Le politiche alimentari delle città hanno il potenziale per favorire una transizione a modelli di produzione e di consumo più sostenibili, ma tendono ancora a non considerare le disuguaglianze di genere, soprattutto nel cosiddetto Nord globale
In un periodo storico caratterizzato da numerosi sforzi per modificare i nostri comportamenti in modo da renderli più sostenibili, è necessario interrogarsi anche su quali categorie di persone saranno più colpite dai cambiamenti in corso.
L'alimentazione, e più in generale i sistemi alimentari, in tutti i loro passaggi – dalla produzione fino al consumo e alla gestione dei rifiuti, è sicuramente un ambito essenziale a cui prestare attenzione in questo processo.
Come stima uno studio recentemente pubblicato nella sezione 'food' della rivista scientifica Nature, le emissioni di gas climalteranti dovute al sistema alimentare globale rappresentano tra il 21% e il 37% di tutte le emissioni antropogeniche, quindi prodotte dall'attività umana.
In questo contesto, è impossibile non considerare il ruolo che svolgono le città. Sia la letteratura accademica che i soggetti coinvolti nella governance dei territori riconoscono ai centri urbani un ruolo strategico in questa sfida.
In primo luogo bisogna considerare che le aree urbane consumano più cibo di quanto ne producano, e sono dunque anche più soggette a eventuali impatti negativi causati da disfunzioni nella catena di approvvigionamento. I centri urbani sono fortemente caratterizzati dal problema dello spreco di cibo, proprio a causa dello stile di vita e delle pratiche di consumo che li caratterizzano.
Inoltre, fatto che le aree urbane tendano a presentare disuguaglianze socioeconomiche più forti si ripercuote sulla tenuta della sicurezza alimentare, che nelle città risulta infatti più problematica.
In secondo luogo, le città sono rilevanti anche in quanto 'soggetti' con un grande potenziale dal punto di vista delle strategie e delle azioni che possono adottare per rendere più sostenibili i sistemi alimentari.
Uno degli strumenti più innovativi esistenti per affrontare in modo integrato e sistemico le attuali sfide legate al cibo sono le cosiddette politiche locali del cibo (urban food policies), vale a dire documenti di indirizzo adottati da comuni e municipi per iniziare a contrastare la storica tendenza al considerare – erroneamente – il cibo come un problema privato, individuale, nonché principalmente rurale.
Da questo punto di vista, Milano è considerata una delle città pioniere a livello internazionale. Non solo per la sua Food policy innovativa, ma anche e soprattutto per lo sforzo che negli ultimi anni ha messo in campo verso la creazione di uno spazio di confronto internazionale tra città impegnate su questi temi. Si tratta del Milan Urban Food Policy Pact, lanciato nel 2015 in occasione di Expo, che attualmente conta sulla firma di 280 città.
Tra le città italiane, anche a Torino, Roma e Lucca stanno nascendo iniziative legate a una migliore gestione del cibo. Più in generale, in tutto il mondo le città si stanno imponendo come soggetti innovatori, prendendo l'iniziativa per riempire il vuoto politico dovuto alla mancanza di attenzione all'alimentazione come tema di azione politica e, soprattutto, alla tendenza ad affrontare separatamente i vari problemi correlati, senza uno sforzo di prospettiva d'insieme.
Le politiche locali del cibo nascono invece proprio con l'intento di colmare questa lacuna e favorire la transizione sostenibile dei sistemi alimentari, offrendo una visione integrata che tenga conto di tutte le fasi del processo e delle loro interconnessioni.
Tuttavia, in maniera simile a tante altre transizioni, come quella energetica, anche la transizione alimentare si porta dietro il rischio di influire in modo diverso sulle persone sulla base di vari fattori, come la situazione economica, il livello di istruzione, la posizione geografica, e anche il genere.
Perché genere e alimentazione sono connessi
Infatti, molte iniziative e azioni che negli ultimi anni sono state pensate per la transizione sostenibile dei sistemi alimentari urbani, sebbene preziose per l'ambiente, rischiano di aumentare le disuguaglianze esistenti, o di farne riemergere alcune che – in teoria – possono essere considerate come già superate.
Come evidenziato dalla letteratura accademica e dai report di organizzazioni internazionali come l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), alcune delle principali differenze di genere nei sistemi alimentari riguardano le differenze nei consumi, nelle diete, nell'incidenza dei disturbi dell'alimentazione, nella rappresentazione e nella qualità degli impieghi nel settore alimentare (dalla produzione fino all'industria dei servizi), nell'accesso alla terra e all'imprenditorialità agricola, e nella distribuzione del lavoro di cura legato alla nutrizione.
Infatti, storicamente e culturalmente, questo lavoro, il tempo da dedicarvi, e l'onere mentale legato all'approvvigionamento e alla preparazione del cibo e all'alimentazione domestica hanno pesato in modo sproporzionato sulle spalle delle donne.
Si tratta di ruoli di genere che tendiamo a dare per scontati, in quanto legati ad azioni quotidiane come quella di mangiare. Bisogna tuttavia riconoscere che, anche in città o zone del mondo che forse percepiamo come più egualitarie dal punto di vista dell'occupazione e dell'accesso all'istruzione delle donne, esiste ancora una sproporzione rispetto al lavoro di cura legato al cibo e alla nutrizione.
Eppure, la ricerca scientifica tende a concentrarsi sulle differenze di genere nei sistemi alimentari quasi solo nei paesi a medio e basso reddito, dove le disuguaglianze di genere riguardano ancora temi come l'accesso vero e proprio al cibo e all'acqua potabile, e persistono gravi situazioni di insicurezza alimentare.
