Politiche

Cosa accadrebbe se l'attuale miriade di piccole misure tra voucher e bonus bebè fosse semplificata in una prestazione unica? Due esperti hanno fatto i conti, con risultati sorprendenti

Uscire dal labirinto di
voucher e bonus bebè

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Foto: Unsplash/ Louis Francia

Recenti studi sul sistema italiano delle prestazioni assistenziali a supporto delle famiglie dipingono un welfare frammentato e inaccessibile. Chiara Saraceno e Wolfgang Keck lo hanno definito "familistico e senza supporto". In altre parole, l'Italia presenta un'offerta ridotta sia di politiche a sostegno della famiglia sia di adeguati servizi per l'infanzia, specialmente nel caso di bambini sotto i tre anni. La percentuale di questi ultimi inseriti in strutture formali per l’infanzia nel 2015 ammontava infatti al 34,4%, un valore basso seppure in incremento rispetto a quello dell'anno precedente (22,9%). Inoltre, l'accesso a tali servizi per madri di origine non italiana è ulteriormente limitato, sia per asimmetrie informative, sia per l'esistenza di requisiti complessi e non sempre giustificati, oltre che per posizioni di svantaggio sul mercato del lavoro che non vengono poi compensate da adeguate politiche pubbliche di supporto all'impiego.

Il gender gap tutto italiano

In assenza di una strategia integrata di supporto alle donne e alle famiglie, l'Italia resta lo stato dell'Unione europea con il tasso più basso di occupazione femminile (48,9% nel 2017) dopo la Grecia (44,4%) e il cosiddetto gender gap, che misura la differenza fra i tassi di occupazione maschile e femminile, si attesta a circa 20 punti percentuali in media.[1] Altri indicatori che confermano disparità di genere sono la durata della vita lavorativa, di 9,5 anni più breve per le donne che per gli uomini contro una media Ue di 4,9 anni, e la proporzione di lavori part-time, al 32,7% per le donne contro l'8% per gli uomini. Questi indicatori medi celano importanti differenze regionali (con tassi d'inattività femminile più alti nel Meridione) e legate al livello d'istruzione. La cura dei figli sembra essere una causa fondamentale dei bassi tassi d'impiego femminile: circa l'80% delle donne licenziatesi nel 2016 aveva figli e il 40% di loro ha dichiarato di aver ceduto a difficoltà nel conciliare la vita lavorativa con le esigenze famigliari.[2] Le donne con livelli d'istruzione più bassi sembrano anche maggiormente condizionate, nella propria scelta di lavorare, dai costi della cura dei figli e dai disincentivi del sistema fiscale e previdenziale, specialmente in caso di coniugi a basso reddito.

Voucher e bonus, cosa non ha funzionato

Come evidenziato dalla Commissione europea nel suo Rapporto Paese 2018 sull'Italia, le misure adottate finora per far fronte ai bassi tassi d'impiego femminile difettano di pianificazione strategica e valutazione. Negli anni recenti i provvedimenti che hanno tentato di rispondere alle esigenze delle madri lavoratrici in materia di assistenza all’infanzia hanno avuto per lo più carattere temporaneo, regole poco chiare e sovrapposizione di beneficiari.

In questo contesto, sono quattro le indennità familiari principali attualmente in vigore:

  • il voucher baby-sitting (nel periodo 2017-2018 le lavoratrici madri possono richiedere, entro gli 11 mesi successivi al termine del congedo di maternità, un contributo per il pagamento di servizi di baby-sitting o dell’asilo nido per un periodo massimo di 6 mesi);
  • l’assegno di natalità o bonus bebè (somma mensile di 80 euro corrisposta per 3 anni alle famiglie con un figlio nato o adottato nel periodo 2015-2017 e un indicatore della situazione economica equivalente, Isee, non superiore a 25.000 euro);
  • il bonus mamma domani (premio una tantum di 800 euro per la nascita o l’adozione di un minore dal 2017);
  • l’assegno di maternità (prestazione assistenziale concessa dai Comuni alle madri sotto certe soglie di reddito per la nascita o l’adozione di un minore).

Tra le misure minori figurano anche la possibilità di scambiare il congedo parentale con voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting, maggiore flessibilità lavorativa e l'estensione del congedo di paternità da due a quattro giorni. Tuttavia, in assenza di adeguati incentivi al congedo di paternità, il suo uso resta limitato. 

