Politiche

Cinquant'anni di nidi per l'infanzia in Italia. Un traguardo importante, per un paese che ha ancora tanto bisogno di una politica che investa in infrastrutture sociali, prima ancora che in grandi opere

Cinquant’anni
di nidi

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Foto: Unsplash/ Kristin Brown

Il 9 novembre del 1969 a Bologna si apriva il primo asilo nido comunale italiano. Si trattava di un servizio assolutamente innovativo. La storia che ne è seguita è fatta di tanti bambini, di tante donne e di una grande politica. Il Patini, così si chiama ancor oggi il nido bolognese, offriva per la prima volta alle donne-madri la possibilità di continuare a lavorare fuori casa e fin da subito si caratterizzava come luogo sicuro e accogliente dove i bambini potevano crescere serenamente. A novembre il comune festeggerà cinquant'anni di una storia che ha ancora molto a che fare con il presente.

Dall’Omni al nido

Piccolo passo indietro nel tempo: prima del nido, a Bologna c’erano già servizi simili in città e non solo. Erano gli Omni (Opera maternità nazionale italiana) ed erano luoghi molto diversi dai futuri nidi. Erano spazi destinati ai più poveri e offrivano ai bebè pulizia, cibo, caldo e poco altro.

“Nessun gioco, nessuna attenzione ai bambini. Il primo giorno che ci andai mi strapparono letteralmente il bambino dalle braccia che piangeva disperato e mi dissero di andare via e di non preoccuparmi...Non resistetti che una settimana in quel posto...”

Chi racconta è Adriana Lodi la “mamma di tutti i nidi”. Erano passati pochi anni da quell’esperienza e Adriana, che nel frattempo era diventata assessore a Bologna, mentre era in viaggio in Norvegia decise “...di contattare un cugino che viveva da alcuni anni in Svezia. Sapevo che là c’erano dei servizi per i bambini molto diversi dagli Omni e volevo vederli”.

A sue spese Lodi prende un aereo e vola a Stoccolma dal cugino che nel frattempo organizza una visita in quelle nuove strutture educative che in Italia erano sconosciute.

“Avevo solo una macchinetta per fare le foto, e quello che non riuscivo a fotografare lo disegnavo per ricordare come erano strutturati questi asili, che mobili avevano, come erano disposti i giardini… Erano una cosa incredibile! ”

Adriana torna a Bologna con tante idee, appunti fotografici e schizzi. Inizia a progettare con gli uffici competenti del comune. I problemi sono molti, primo tra tutti: dove trovare i soldi?

“Un industriale ci contattò e disse che era disposto a finanziare l’impresa a patto che il comune ci mettesse il terreno, che si realizzasse nel suo quartiere e che il nido fosse intitolato ai suoi genitori”.

E così succede. Nel frattempo, Lodi viene chiamata a Roma per ricoprire la carica di deputata e a Roma il suo impegno per i nidi continua.

La legge dei nidi per tutti

Nel 1971, dopo aspre battaglie politiche, la legge 1044 venne approvata e gli asili nido d’infanzia divennero una realtà da diffondere a livello nazionale. Non fu semplice, ci furono molte lotte ideologiche. In tanti ritenevano che le mamme dovessero essere le sole a dover badare ai bambini, ma in piazza le donne si agitavano e arrivavano a Roma da ogni parte d’Italia per sfilare in corteo: chiedendo gli asili nido.

“Ci furono due grandi manifestazioni di piazza, ma non solo quelle. Noi donne del PCI, le donne dell’UDI, i sindacati, e alcune associazioni avevamo coordinato un lavoro congiunto. In ogni territorio le attiviste chiedevano di incontrare i deputati di riferimento per chiedere che la legge fosse approvata”.

Eppure, nonostante tanto movimento e mobilitazione, a un certo punto la legge subì un arresto. Racconta Lodi: “Fu bloccata alla commissione bilancio perché i nidi, secondo l’allora ministro al tesoro Mario Ferrari Aggradi, non erano una spesa produttiva! Incredibile davvero! Come se fossero produttive solo le grandi opere come le autostrade. Quelle sì che fanno crescere il paese, sopratutto quando andiamo a contare i morti che producono”.

