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Le definizioni di famiglia, filiazione, genitorialità si aprono a nuove possibilità. Bisogna però individuare i punti in cui ciò che è scientificamente possibile, è anche consentito dal punto di vista giuridico. Ecco perché multidisciplinarità e confronto, anche con le normative estere, sono necessari

Biodiritto, un ponte tra
scienza, etica e legge

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Foto flickr/Auraelius

Il legame tra corpo e procreazione che muta radicalmente aspetto, la scienza che dà nuove, inedite possibilità, le categorie tradizionali che devono essere ridefinite. Le tecniche di inseminazione artificiale hanno aperto scenari nuovi, hanno fortemente inciso sulla vita di molte persone. E hanno imposto cambiamenti (e scontri) giuridici. Il “biodiritto” è il nuovo ambito disciplinare che si occupa dell’intreccio tra diritto, scienza e bioetica secondo una prospettiva metodologica che pone a fondamento l’interdisciplinarietà e la comparazione giuridica. Di questo intreccio dà conto il sito www.biodiritto.org, nato dall’omonimo gruppo di ricerca che fa capo alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento, sotto la direzione scientifica del prof. Carlo Casonato.

Con le tecniche della procreazione medicalmente assistita (pma), il rapporto tra procreazione e corpo femminile assume fisionomie inedite, il progresso scientifico – in questo come in molti altri casi – incide sulle categorie e sulla loro tradizionale collocazione. Le definizioni di famiglia, filiazione, genitorialità si aprono a nuove possibilità, ponendo in una luce diversa categorie che appartengono innanzi tutto alla nostra esperienza personale, prima ancora di rilevare giuridicamente. Si aprono allora possibilità che sono sempre più vicine ai desideri degli individui; ma sono poi gli ordinamenti ad individuare gli spazi di coincidenza tra ciò che diventa scientificamente possibile e ciò che è consentito da un punto di vista giuridico. Coppie dello stesso sesso, individui singoli, persone che hanno mutato il proprio sesso chiedono di poter fare ciò che la scienza ha reso possibile, realizzando un desiderio di genitorialità, che talvolta si scontra con i limiti posti dagli ordinamenti giuridici. Quando in tale scontro si ravvisa la negazione di diritti fondamentali, si giunge di fronte alle Corti, nazionali ed internazionali: basti pensare al ruolo sempre più incisivo della Corte di Strasburgo in questa materia, i cui giudici sono stati spesso chiamati al vaglio di compatibilità tra ciò che gli individui non possono fare nel proprio ordinamento con riferimento alle normative relative alla procreazione medicalmente assistita ed i diritti fondamentali garantiti nella Cedu.

Anche nell’ambito delle coppie eterosessuali, la configurazione della procreazione come questione di genere cambia fisionomia, per un elemento di non poco conto: in parte essa “esce” dal corpo della donna. Per l’interruzione volontaria di gravidanza la legge italiana dà alla donna la possibilità di “blindare” le proprie decisioni: il padre del concepito può infatti entrare nel percorso di scelta della donna, ma solo se essa manifesti il proprio consenso. Nella pma la figura del padre del concepito – un concepito che si trova fuori dal corpo femminile (ad esempio gli embrioni crioconservati in attesa d’impianto), o che ancora non c’è (poiché ad essere conservati sono invece i gameti) – assume rilevanza giuridica, come nei casi drammatici che vedono opporsi ex partner sulla destinazione degli embrioni: chi vuole che siano donati alla ricerca, chi intende procedere all’impianto, chi propende per la loro  distruzione o semplicemente per il loro “abbandono”. In tutti questi casi si assiste allora alla dolorosa contrapposizione del diritto a diventare genitore e del diritto a non diventarlo contro la propria volontà ed ancora una volta ci si rivolge ai giudici, chiedendo loro di farsi carico di una decisione in cui non c’è spazio per il compromesso, poiché quell’iniziale desiderio di genitorialità non più condiviso può ora dar luogo solamente a soluzioni tra loro alternative.

Si pone, dunque, un’esigenza di chiarezza che gli ordinamenti giuridici non possono disattendere, pena un’incertezza che rischia di penalizzare tutti i soggetti coinvolti, in primis i nati da tecniche di questo tipo.

Alcuni ordinamenti si sono fatti carico di queste problematiche, fin nel dettaglio, come ad esempio la legge britannica sulla procreazione medicalmente assistita (HFEA, del 2008), che dedica numerosi articoli a definire ciò che non può più essere lasciato all’intuizione che nasce dall’esperienza personale (madre è chi partorisce un bambino), ma che impone un’attenzione a tutte le diverse combinazioni che nascono dall’intersezione tra scienza e diritto. Abbiamo così la definizione legislativa di chi è mother, di chi è father e di chi non è da considerarsi giuridicamente né l’uno né l’altro (i donatori di gameti ad esempio), ma anche di chi vada definito come other parent (ad esempio la compagna della madre biologica), poiché l’ordinamento giuridico britannico riconosce giuridicamente le unioni tra persone dello stesso sesso, pur nell’agevolazione di una lingua che non impone il genere dei sostantivi e, da questo punto di vista, semplifica un po’ le cose.

Ad ulteriore complicazione, poi, interviene la mobilità delle persone, che è anche mobilità dei pazienti. La divergenza tra ciò che i differenti ordinamenti giuridici consentono diventa allora rilevante, poiché quello che le persone non possono fare nel proprio territorio nazionale, si recano all’estero per farlo egualmente. Le differenze di disciplina diventano allora lacune, quando chi si reca in altri paesi per concepire figli secondo percorsi non consentiti dall’ordinamento giuridico italiano (ad esempio con la maternità surrogata, o nell’ambito di coppie dello stesso sesso), ritorna poi in Italia scontrandosi con il mancato riconoscimento giuridico del proprio nucleo familiare.

Ma abbiamo visto che il superamento dei confini non è solo fisico. Tematiche che coinvolgono la vita quotidiana di un numero crescente di persone si fanno sempre più ampie. Da qui la necessità di un approccio multidisciplinare. E di confronti tra ambiti e paesi diversi. Per questo biodiritto.org dà notizia delle questioni d’attualità giuridicamente rilevanti descrivendo, ma anche analizzando e raffrontando: dalle principali tappe del “caso Stamina”, alle ultime novità legislative in tema di interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti, all’intreccio complesso di sentenze e normativa che ha visto la legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita modificare radicalmente la propria fisionomia iniziale. Il sito è occasione di confronto, fornendo in prima battuta una sorta di “decodifica” del dato giuridico, rappresentando i principali passaggi delle sentenze e della normativa richiamati in un breve abtsract, e fornendo poi numerosi spunti di riflessione a partire dall’accostamento e dal raffronto tra le diverse questioni giuridiche considerate. La volontà di confronto interdisciplinare e comparato ha poi avuto seguito nel “Biolaw Journal - Rivista di BioDiritto” (www.biodiritto.org/rivista, liberamente scaricabile), nata quest’anno a partire dall’esperienza di ricerca del gruppo BioDiritto in collaborazione con le Università di Parma e Ferrara, in cui le medesime problematiche sono state analizzate nella prospettiva giuridica, ma anche bioetica e biomedica, non limitandosi all’ordinamento giuridico italiano ma in prospettiva comparata.

Tutto questo nella consapevolezza che, al di là di smarrimento o entusiasmo che i mutamenti scientifici possono determinare, il giurista ha un primo compito: comprendere. Quindi, dialogare, anche quando è complicato.