Se ci fosse un'unica prestazione per le lavoratrici madri

Una razionalizzazione delle indennità alle donne con figli, per esempio a favore di un'unica prestazione, collegata all’attività lavorativa delle donne e quindi capace di favorirne la partecipazione al mercato del lavoro, è stata più volte oggetto di discussione in Italia ma senza reali conseguenze. Su questa base, la Commissione europea si è avvalsa del 'modello Euromod'[3] per simulare l'effetto che avrebbe tale razionalizzazione sull’offerta di lavoro e la crescita del Pil. Abbiamo simulato l’effetto che si avrebbe se le risorse finanziarie rese disponibili dall'abrogazione dei quattro principali 'bonus famiglia' ora in vigore – cioè 2,3 miliardi di euro l'anno –  fossero utilizzate per introdurre un’unica indennità assistenziale per le madri lavoratrici, di carattere permanente e collegata alla loro attività lavorativa.[4]

La nuova prestazione è stata concepita con le seguenti caratteristiche, in modo da garantire la neutralità di bilancio:

  • sarebbe erogata a lavoratrici dipendenti con Isee inferiore a 50.000 euro, che non percepiscano indennità d'invalidità e che abbiano figli sotto i tre anni inseriti in servizi di assistenza all’infanzia;
  • la prestazione corrisponderebbe al costo sostenuto per l’assistenza all’infanzia fino a un massimo di 600 euro al mese;
  • la prestazione avrebbe una durata standard di 12 mesi salvo se: entro settembre dell'anno d'introduzione il figlio compia tre anni, nel qual caso la madre avrebbe diritto all'indennità per soli 8 mesi; oppure abbia meno di 12 mesi, nel qual caso avrebbe diritto all'indennità per tutta la durata dell’assistenza all’infanzia dopo il congedo di maternità. 

I risultati della simulazione mostrati nel grafico indicano che la nuova indennità interesserebbe circa 700.000 madri lavoratrici in Italia con un ammontare medio di 265 euro al mese. L’impatto sull’offerta di lavoro delle donne aventi diritto alla nuova prestazione sarebbe rilevante: stimiamo, infatti, un aumento della loro partecipazione al mercato del lavoro di circa il 17% (corrispondente a circa 113.000 lavoratrici in più) e della media delle loro ore lavorate settimanali di circa il 20% (ciò significa che il lavoro a tempo pieno aumenterebbe di circa il 24%, il tempo parziale lungo del 13% e il tempo parziale breve del 7%). Ciò corrisponderebbe a un aumento complessivo dell’offerta aggregata di lavoro di circa lo 0,8%. Il reddito disponibile delle madri lavoratrici aumenterebbe leggermente, ma l’impatto della riforma sulla distribuzione del reddito sarebbe marginale.[5] Includendo questo 'shock positivo' sull'offerta di lavoro nel suo modello 'Quest III'[6], la Commissione conclude che l’impatto complessivo di tale riforma sulla crescita del Pil sarebbe dello 0,4% su cinque anni, principalmente grazie all'aumento dell’occupazione dello 0,5%. Queste simulazioni dimostrano il grande potenziale di crescita di una riforma a costo zero che favorisca l'impiego delle donne in Italia semplificando l'attuale 'labirinto' d'indennità assistenziali per le famiglie. 

Note

[1] Labour Force Survey

[2] Ispettorato Nazionale del Lavoro

[3] Euromod è il modello di microsimulazione della Commissione europea per il regime fiscale e previdenziale dell’Ue. Il modello permette di simulare i diritti alle prestazioni e le passività fiscali (compresi i contributi di previdenza sociale) dei singoli e delle famiglie secondo le norme vigenti in ciascuno stato membro. Le simulazioni si fondano sui dati delle indagini campionarie rappresentative provenienti dalle statistiche europee sul reddito e sulle condizioni di vita (Eu-Silc) e interessano i principali elementi delle imposte dirette, dei contributi sociali e delle prestazioni non contributive.

[4] Si ringrazia anche Tine Hufkens, del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione europea, per la codificazione dei dati nel modello.

[5] La distribuzione è misurata dall’indice di disuguaglianza di Gini.

[6] Quest III è il modello di equilibrio stocastico generale dinamico della Commissione Europea. 

Bibliografia

Carta, Francesca e Lucia, Rizzica (2016). "Female employment and pre-kindergarten: On the unintended effects of an Italian reform", Working Papers 091, "Carlo F. Dondena" Centre for Research on Social Dynamics (DONDENA), Università Commerciale Luigi Bocconi

Colonna, Fabrizio e Stefania, Marcassa (2013). "Taxation and labor force participation: the case of Italy", Bank of Italy Occasional Papers No. 191, June 2013

Colonna, Fabrizio e Stefania, Marcassa (2015). "Taxation and female labor supply in Italy", IZA Journal of Labor Policy 2015, 4:5

Commissione europea (2018). "Country Report Italy 2018 - Including an In-Depth Review on the prevention and correction of macroeconomic imbalances", SWD (2018) 2010 final, Commissione europea, Bruxelles.

INPS (2017). XVI Rapporto Annuale, Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), Roma, 2017.

Naldini, Manuela e Arianna, Santero (2018). "Immigrants’ Access to Public Childcare and Family Benefits in Italy", Abstract proposal for the 3rd Transforming Care Conference. Innovation and Sustainability Polytechnic of Milan, Italy 26-28 June 2017

Saraceno, Chiara e Wolfgang, Keck (2010). "Can we identify intergenerational policy regimes in Europe?", European Societies 2010, 12:5

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