Uguaglianza davanti alla legge e una serie di azioni positive in cui lo Stato dichiara di impegnarsi. Il dibattito sui contenuti gender-sensitive della nuova Carta è stato ed è ancora appassionato. Le perplessità non mancano, e c'è la consapevolezza che la legge, anche quella fondamentale, da sola non basta. Ma la rigida contrapposizione laici/islamisti ha cominciato a sgretolarsi proprio sui diritti delle donne
Tunisia, la Costituzione
diventa paritaria
Non ce l’ha fatta, l’Assemblea nazionale costituente tunisina, a completare il voto in aula di tutti gli articoli del progetto di Costituzione entro il 14 gennaio, in modo da far coincidere l’adozione della nuova Costituzione con il terzo anniversario della Rivoluzione. Ma la settimana scorsa è riuscita a inserire, in modo tumultuoso, sofferto e appassionato, nella Costituzione la parità uomo-donna, che viene recepita attraverso un insieme complesso e articolato di princìpi e dispositivi.
Di una cosa sono tutti consapevoli: la legge, anche la più sacra, la Carta fondamentale, scritta con il sangue dei martiri e per volontà del popolo, da sola non basta. Conterà il significato che si dà alle parole e l’implementazione di quanto essa prescrive. Al contempo però tutti sono convinti del peso delle parole – lo dimostra l’acceso dibattito intorno ad esse - e del valore dei simboli – lo dimostra l’emozione con cui è stata accolta l’adozione di alcuni articoli, con abbracci in aula e canto dell’inno nazionale. E la strenua negoziazione che ha accompagnato l’iscrizione, nella Costituzione, non solo della parità ma anche di una serie di contenuti gender-sensitive non deriva solo dalla mobilitazione delle femministe e dal costante controllo esercitato da un nucleo agguerrito di giuriste e parlamentari del fronte laico: riflette il confronto tra progetti politici, modelli sociali, contenuti culturali diversificati, e tuttavia da iscrivere entro una cornice comune di valori e regole condivise.
I media internazionali hanno dato grande rilievo all’adozione, il 6 gennaio, dell’articolo 20 che recita: “Cittadini e cittadine hanno uguali diritti e doveri. Cittadini e cittadine sono uguali davanti alla legge senza discriminazione alcuna”, formula che tuttavia ha suscitato in patria forti riserve nel fronte laico e femminista. Un punto, in particolare, stava a cuore alle associazioni delle donne: quello della “uguaglianza nella legge” (o “attraverso la legge”) che è cosa diversa, dicono, dall’uguaglianza davanti alla legge. Senza l’introduzione di questo principio, osservava già mesi addietro la giurista Sanaa Ben Achour, il tanto acclamato articolo 20 della nuova Costituzione non è poi tanto diverso, “se non nello sforzo di femminilizzazione del linguaggio”, dall’articolo 6 della Costituzione del 1959 (“Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Essi sono uguali davanti alla legge”), mentre può apparire addirittura ridondante l’insistenza sulla “non discriminazione”. E secondo la costituzionalista Hafida Chekir la giustapposizione, e in quell’ordine, dell’uguaglianza di diritti e doveri e dell’uguaglianza davanti alla legge sminuisce in qualche modo la solennità del primo enunciato.
“Certo, sull’articolo 20 abbiamo delle riserve” conferma Neila Jrad, storica femminista, dirigente dell’Afturd (Association Femmes Tunisiennes pour la Recherche et le Développement). Esso stabilisce l’eguaglianza davanti alla legge, non l’eguaglianza nella legge. Si può essere uguali davanti ad una legge non-egualitaria. Inoltre in Tunisia la parità sul piano della cittadinanza c’è da tempo. Quello che manca è l’eguaglianza nello spazio privato, nella coppia, nella famiglia. Sarebbe stato meglio se in quell’articolo si fosse detto ‘le donne e gli uomini’ anziché i cittadini e le cittadine. Tuttavia rappresenta un passo avanti.” Esso è stato approvato a larghissima maggioranza: 159 voti a favore, 7 contrari, 3 astenuti. È andata diversamente, tre giorni dopo, per il voto sull’articolo 45 che recita: “Lo Stato protegge i diritti acquisiti della donna e si impegna a sostenerli e svilupparli. Lo Stato garantisce le pari opportunità tra l’uomo e la donna ai fini dell’assunzione delle diverse responsabilità in tutti i campi. Lo Stato si adopera per realizzare la parità tra la donna e l’uomo nelle assemblee elettive. Lo Stato adotta le misure necessarie per eliminare la violenza contro la donna”. Questo insieme eterogeneo di “azioni positive” è stato adottato con una maggioranza risicata e molte voci contrarie: 116 i voti favorevoli, 40 i contrari e 32 gli astenuti. Il voto, inoltre, ha spaccato il blocco islamico (46 voti a favore, 23 contrari, 19 astenuti) ma anche gli indipendenti (28 a favore, 10 contrari, 6 astenuti) e, in diversa misura, gli altri due partiti della coalizione di maggioranza Cpr (6 a favore, 3 contro, 2 astenuti) e Ettakatol (5 a favore, 2 astenuti, 0 contrari); a votare compatto l’articolo 45 è stato solo il blocco democratico, cioè i laico-modernisti. Questo risultato è rivelatore di un dibattito assai più articolato di quanto non suggeriscano certi schematismi correnti.