Nel dicembre del 1971 la legge 1044 venne finalmente approvata. Dopo oltre trent’anni, Lodi rientra in un nido e racconta: “Una volta che sono diventata nonna ho portato mio nipote ad un nido comunale di Bologna, erano passati tanti anni da quando avevamo aperto i primi nidi. Che bellezza! Ora mio nipote piangeva, non quando lo lasciavo al mattino ma quando andavo a prenderlo! Ho pensato di aver fatto proprio un bel lavoro!” 

I nidi di oggi, pochi e costosi

Facciamo un grande balzo in avanti e arriviamo all’attualità. I nidi oggi sono pochi, lungo lo stivale se ne contano circa 13 mila (negli anni ‘70 si prevedeva di aprirne 10 mila). I pochi servizi presenti sono mal distribuiti perché al sud non ci sono o sono pochi. Dove ci sono, prevalentemente nelle grandi città del centro e del nord invece, i nidi costano troppo e sono tanti i genitori che vi rinunciano perché non ce la fanno a sostenere le rette, come ha raccontato con estrema chiarezza Aldo Fortunati, direttore dell’area educativa dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, tra i massimi esperti in fatto di nidi e scuole d’infanzia in Italia.

Ora che la legge 1044 è andata 'in pensione' si è avviata la stagione di una nuova legge, la n.65, che ha riconosciuto i nidi come il primo tratto del sistema educativo. Li ha legati alla scuola d’infanzia e ha trovato alcune centinaia di milioni per sostenerli. Ma nonostante questo investimento, anche nell'ultimo report, pubblicato in questi giorni dal ministero del lavoro, le donne intervistate dichiarano di lasciare il lavoro dopo la gravidanza perché non hanno un sostegno e perché i servizi costano troppo.

Uno spreco che non possiamo permetterci

Nel corso del tempo i nidi hanno dimostrato che l’idea di Adriana Lodi è un’idea strategica e vincente da tanti punti di vista, perché i nidi sono un ottimo sostegno per le donne lavoratrici, e perché il doppio stipendio in famiglia riduce sensibilmente le povertà: se tante donne lavorano il Pil cresce. Ma abbiamo anche capito che i nidi sono un ottimo investimento a lungo termine, infatti i bimbi che frequentano un buon servizio educativo hanno migliori risultanti scolastici, hanno meno difficoltà d’integrazione sociale, hanno meno rischi di emarginazione, abbandonano meno gli studi, delinquono di meno. Risultati confermati dai dati della commissione Ue e da numerosi studi, tra i quali anche le ricerche del premio Nobel Jeams Hekman.

Eppure oggi siamo di fronte a una situazione critica: non sappiamo se l’investimento triennale per qualificare i servizi, ampliare l’offerta e abbassare le rette sarà rinnovato nel 2020. Ma sappiamo che se mancheranno nuovi investimenti, quelli fatti nei tre anni precedenti andranno 'persi'. Una storia che abbiamo già visto quando il piano straordinario nidi, avviato durante il governo Prodi, non è stato riconfermato dal governo di Silvio Berlusconi. In quel momento i nidi hanno avuto vita difficilissima: le rette sono aumentate, tanti servizi hanno chiuso, i nidi sono peggiorati dal punto di vista qualitativo, e i genitori hanno iniziato a diffidare. Uno spreco che non possiamo permetterci. Non sarebbe giusto per le donne, per gli sforzi di Adriana Lodi, e nemmeno per i bambini. Allora mentre festeggiamo Adriana Lodi e la storia dei nidi ripensiamo alla grande politica, quella scritta con la maiuscola, e tentiamo di riflettere come trovare una nuova strada per continuare a far vivere al meglio questi servizi che in 50 anni ci hanno saputo dare tanto.