Politiche

Nei casi di violenza domestica, la separazione rappresenta un momento di particolare rischio per le donne e per i figli. I dati spiegano perché e cosa manca ancora da parte delle istituzioni 

Che ne è della violenza
dopo la separazione

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Foto: Flickr/Jonathan Moreau

La Convenzione di Istanbul ha sottolineato come la violenza contro le donne sia una “violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.

Inoltre, come affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità, “si stima che la violenza sia una causa di morte e invalidità per le donne in età riproduttiva altrettanto grave del cancro”. Si tratta quindi di un serio problema di salute pubblica.

Quanto è diffusa la violenza contro le donne? Un'indagine europea condotta dalla Fundamental Right Agency (2014) su un campione di 42000 donne di età compresa fra i 18 e i 74 anni che vivono nell’Unione europea ha riportato che, complessivamente, una donna su tre in Europa ha subito violenza fisica e/o sessuale durante la vita. Inoltre il 43% delle donne in Europa ha esperito una qualche forma di violenza psicologica da parte del partner: comportamenti di controllo, violenza economica, minacce, insulti, comportamenti abusivi nei confronti dei figli e delle figlie. In Italia i dati sulle violenze subite dalle donne sono in linea con ciò che è stato rilevato a livello europeo. A commettere queste molteplici forme di violenze sono nella maggioranza dei casi partner o ex partner. Infatti, le violenze che accadono in una relazione di intimità sono fra le violenze maschili contro le donne più diffuse a livello mondiale.

La violenza domestica si configura così come un’esperienza comune per moltissime donne e per i loro figli, che possono a loro volta subirla direttamente e/o diventare vittime di violenza assistita, ormai riconosciuta come una vera e propria forma di abuso all’infanzia. A questo proposito, lo studio del segretario generale dell’Onu sulla violenza contro l’infanzia rileva in modo molto chiaro che la violenza domestica paterna raddoppia il rischio di violenza sui bambini e dati simili si riscontrano anche nella realtà italiana, dove ben due terzi dei mariti violenti sono violenti anche nei confronti dei figli. 

Queste violenze, che tipicamente iniziano durante la relazione di coppia, ben prima della separazione, spesso ne rappresentano la causa. Ma è vero che la separazione rende le donne libere dalla violenza?

Nei casi di violenza domestica, contrariamente alle speranze di molte donne e alle aspettative sociali in proposito, la separazione rappresenta un momento di particolare rischio. Le ricerche internazionali mostrano che una donna separata corre un rischio di violenze da parte del partner di trenta volte maggiore rispetto a una donna sposata e se divorziata di nove volte maggiore. Tre donne su quattro continuano a subire violenza dall’ex partner anche dopo la fine della relazione. I dati mostrano che la violenza spesso non si interrompe quando la coppia si separa e anzi, soprattutto se ci sono minori, continua e può aggravarsi dopo la separazione. In Italia, la ricerca sui femminicidi di Eures e Ansa (2012) riporta che circa due terzi dei femminicidi avviene nei tre mesi seguenti la fine di una relazione con un uomo violento. 

Violenza contro le donne e violenza sui bambini risultano così essere fortemente correlate anche dopo la separazione. È pertanto cruciale guardare a queste come a un unico problema sociale a cui dare una risposta integrata, superando, in virtù del confronto con i dati di ricerca, la speranza che un partner violento sia comunque un buon padre e focalizzando l'attenzione sulla protezione e sulla sicurezza della donna e dei figli. 

Spesso i professionisti di area psico-sociale e giuridica falliscono nell’individuare la presenza della violenza da parte del partner soprattutto durante il processo di separazione, arrivando a decisioni potenzialmente pericolose per le donne e per i figli. La gestione delle situazioni di conflitto per l’affido dei figli in contesti in cui c’è o c’è stata violenza domestica rappresenta una situazione complessa, in cui si contrappongono logiche diverse e a volte opposte: la protezione dalla violenza da una parte e i diritti genitoriali degli ex-coniugi, e del padre in particolare, dall’altra. In Italia, la situazione si è ulteriormente complicata con l’entrata in vigore della legge 54/2006, riformata con l'introduzione della legge 219/2012 e del Decreto legislativo 154/2013, in quanto è stato introdotto, come prassi, l’istituto dell’affido condiviso tra entrambi i genitori. L’obiettivo principale di questa legge è garantire la continuità dei legami affettivi, attribuendo uguale importanza ad entrambi i genitori. Nulla di più giusto nelle situazioni non caratterizzate da violenza domestica.  

Che cosa accade invece nei casi in cui la violenza è presente? Il quadro che emerge è preoccupante. I dati dimostrano gravi limitazioni e mancanze nella valutazione sia della violenza domestica che degli abusi sui bambini e sulle bambine. Chiari episodi di violenza vengono molto spesso trattati come “conflitti”, offuscandone così la gravità e la responsabilità di chi li ha compiuti e rendendo inoltre legittimi strumenti, come la mediazione familiare, che invece sono vietati in presenza di violenza dalla legge.  

Come rilevato dalle ricerche in proposito, dato che la violenza sulle donne e sui bambini spesso non viene vista, si hanno uguali esiti dell’affidamento tra casi in cui questa è o meno presente. I padri accusati di aver agito violenza domestica, infatti, hanno la stessa probabilità dei padri non violenti di ottenere l’affidamento dei figli. Inoltre, gli uomini autori delle violenze sono spesso considerati in modo più favorevole rispetto alle donne vittime della violenza; questi uomini possono infatti apparire più adatti e manipolare gli operatori esprimendo il desiderio di affidamento condiviso. Le madri che sollevano la questione della violenza subita invece ricevono meno decisioni favorevoli sull’affidamento dei figli e hanno meno probabilità di ottenere l’affido esclusivo. 

Dalle testimonianze delle donne vittime e sopravvissute alla violenza domestica e degli operatori coinvolti in questi casi emerge un quadro allarmante, in cui la violenza viene occultata e le vittime, troppo spesso, non tutelate. 

I servizi sociali e legali spesso non prendono in considerazione i fattori che sono rilevanti per il miglior interesse dei bambini e delle bambine, come la Child Convention on the Rights of children del 1990 obbligherebbe. Inoltre, è chiaro che la violenza domestica non è né valutata né presa in considerazione nei casi di affido post-separazione. Politiche e procedure dovrebbero riflettere la complessità di questi casi, ritenere gli autori delle violenze responsabili e supportare le vittime.

Serve una formazione specifica sulla violenza domestica per tutti i professionisti. La legge ammette forse l’ignoranza? 

Riferimenti

Feresin M., Anastasia F., Romito, P. (2017), La mediazione familiare nei casi di affido dei figli/e e violenza domestica: contesto legale, pratiche dei Servizi ed esperienze delle donne in Italia, in “Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza”, XI (2). 

FRA, (2014), Violence against women: an EU-wide survey. Main Results, Publication Office of European Union.

Pinheiro, P. S. (2006), World Report on Violence Against Children, United Nations Secretary-General's Study on Violence Against Children, Geneva

Romito P., Folla N., Melato M. (2017), La violenza sulle donne e i minori. Una guida per chi lavora sul campo, Ed. Carrocci Faber, Roma.

Questo articolo nasce dalla tesi di laurea vincitrice nel 2016 della borsa della Fondazione Sapienza intitolata a Francesca Molfino contro la violenza sulle donne. 

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