Dell’articolo 45 le femministe e le donne delle associazioni sono particolarmente contente. Anche perché, spiega Neila Jrad, “mentre applaudiamo alle novità positive della costituzione siamo preoccupate per le trappole di cui questo testo è disseminato. Vi è per esempio l’articolo 21 sulla sacralità della vita, che potrebbe essere invocato contro il diritto all’aborto, il quale però rientra tra i principi acquisiti protetti dall’articolo 45. O anche quello sull’educazione, che promuove il radicamento dell’identità arabo-musulmana...Occorre fare una lettura incrociata di tutti gli articoli”. E se la parità è solo uno strumento per andare verso l’eguaglianza, essa tuttavia “agisce sulle rappresentazioni e può dunque contribuire a cambiare le mentalità”.
Ma la costituzionalizzazione dei diritti delle donne viene anche rivendicata con orgoglio da una parte delle donne del blocco islamico. In aula, tra un voto e un altro, la giovanissima deputata Imen Ben Mohamed, eletta in Italia nelle liste di Ennahda [1] si dichiara stupita del clamore suscitato dall’articolo 20: “Garantisce cose che c’erano già. Perché non si parla invece della norma che promuove la rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive?” Sono queste, per Imen, le vere novità: la costituzionalizzazione della rappresentanza delle donne (art. 33) e addirittura dell’obiettivo della parità (art. 45) nelle assemblee elettive. “Su questa costituzionalizzazione si è costituito un fronte trasversale, sorretto dalla petizione di un gruppo di deputate. Vi è stato un acceso dibattito anche tra le donne di Ennahda, tra chi voleva l’iscrizione della rappresentanza politica paritaria nella costituzione e chi nella legge elettorale”. Due gli argomenti di queste ultime: il primo è che le quote, in quanto “azione positiva”, debbono essere temporanee e quindi costituzionalizzarle è uno sbaglio; il secondo, più radicale, che alle quote contrappone la meritocrazia. Pare di sentire i dibattiti di casa nostra intorno ai modi per conseguire una “democrazia paritaria”. Senza traccia di riferimento a testi religiosi. Conclude Imen: “Con questa Costituzione noi abbiamo preso da altri ma vogliamo anche dare. Pensiamo che le norme volte a garantire la presenza delle donne nelle assemblee elettive possono servire da esempio ad altri.”
Sono proiettate dunque sul “politico” le militanti nahdawi [2], più attente invece (anche) al “personale” le femministe laiche. Queste ultime ricordano scandalizzate la parola “complementarità” applicata ai rapporti di genere in un prima bozza della Costituzione; a sua volta nei giorni scorsi Ennahda chiariva sulla sua pagina Facebook ufficiale che “Nessun articolo ha mai descritto le donne come complementari all’uomo; si sono invece descritti uomini e donne come reciprocamente complementari nel contesto della famiglia”. Sul rapporto spazio pubblico/spazio privato Imen dice: “La parità nel privato non è cosa che si iscrive nella Costituzione, è cosa che la società ha il compito di realizzare. Una Costituzione stabilisce i princìpi generali, le leggi hanno il compito di implementarli, ma esse non possono spingersi troppo nell’intimità degli individui”. Come si vede, c’è ampia materia di dibattito. Ma nell’aula della Costituente ha cominciato a sgretolarsi la rigida contrapposizione laici/islamisti: proprio sui diritti delle donne.
[1] Haraket al-Nahda, “Movimento della rinascita islamica”, abbreviato Ennahda, partito ispirato ai Fratelli musulmani, ha vinto con una larghissima maggioranza le elezioni del 2011 formando poi un governo di coalizione con il Cpr (di sinistra) e Ettakatol (socialdemocratico).
[2] Del partito Ennahda, in arabo.