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Quella da coronavirus, o Covid-19, appena dichiarata pandemia dall'Organizzazione mondiale della sanità, sta già avendo un impatto sulla vita delle persone e sull'economia. Ma ci sono almeno tre vittime che non rimpiangeremo

Tre vittime del Covid-19
che non rimpiangeremo

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Foto: Flickr/Prachatai

Nessuno nega più che l’impatto dell’epidemia di Covid-19 (appena dichiarata pandemia dall'Organizzazione mondiale della sanità, ndr) è e sarà catastrofico: per le persone decedute, per le sofferenze causate anche a chi guarisce, per lo sconvolgimento di progetti, affetti e abitudini, per le conseguenze disastrose per la nostra economia. Ci sono solo alcune vittime su cui non spargeremo nessuna lacrima, a cui anzi speriamo che sia stato inferto un colpo mortale.

La prima è l’ossessione per il consumo privato rispetto al consumo collettivo. Dopo anni in cui il programma politico vincente è stato quello di “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, dove qualunque taglio alla spesa pubblica è stato giustificato pur di non meritarsi l’accusa di aver aumentato le tasse, ci troviamo tutti ad invocare più ospedali, più assistenza, più ricerca, più beni che nessun reddito da solo può comprare. Ci avevano già provato i disastri del cambiamento climatico e dell’invecchiamento delle infrastrutture a ricordarci che forse dovevamo rivedere le nostre priorità e che era meglio lavorare qualche anno in più (pensioni = 43 % della spesa pubblica) piuttosto che assistere al deterioramento dell’ambiente, fisico e naturale (protezione dell’ambiente = 3%). Ma i danni erano troppo localizzati o troppo poco evidenti nell’immediato. L’epidemia di oggi che può colpire tragicamente tutti invece ci ricorda che il benessere è fatto non solo di soldi in tasca, ma di beni che solo la collettività può procurare.

Un’adeguata assistenza sanitaria innanzitutto, in sofferenza nel nostro paese in seguito a tagli di letti e personale che solo in alcuni casi si sono accompagnati a virtuose riorganizzazioni del sistema sanitario. Ma non solo. I media scaricano ondate di biasimo sui giovani che, senza preoccupazioni per il danno che potevano arrecare ad altri, hanno ignorato ogni cautela. Ma chi avrebbe dovuto instillare la responsabilità civica in questi ragazzi? Una scuola che se non serve al futuro lavoro è considerata inutile e che dovrebbe vedere gli studenti come “clienti” esaltando competizione e individualismo? E in che modo il solo reddito individuale può sempre aiutarci a risolvere problemi di vita quotidiana? Noi di inGenere abbiamo da tempo argomentato che è necessario smettere di considerare la famiglia, eventualmente sostenuta da qualche sgravio fiscale o trasferimento monetario, la sola fornitrice di servizi di cura. Tanto per fare un esempio: in questi giorni in cui molte e molti si dibattono su come meglio aiutare i propri anziani (come faccio a portare spesa e medicine senza essere io stessa fonte di contagio?) sentiamo la mancanza di assistenza domiciliare qualificata e attrezzata.

La seconda vittima non rimpianta dell’epidemia è la tolleranza per l’incompetenza. Non parliamo solo di quella del personale politico di cui eccelso esempio è l’ex-ministro Salvini che il 27 febbraio voleva la riapertura immediata di scuole e uffici con la stessa disinvoltura con cui solo dieci giorni dopo ha chiesto misure di contenimento più severe. Ma prendiamo felicemente atto che stiamo tutti divorando informazioni su come difenderci dal virus e chi le diffonde specifica che provengono da riviste scientifiche, affermati virologi, scienziate con impeccabili CV di pubblicazioni e dottorati. Una rivincita di chi lavora con la testa.

La terza vittima (speriamo, speriamo) è l’antieuropeismo.  È  una vittima incerta, perché dipenderà da cosa farà l’Unione europea che si vede offerta un’occasione irripetibile per riaffermare uno dei valori fondanti di quello che è (era?) il modello europeo: la difesa di tutte e tutti da quei mali inevitabili della condizione umana che sono l’invecchiamento e la malattia, oltre alla garanzia di una vita dignitosa, al riparo da mali evitabili quali la disoccupazione e la povertà.  

Il servizio sanitario nazionale può essere giustamente considerato come una delle migliori creazioni del secolo scorso, un vero cambiamento epocale che ha dato a tutti in alcuni paesi per la prima volta nella storia umana il sacrosanto diritto di essere curati secondo le migliori cure disponibili. Chi avesse dei dubbi e non avesse ancora capito la differenza che il SSN, con tutti i suoi difetti, ha introdotto per la qualità della nostra vita, pensi agli Stati Uniti e ai loro 3mila dollari a tampone. Se ora la Ue, consapevole che il virus passa facilmente le frontiere, riesce a mettere sul tappeto le risorse che ha sia per l’emergenza che per un ripensamento di lungo periodo sul modello di economia che vogliamo, avrà guadagnato un consenso che nessuna propaganda mai potrebbe procurarle. E soprattutto sarà l’Europa che gli europeisti vogliono. Di un’Europa diversa non sappiamo che farcene.

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