ai dati di cui sopra, andiamo ad analizzare il contesto organizzativo e culturale dei principali partiti politici presenti nel Regno Unito.
Il partito laburista ha un gruppo ufficiale di persone elette, attivisti e attiviste, apertamente Lgbtqia+. Questa realtà riesce anche a raccogliere ed erogare fondi ad hoc per persone queer candidate dal partito nelle differenti competizioni elettorali.
Anche i conservatori britannici hanno il proprio gruppo Lgbtqia+ – nonostante il progressivo spostamento del partito su posizioni apertamente transfobiche –, che raccoglie fondi per i propri candidati. Iniziative simili sono portate avanti anche dal partito liberal-democratico e dal Green Party.
L'esistenza di questi gruppi ufficiali interni ai differenti partiti testimonia l'importanza strutturale che le tematiche Lgbtqia+ hanno assunto nel tempo per i diversi attori politici del Regno Unito. Un'importanza che, pur con evidenti differenze ideologiche, è riuscita a permeare destra, centro e sinistra, a prescindere dalle singole individualità, in un approccio di evidente mainstreaming.
I numeri relativi alla composizione del nuovo parlamento e il maggior peso specifico dei temi Lgbtqia+ all’interno dell'organizzazione dei differenti partiti trovano il proprio punto di caduta anche all'interno delle priorità del governo Starmer, elencate nel cosidetto King's Speech – il discorso programmatico tenuto dal sovrano del Regno Unito durante la cerimonia per l'apertura formale di una nuova legislatura.
Tra i punti su cui si concentrerà l'azione del primo governo laburista dopo 14 anni di conservatorismo trova spazio anche il divieto delle cosiddette "terapie di conversione", conosciute anche con l'espressione "terapie riparative".
Queste pratiche – prive di fondamento scientifico e più volte stigmatizzate da medici, psicologi e psichiatri – si pongono l'obiettivo di "convertire all’eterosessualità" le persone Lgbtqia+. Una palese violazione dei diritti umani, che in diversi paesi europei è stata già vietata. Negli anni precedenti, più volte era stato chiesto ai governi conservatori di impegnarsi sul tema, ma senza successo.
Questo cambio di passo non implica che lo stato attuale del contesto politico britannico sia privo di insidie. Da un lato, dobbiamo notare come la presenza di oltre 60 parlamentari Lgbtqia+ sia prevalentemente maschile. E come, all'interno di tale insieme, trovino poco o nessuno spazio le persone transgender e non-binary.
Sulle persone transgender, inoltre, si concentra una delle più recenti polemiche politiche, quella sui farmaci bloccanti della pubertà, che vengono somministrati alle persone adolescenti con disforia di genere.
Il precedente governo conservatore aveva introdotto un divieto riguardo la prescrizione di questi farmaci in seguito alla pubblicazione del "rapporto Cass".
L'attuale Health Secretary del neonato governo laburista, Wes Streeting, ha deciso di seguire la stessa linea, alimentando non poche polemiche all'interno della sinistra britannica e con varie organizzazioni Lgbtqia+.
Inoltre, pochi giorni fa, l'ex Home Secretary conservatrice Suella Braverman si è scagliata contro la comunità Lgbtqai+ in merito all'esposizione delle bandiere arcobaleno sugli edifici delle pubbliche amministrazioni. Braverman, già nota per le sue posizioni radicalmente più a destra di una parte consistente del suo stesso partito, ha descritto i palazzi del potere pubblico adornati con i colori del Pride come "territori occupati" a seguito di "un'orrenda campagna politica".
Notizie come questa confermano quanto lavoro ci sia ancora da fare per contrastare l'omofobia, la bifobia e la transfobia nel discorso pubblico e politico, anche in paesi in cui il rispetto per i diritti civili è riuscito a diventare un tema rilevante per partiti molto lontani fra loro.
È interessante notare come il quadro descritto per la rappresentanza delle persone Lgbqtia+ non vada a danneggiare minimamente il tema della maggiore e più adeguata presenza in politica delle donne: nel nuovo parlamento del Regno Unito le donne rappresentano circa il 41% del totale. Un dato in aumento rispetto al 34% raggiunto nelle elezioni del 2019, ancor più positivo se si pensa che nel 1979 le donne rappresentavano solo il 3% del totale delle persone elette nel Regno Unito.
Parimenti positivo è il dato sui parlamentari con un ethnic minority background. Secondo il think-tank British Future, le elezioni del 2024 hanno portato una maggiore diversità anche sotto questo aspetto: il numero totale di deputati con background afferenti alle minoranze etniche (parliamo quindi di persone nere, afrodiscendenti, asiatiche, ecc.) è pari al 13,8% del totale degli eletti – ovvero 90 seggi, 24 in più rispetto alle precedenti elezioni del 2019.
Questo suggerisce come sia possibile – e doveroso – lavorare per una rappresentanza politica più inclusiva e somigliante al "paese reale", favorendo un'ottica intersezionale.
Per farlo è opportuno anzitutto affrancarsi dai rischi di tokenismo – quel fenomeno che porta aziende e organizzazioni a compiere solo sforzi simbolici e superficiali per apparire inclusive –, ragionando su quanto il contesto politico italiano sia aperto alle diversità, all'interno e all'esterno dei vari partiti, e su quanto sia contendibile dal punto di vista economico e organizzativo da parte di soggettività esterne.
Con l’auspicio che anche il nostro paese possa tendere a dare una rappresentanza più equilibrata sotto il profilo del genere e più inclusiva di tutte le minoranze presenti nella nostra società, è opportuno ribadire anche in questa sede il consueto caveat: al netto del raggiungimento di quote più o meno soddisfacenti nella rappresentanza femminile, delle persone Lgbtqia+ e delle persone non bianche in politica, il metro essenziale nel giudizio sull'azione di qualsiasi governo e assemblea legislativa è quello dell'impatto delle scelte politiche, che hanno un incidenza concreta e misurabile sulla vita dei gruppi di persone interessate.