Se, da un lato, è innegabile che l'attenzione e la ricerca su queste aree siano urgenti e rilevanti, dall'altro è stato evidenziato il rischio, nelle ricerche su questi temi, di ignorare il cosiddetto Nord Globale, dovuto a una falsa considerazione di questo contesto come già pienamente egualitario.
Recentemente, studiosi e studiose hanno però iniziato a sottolineare la necessità di continuare a indagare le differenze presenti nelle zone considerate più avanzate dal punto di vista della parità fra uomini e donne, alla luce delle disuguaglianze socio-economiche e di genere ancora esistenti.
Ad esempio, è necessario assicurarsi che, in città in cui l'occupazione femminile è cresciuta, l'aumento positivo del coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro non significhi svolgere un doppio lavoro – quello remunerato e quello riproduttivo e di cura.
E ancora, nelle città in cui l'accesso al cibo sembra scontato, bisogna assicurarsi che il compito di garantirlo non pesi solo sulle spalle di una parte della popolazione.
Nelle città in cui sembra prendere piede la ricerca di modelli di consumo più sostenibili, è necessario far sì che le maggiori competenze, il tempo e le conoscenze richieste da queste nuove abitudini di consumo non abbiano un impatto maggiore su un gruppo rispetto a un altro.
Le reti di consumo responsabile e le pratiche di "ritorno alla campagna" volte a un consumo più sostenibile sono state di recente oggetto di alcuni casi studio svolti, tra gli altri, in Italia e in Cina.
Le analisi condotte hanno dimostrato che, in mancanza di un'esplicita attenzione alla parità di genere, iniziative simili rischiano di rafforzare i ruoli di genere tradizionali, in cui le donne si occupano principalmente della cucina e sono responsabili del nutrimento della famiglia, e gli uomini di produzione e imprenditorialità, anche attraverso l'invisibilizzazione del lavoro delle contadine.
Vista la ricchezza di studi scientifici al riguardo, sembra quindi sorprendente che la maggioranza delle politiche locali del cibo più studiate e apprezzate a livello internazionale (per la loro innovatività in termini di sostenibilità) non presti quasi minimamente attenzione alle disuguaglianze di genere – Milano è inclusa in questa lista.
Per di più, le poche politiche che menzionano queste differenze lo fanno più che altro per sottolineare l'importanza delle donne nella crescita di figlie e figli sani e ben nutriti.
Questo non solo esclude tanti altri ambiti di potenziale disuguaglianza legati al sistema alimentare, ma rafforza l'idea che le donne siano le principali responsabili del lavoro di cura legato alla nutrizione dei nuclei famigliari, prestando un'attenzione separata e specifica ai bisogni delle donne solo quando si parla di maternità.
Alcuni esempi sono le politiche di Londra, New York, Parigi e Toronto, che affrontano il tema dell'educazione alimentare e della nutrizione sana delle madri come propedeutica a garantire la sicurezza alimentare e la crescita sana di bambini e bambine, perpetrando l'idea che queste ultime siano responsabilità femminili. Le donne vengono così relegate a questo ruolo, senza che venga in alcun modo presa in considerazione la possibilità di un loro diverso contributo al sistema alimentare.
Buone pratiche in Spagna
Esistono tuttavia esempi virtuosi di città che hanno iniziato a lavorare per rendere più egualitari i loro sistemi alimentari dal punto di vista di genere.
Il caso più evidente è quello di Saragozza, in Spagna, la cui strategia alimentare è stata scritta adottando esplicitamente un approccio di gender mainstreaming, che prevede di analizzare da un punto di vista di genere le situazioni a cui le politiche si propongono di rispondere, e di cercare di anticiparne i risultati, con attenzione a eventuali impatti differenziati per genere.
Sempre in Spagna, è un esempio virtuoso anche la città di Barcellona: la sua strategia alimentare, infatti, pur non adottando esplicitamente un approccio di gender mainstreaming, menziona la necessità di fare attenzione alle differenze di genere in più punti e riguardo diversi ambiti, come il supporto all'imprenditorialità femminile e l'impegno a una rappresentanza paritaria dei generi nei luoghi decisionali.
Si tratta però di un numero troppo esiguo di esempi, che oltretutto non possono essere ancora analizzati dal punto di vista dei risultati, visto il poco tempo trascorso dall'inizio della loro implementazione.
Se il potenziale impatto positivo sulla parità di genere delle politiche urbane del cibo è ancora da dimostrare, il tema resta comunque un grande assente nel dibattito sulle politiche pubbliche, rischiando dunque non solo di non portare a risultati positivi in termini di transizione a modelli più sostenibili, ma addirittura di rinforzare visioni limitanti e discriminatorie dei ruoli di genere, in particolare rispetto alle responsabilità di cura e nutrizione all'interno dei nuclei famigliari.
La speranza è che esempi virtuosi come quelli di Saragozza e Barcellona portino a un aumento della consapevolezza rispetto al tema da parte di altre città, e che la ricerca scientifica inizi a prestare più attenzione alle differenze di genere nei sistemi alimentari anche nelle città del Nord Globale.
Riferimenti
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C. Hawkes, J. Halliday, What makes urban food policy happen? Insights from five case studies [Report]. International Panel of Experts on Sustainable Food Systems, 2017.
Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD), OECD Food, Agriculture and Fisheries Paper n°184, 2022.
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