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Usa, il calo delle nascite si è fermato. Ma molte cose sono cambiate

Dati
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I dati sono arrivati ai primi di settembre e più d’uno si è spaventato. “La natalità negli Stati uniti tocca un nuovo record negativo” annunciava allarmato il conduttore di Cnn, seguito a ruota da quello della Abc che raccontava come nel 2012 fossero nati solo 63 bambini ogni mille donne in età fertile. Ma i demografi, abituati a guardare al domani più che all'oggi, hanno al contrario festeggiato. Perché, come spiega Kenneth Johnson, docente dell’Università del New Jersey, i dati elaborati dal Center for deasease control and Prevention di Atlanta, raccontano in realtà un’altra storia. «Il declino delle nascite, che è stato drammatico in questi anni, si sta stabilizzando, anche se ci vorrà un anno ancora per vedere una vera inversione di tendenza». Ancor più ottimista il suo collega Stam Sturgeon. «Se la ripresa economica continuerà ai tassi di oggi – prevede il direttore della Demographic Intelligence – già nel 2013 vedremo una chiara crescita della natalità negli Stati Uniti, raggiungendo  la media di 1,9 bambini per ogni donna tra i 15 e i 44 anni». Un tasso certo lontano dai picchi mitici degli anni ’50, quando la media era addirittura di 3,8, ma l’inizio di una nuova curva ascendente. Guidata, dice sicuro Sturgeon, dalle trentenni, quelle che più di tutte, negli anni bui della grande recessione, erano state costrette a mettere in un cassetto il loro desiderio di divenatre mamme. 

Ma non tutto tornerà come prima, perché a leggere con attenzione i dati del Cdc di Atlanta si scopre quanto la crisi economica abbia in realtà mutato nel profondo il rapporto delle donne americane con la propria maternità. 

Perché se, come era prevedibile, erano state le giovani le prime a lasciare il campo, probabilmente non saranno loro, e soprattutto non saranno le giovanissime, a guidare  la ripresa dei tassi di natalità. Nel nuovo panorama infatti non ci sarà posto, per fortuna, per le mamme bambine, quelle che, a cominciare dalla fine degli anni ’80, erano diventate una vera e propria epidemia negli Stati uniti. Su qesto i dati parlano chiaro, già dal 2011, ed è una bella vittoria per chi ha combattuto in questi vent'anni per ridurre i danni della “teenager pregnancy”. Spesso proprio nella scuole, dove, nel tentativo di tenerle sui banchi comunque, sono stati aperti migliaia di appositi asili nido. Nel solo 2010 l’amministrazione Obama ha investito proprio qui ben 150 milioni di dollari. 

La vera novità però, non è venuta da giovani e giovanissime, convinte o costrette a rimandare la loro maternità. Chi pare aver smesso di sognare di metter su una famiglia numerosa è proprio chi invece, negli ultimi decenni, aveva gonfiato le vele della natalità made in Usa. Sono infatti le donne immigrate di tutte le età che ora fanno sempre meno figli. Nel 2011, secondo i dati del Pew Research Center, mancava all’appello ben il 14 per cento delle donne nate fuori dal paese. Se poi il paese d’origine era il Messico (da cui proviene più del 50 per cento degli immigrati americani) la percentuale saliva fino al 23 per cento. E su questo fronte, nulla è cambiato nemmeno nel 2012. Anzi, è aumentato il numero di chi tra loro non fa più figli, anche se solo dell’1 per cento. 

Potrebbe essere una scelta, un mutamento del proprio stile di vita, un segno di quell’emancipazione che fa del resto calare la natalità anche nei paesi che una volta chiamavamo “terzo mondo”. Ma negli Stati uniti, purtoppo, spesso rinunciare a una famiglia numerosa è un sacrificio necessario. La grande recessione infatti non è finita per tutti, i disoccupati, e le disoccupate, si contano ancora a milioni e milioni, i tassi di povertà sono saliti vertiginosamente così come si è ancor più spaventosamente allargata la forbice della diseguaglianza. Colpendo duramente proprio la comunità dei latinos. Basta pensare che nell’agosto scorso, mentre la disoccupazione negli Stati uniti era scesa al 7,4,  la percentuale, tra chi è arrivato qui dal Messico o dagli altri paesi del Sud America, era ancora al 9,4. E in un paese in cui non esiste un welfare degno di questo nome, senza asili nido, dove si va a lavorare una settimana dopo aver partorito, il costo della maternità per molte è diventato insopportabile.

Ma ovviamente tutto è relativo. Se si guarda per l’appunto all’Europa, o al Giappone, le donne americane continuano a essere mamme, e molto piu’ spesso che altrove. E così, sostengono i demografi, continueranno nei prossimi decenni.

I dati questa volta vengono dalle stanze delle Nazioni Unite, là dove si studia la natalità in una prospettiva globale. Le previsioni, pubblicate l’estate scorsa, sono di lunga durata, visto che si esaminano i trend di qui alla fine del secolo. E dicono che nel 2100 abiteranno la terra ben 10 miliardi e 900 milioni di umani, 700 milioni più di quanto le stesse Nazioni Unite prevedevano quattro anni fa. La crescita però è sempre più diseguale, perché in Germania e in Russia, così come in Cina o in Brasile, la curva della natalità è nettamente in discesa. Mentre non sarà così in Francia (grazie alle politiche di aiuto alla maternità) in India e soprattutto negli Stati uniti. Una tendenza confermata anche dalle analisi di Sanjeev Sanyal, che studia i trend demografici per la Deutsche Bank, ma che contesta il risultato finale. Sostenendo che le Nazioni unite sottovalutano il declino delle nascite, che finirà per toccare, nella metà del secolo, tutti i paesi e i continenti. Portando la popolazione mondiale, nel 2100, solo a quota 8 miliardi, ovvero 3 di meno di quanto dicono le ricerche degli esperti del Palazzo di vetro di New York.

(Giovanna Pajetta)