Politiche

Perché vogliamo più donne nella scienza? E per quali strade? In quest'articolo raccontiamo progetti che hanno funzionato e la logica che li sostiene nel portare le ragazze tra numeri e provette. Divertirsi, spaziare e mettere in relazioni: ecco alcune delle chiavi d'accesso per le donne nel mondo della scienza

E' la scienza, bellezza!
Cose da ragazze

7 min lettura

Perché è importante avere più donne nella scienza? Domanda complessa, da scomporre nelle più semplici: perché più donne e perché più scienza. Una volta nel sudovest degli Stati Uniti mi è capitato di rimanere in mezzo al deserto con le chiavi chiuse nell'auto. Arrivano due rangers: quello tecno estrae dal bagagliaio fil di ferro e manuale elettrico di tutte le auto del pianeta, quello bruto cuneo e martello. Ognuno ad uno sportello, in pochi minuti l'auto era aperta (non svelerò da chi). Different is clever, pensai. La persona che cura le sue tante differenti intelligenze, nove per Howard Gardner [1], è più abile e felice, destinata a evolvere con successo le proprie capacità. Così è su altra scala la comunità che crea condizioni perché tutte le proprie differenze, a partire da quelle tra uomini e donne, possano contribuire con pari opportunità: uguaglianza, di diritti, non è identità, composizione unica di diversità. E all'opportunità si aggiunge il principio di democrazia nel decidere politiche collettive. Luce Irigaray [2] ha segnato la cultura delle donne con un concetto:  ci sono differenze tra uomini e donne che non sono riducibili ovvero eliminabili, perché intimamente legate al corpo delle donne. Oltre a queste differenze irriducibili, cosa portano le donne di diverso? La risposta non è univoca: se si affermasse che tutti i gatti sono a pois, basterebbe trovarne uno non a pois per dimostrare che si sta erroneamente generalizzando. Ci si può riferire a caratteristiche tipiche, che diventano visibili con una massa critica. A partire dal funzionamento del cervello marinato negli ormoni, studi di neuroscienze [3] supportano l'idea che le donne abbiano rispetto agli uomini un approccio cognitivo che userebbe più intelligenze allo stesso tempo, legato alla pratica di cura di persone e cose, al metterle in relazione attraverso l'esercizio di più funzioni o forme di mediazione. Vi corrispondono stili differenti (non migliori o peggiori) di apprendimento, formazione, ricerca e creatività, leadership.

Ecco perché più donne. E la scienza? Accompagnate a generalizzazioni, identità e differenze si inchiodano rispettivamente a rigidi stereotipi e discriminazioni, che nella loro totale assenza di movimento funzionano da potentissimo ostacolo all'evoluzione personale e collettiva. L'antidoto è far funzionare i processi conoscitivi a partire da fatti e non pregiudizi, in una Cultura non certo distinta tra umanistica e scientifica ma espressione dell'umanesimo di ciascuno/a e del suo sguardo differente sulle questioni. Nella Cultura, non saper usare logaritmi, biscrome, comunicazione empatica o altro è problema di linguaggio, non meno limitante del buon uso di congiuntivi. In effetti non si parla mai di divulgazione umanistica - servirebbe anche quella. I diversi linguaggi sono vie per attivare le diverse intelligenze e fare scienza, soprattutto sperimentale, richiede l'uso di più intelligenze allo stesso tempo o in sequenza. Infine, se fare scienza deve essere importante, la comunità e chi la rappresenta nel definire agenda politica e risorse devono comprenderla. Ecco perché più scienza. Dunque, avere più donne nella scienza è questione di sviluppo nello sviluppo e di democrazia nella democrazia. Inoltre, ogni forma di settorializzazione e di rigidità funziona da potente ostacolo alla presenza di più donne nella scienza.    

Cosa dunque non ha funzionato fino ad ora per avere più donne nella scienza? Le rigidità sono molteplici. Innanzitutto, mentre la famiglia è in emergenza educativa, l'intero sistema scolastico di formazione e valutazione funziona con processi rigidamente standardizzati su poche intelligenze [1] e dunque largamente inefficienti a personalizzare l'intervento sulle differenze, e poco centrati su idee e relazioni tra idee. Inoltre, la qualità della relazione educativa, importante per il successo formativo, è progressivamente deteriorata dall'infanzia all'università, mentre la formazione integrata per competenze cede il passo a quella settorializzata per discipline e, curiosamente, la frequenza di insuccesso scolastico cresce con l'età e mostra incrementi repentini nel passaggio da un ordine di scuola al successivo [4]. In ogni caso, poche donne scelgono il settore scientifico, in un meccanismo di segregazione orizzontale rafforzato dal fatto che il sistema formativo, operativo e di governance, è fino alle medie in mano alle donne: come tutte le segregazioni, anche questa per gli uomini ostacola l'evoluzione di un sistema che sarebbe opportuno ripensare. Alle rigidità delle metodologie didattiche e della segregazione orizzontale della Scuola se ne aggiungono altre nell' Accademia. Questa funziona in modo ancora gerarchico, con giovani troppo a lungo precari nell'autonomia scientifica e criteri di valutazione della ricerca disegnati su tempi di vita e di lavoro maschili: cervelli in gabbia e incinti sono concetti di un celebre volume dell'ADI [5], a significare che la massima produttività scientifica è richiesta nei 30 anni, quando anche la capacità riproduttiva lo è. Ne segue una segregazione anche verticale, con pochissime donne leader nella ricerca come modelli di successo e ruolo per giovani.

