Politiche

Il libro curato da Leila Karami e Biancamaria Scarcia Amoretti per Ediesse esplora le forme dell'attivismo delle donne nella storia contemporanea di alcuni paesi del Maghreb, del Medio Oriente, dell’area del Golfo, includendo anche Pakistan e Indonesia.

Il protagonismo delle
donne in terra d'Islam

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Il tema del rapporto tra diritti delle donne e Islam, oramai molto dibattuto in Italia, generalmente, quando si interseca con i dibattiti sulle migrazioni e sui 'nuovi' cittadini, diviene terreno di osservazioni decontestualizzate che alimentano stereotipi islamofobici o dichiaratamente razzisti. Alla base di questi discorsi vi è l’equazione essenzialista che assimila l’Islam alla sottomissione femminile. Un’idea fondata su almeno tre assunti erronei: che l’Islam sia un unicum astorico e di per sé discriminatorio nei confronti delle donne; che le donne dei paesi a maggioranza islamica siano un insieme omogeneo e immutevole, e non invece caratterizzato da diverse appartenenze politiche, religiose, di classe, generazionali; e che esse siano incapaci di agire autonomamente in un sistema politico-sociale in cui l’Islam viene usato da fonte di riferimento per il diritto di famiglia e per la normatività sociale.

A questo impianto corrisponde anche una narrativa salvifica neocoloniale, calcata su un modello d’emancipazione di stampo occidentale, che spesso ignora o trascura le molteplici forme di attivismo femminile presente nei paesi a maggioranza islamica. Il protagonismo delle donne in terra d’Islam. Appunti per una lettura storico-politica, a cura di Leila Karami e Biancamaria Scarcia Amoretti, pubblicato nella Collana Sessismo&Razzismo per Ediesse (Roma, 2015, pp. 335), intende decostruire a monte questi stereotipi. Frutto della rielaborazione dei contributi di diverse autrici – studiose, giornaliste, esperte di area, fra le partecipanti ad una serie di seminari organizzati dalle curatrici del volume alla Casa Internazionale delle Donne di Roma –, il libro si presenta come una raccolta di saggi sulla storia delle donne di diversi paesi di quello che è comunemente chiamato "mondo musulmano". Secondo il prisma d’analisi indicato nel titolo, il testo esplora le forme di attivismo femminile della storia contemporanea di alcuni paesi del Maghreb, del Medio Oriente, dell’area del Golfo, includendo anche Pakistan e Indonesia.

Senza trascurare alcuni elementi di storia antica, il volume si sofferma in particolare sull’apporto dei movimenti delle donne in un’epoca cruciale della storia dei paesi presi in esame, che va dal periodo precoloniale a quello successivo all’indipendenza dalle potenze europee, fino ad alcuni sviluppi più recenti.

Nell’introduzione generale, Bianca Maria Scarcia Amoretti presenta i nodi più controversi che rallentano l’avanzamento dei diritti delle donne nel contesto islamico, accompagnando il lettore sino all’epoca contemporanea. Tra le sfide di questa epoca è fatto accenno alle proposte riformiste delle teologhe critiche femministe per una rilettura ugualitaria delle fonti 'sacre' del diritto. Per quanto riguarda le specificità nazionali, il libro si caratterizza per una disomogeneità metodologica dei contributi, che le curatrici definiscono “appunti e spunti” e “volutamente, niente di sistematico” (p.15).

Dalla restituzione dei seminari organizzati alla Casa internazionale delle Donne e che sono alla base di questo libro, emerge un puzzle multifocale della storia delle donne dei contesti esplorati. In alcuni capitoli la trattazione ha un respiro storico e giuridico ampio, come quelli di Leila Karami sull’Iran, di Ayse Saraçgil sulla Turchia, di Deborah Scolart sui paesi del Maghreb e di Ersilia Francesca sulla penisola araba. Altri sono incentrati su alcuni profili di attiviste, come il cammeo narrativo su Malalai Joya a cura di Marisa Paolucci o le testimonianze raccolte in Somalia da Maria Vittoria Tessitore.

Il tentativo di armonizzare il lavoro emerge dall’importanza attribuita in tutti i casi ad alcuni temi come l’istruzione e la lotta all’analfabetismo, o al ruolo di alcuni profili di attiviste sia nei movimenti femministi che nel cambiamento storico del proprio paese. Particolare rilevanza è riconosciuta alle battaglie del femminismo laico, per uno stato di diritto in cui le regole dei codici di famiglia siano scorporate dalle norme di ispirazione islamica.

Nell’impianto globale del testo emerge anche l’attenzione ai dibattiti che gli studi di genere hanno avuto il merito di sollevare: ci si riferisce qui all’efficacia prospettica dell’approccio intersezionale che, oltre all’identità religiosa, considera come categorie utili all’analisi storica, politica, sociologica anche le categorie di classe e origine ‘etnica’. Il volume sottolinea l’importanza di simili prospettive, posizionandosi nel dibattito italiano con un intento politico: infatti, non solo decostruisce con linguaggio pacato e deciso stereotipi scivolosi, testimoniando con tridimensionalità storica il fermento dei movimenti delle donne nella storia dei paesi presi in esame, ma lo fa secondo una direzione di marcia ben precisa. E ciò sembra accadere nel segno di quanto espresso da Edward Carr, il quale sostiene che ogni risposta alla domanda “che cosa è la storia?” non possa prescindere dal chiedersi “qual è il giudizio sulla società in cui viviamo”.[1]

L’intento delle curatrici sembra manifestamente politico nel momento in cui, posizionandosi in prima persona, s’interrogano sul senso del fare storia nell’Italia dell’incontro culturale di oggi, in cui 'nuove' soggettività partecipano allo spazio pubblico e al cambiamento storico-sociale, in una sempre più imprescindibile connessione con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in generale con quelli a maggioranza islamica.