Cosa si può fare per contrastare la segregazione orizzontale e verticale? Due concetti ispirano a questo scopo le politiche pubbliche e possono ispirare anche il nostro impegno quotidiano: mainstreaming e empowerment, rispettivamente. La segregazione orizzontale confina le donne alla periferia della scienza? L'operazione inversa è mettere le donne al centro di tutti i processi e gli ambiti di intervento: non servono risorse aggiuntive, ma cultura adatta a reindirizzare quelle già esistenti. La segregazione verticale confina le donne ai gradini bassi della carriera? l'operazione inversa è spingerle in alto rafforzando consapevolezza, capacità e competenze lungo l'arco della vita: attraverso azioni positive di promozione oppure negative di contrasto di stereotipi. Mi sono chiesta, anche insieme ad amiche e colleghe/i, come disseminare i due concetti nel lavoro quotidiano di didattica e divulgazione. Ne sono emersi il corso La Fisica di Tutti i Giorni [6] che tengo con un partner sperimentale, Massimiliano Labardi, e il programma radiofonico di sensibilizzazione alla cultura scientifica Piacere, Scienza! [7] ideato e condotto con Sara Maggi, prodotto da WOW per l'Università di Pisa. La Fisica di Tutti i Giorni, ispirato a How Things Work di Lou Bloomfield [8], è un corso di fisica da Galileo alla fisica quantistica, anche per umanisti. Concetti e idee sono sviluppate senza matematica a partire da dimostrazioni d'aula su oggetti e fenomeni quotidiani, scelti insieme agli/le studenti: skateboarding, aspirapolveri, abbigliamento, uragani, cellulari e forni a microonde, diagnostica medica, coltelli, fisica in cucina sono esempi. Piacere, Scienza! è un format di quattro minuti condotto da Sara, che ne è regista, e me, costruito con ritmo e linguaggio semplice a partire da interviste ad esperti/e: le puntate, scaricabili da iTunesU, affrontano conoscenze consolidate oppure oggetto di ricerca di frontiera, dalle bio-neuroscienze alla fisica. Le serie speciali Perché Nobel?, Nobel Donna e Galileo pescano anche in letteratura, arte e scienze sociali. Al di là del format, entrambe le esperienze sono pensate con due tratti in comune: accendere curiosità e divertimento (anche di autrici/tori!) mettendo la scienza al centro della cultura popolare di libri, film, fumetti, musica, cucina, eventi quotidiani, e far venire voglia di scienza abbattendo gli ostacoli del linguaggio, “Se pensate di non essere portati per la scienza, non preoccupatevi perché vi ci portiamo noi!”. I due format fanno uso estensivo di mainstreaming ed empowerment di genere. Esempi di mainstreaming sono curare la comunicazione in modo da parlare alle parti logica, esperienziale, emozionale, mettere in relazione aspetti molto distanti tra loro, scegliere argomenti cari alle donne (quelli del divertentissimo La Fisica del Tacco 12 dell'amica Monica Marelli [9] sono fonte di perenne ispirazione), mettere in luce motivazioni e applicazioni pratiche, soprattutto se di cura, descrivere il funzionamento del cervello o del sistema uditivo evidenziando le differenze di genere. Non si aggiunge contenuto, solo si comunica in modo differente, anche perché accrescere la curiosità in modo non neutro rispetto al genere vale anche come empowerment. Esempi diretti di empowerment sono mettere in luce il contributo di donne alla scienza, come in Nobel Donna e soprattutto i processi che le ha condotte a conquistare una leadership: come ci sono arrivate, quali difficoltà abbiano incontrato. Tempo fa alla fine di una mattinata di discussione sul “Tg delle differenze”, prodotto da una scuola primaria di Pisa al termine di un percorso promosso come assessora sull'educazione alle differenze di genere, ho chiesto in che senso in definitiva uomini e donne siano “uguali e differenti”: una bimba ha risposto “E' semplice! È una questione di personalità!”. Ripenso ad un aforisma molto efficace di Tannen, “Se la donna parla utilizzando lo stile delle donne viene considerata un leader inadeguato. Se parla con lo stile del leader viene considerata una donna inadeguata”. La bimba aveva ragione: avremmo invece tanto bisogno di leadership, di uomini o donne che sia, sempre adeguata.

 

 

Bibliografia

 

[1] Howard Gardner, su: Il Movimento di Riforma della Scuola, presso il sito di ADI, link; Intelligenze Multiple e Nuove Tecnologie link

 

[2] Luce Irigaray: Io tu noi (Bollati-Boringhieri, 1992);

 

[3] Louann Brizendine: Il cervello delle donne (Rizzoli, 2007)

 

[4] Rino Picchi: Elaborazione dati dell'Osservatorio Scolastico Provinciale di Pisa, http://osp.provincia.pisa.it/

 

[5] ADI- Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani (a cura di): Cervelli in gabbia. Disavventure e peripezie dei ricercatori in Italia,  Cervelli in fuga

 

[6] Marilù Chiofalo: La Fisica di Tutti i Giorni

 

[7] Sara Maggi e Marilù Chiofalo: Piacere, Scienza! disponibile da iTunesU

 

[8] Lou Bloomfield: How things work. The physics of Everyday Life (John Wiley & Sons, 2009)

 

[9] Monica Marelli: La Fisica del Tacco 12 (Rizzoli, 2009)