Politiche

Maternità e lavoro, un'indagine online su come la vedono le giovani. Con o senza figli, la maggior parte delle lavoratrici guadagna troppo poco, perciò molte rinviano. Il prezzo dei nidi preoccupa più dei posti a disposizione; sale la collaborazione dei padri, scende la protezione pubblica; i tre quarti delle non-madri vorrebbero avere figli

Felici, acrobate, sfiduciate
Numeri su madri e non madri

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Per approfondire il rapporto che le giovani donne hanno con maternità e lavoro, non soltanto sotto l’aspetto della conciliazione di tempi e orari, il gruppo Maternità & Paternità (1) alla fine del 2011 ha lanciato un’inchiesta web intitolata “Madre non madre”, rivolta alle donne nate negli anni ’70 e ’80.

La risposta è stata molto superiore alle attese, a riprova che si tratta di un tema molto sentito, e in poche settimane sono pervenuti 2.792 risposte al questionario.

Hanno partecipato all’inchiesta in prevalenza le donne nate negli anni '70, equamente divise tra madri e non madri (51,5% delle madri contro il 48,5% delle non madri).

Non si tratta ovviamente di un campione rappresentativo, poichè al questionario hanno risposto donne abituate a navigare in internet, con elevata scolarità (i tre quarti hanno una laurea o una specializzazione post-laurea), più spesso residenti al Nord Italia e in Lombardia (perché da qui sono stati attivati i principali canali di comunicazione), e interessate al tema della maternità più della media delle donne.

Le giovani che hanno risposto vivono in gran parte al di fuori della famiglia di origine (solo l’11% vive coi genitori) ed hanno un’elevata partecipazione al lavoro (87%). Il lavoro rappresenta d’altronde un aspetto imprescindibile della loro vita, anche se raramente prioritario (2). Il loro reddito è però molto basso (il 37% ha un reddito uguale o inferiore a 1000 euro al mese e altrettante sono quelle che guadagnano tra i 1000 e i 1500 euro), soprattutto tra chi ha contratti instabili o part-time. Tra le madri è più frequente il lavoro stabile e il non lavoro, tra le non madri i contratti a termine e gli stages.

Il basso reddito è un elemento centrale, non consente la totale indipendenza economica alla metà di esse, che deve essere supportata dal partner (30%) o dalla famiglia di origine (20%).

Si conferma l’immagine di una generazione ad alta scolarità e basso reddito: high skills, working poors.


Le madri

I problemi che sentono maggiormente sono la mancanza di tempo (aspetto di solito sottovalutato da chi madre ancora non è), i costi che aumentano e il reddito che diminuisce, perché molte riducono il lavoro a causa dei nuovi impegni di cura.

Tra i costi spicca in particolare quello dell'asilo nido, molto elevato, soprattutto se commisurato al basso livello medio dei redditi. Sorprendente infine l’elevata percentuale di mamme (23%) che non ha avuto alcuna indennità di maternità, ennesima conferma dell’inadeguatezza del sistema di tutele nel lavoro che cambia.

Uno degli obiettivi principali dell'indagine era proprio analizzare il rapporto con il lavoro in seguito alla maternità, e dalle rispote delle madri risulta che il lavoro così com’è, è inadatto per chi ha figli.
In effetti la maggioranza di loro dopo la maternità ha cambiato lavoro, lo ha lasciato o quanto meno ha cambiato orario.

Inoltre più di una donna su due ha registrato reazioni negative (di maggior o minore intensità) alla maternità nel proprio ambiente di lavoro. La nascita di un figlio ha avuto spesso come risultato un danneggiamento della carriera e/o un calo della propria motivazione. Ma non è solo il lavoro ad essere danneggiato, la nascita del figlio rappresenta un’insidia anche alla propria soggettività e autostima. Tutto ciò conferma che la nostra è una società poco accogliente per la maternità.

Più positivo e in parte inatteso il quadro che emerge riguardo alla suddivisione dei ruoli all’interno della famiglia. La grande maggioranza di madri (otto su dieci) dice di avere un partner collaborativo. Più nel dettaglio, il 37% condivide alla pari la cura dei figli con il partner, mentre il 46% riceve un aiuto consistente anche se ne mantiene la responsabilità ultima. La partecipazione dei partner è più alta per le nate negli anni ottanta, ma decresce all’aumentare del numero dei figli.

Oltre alla condivisione con il partner, alla cura concorre un mix di supporti: nonni, babysitter e in misura molto elevata nidi pubblici o privati (quasi due donne su tre). Tuttavia il costo del nido – più che la disponibilità dei posti – è considerato un problema consistente.

Nonostante difficoltà e sconvolgimenti (del proprio tempo, dei costi che intaccano il reddito già molto basso, dell’aumento di carico e di fatica, di maggiori difficoltà sul lavoro) non ci sono ripensamenti sulla maternità, anzi più di un terzo delle madri che hanno risposto, se potesse tornare indietro, anticiperebbe la maternità.

Con un’analisi cluster abbiamo potuto individuare tre gruppi di madri, con caratteristiche tra loro omogenee.

Un primo gruppo, che abbiamo denominato mamme felici (29,1%) non presenta particolari problemi. La maternità è stata ben accolta, la soddisfazione del lavoro è elevata; le mamme sono più giovani e con partner collaborativi.

Nel secondo gruppo troviamo le acrobate (32,3%), che dichiarano problemi legati alla cura. Hanno rapporti lavorativi stabili, redditi più alti, ma orari lavorativi più lunghi. Sono più presenti a Milano.

Infine il terzo gruppo, purtroppo il più numeroso (38,3%), è costituito da mamme sfiduciate. Sono le più anziane e hanno avuto un impatto negativo della maternità sul luogo di lavoro. Questo gruppo di donne è anche quello che ha una percezione più forte delle difficoltà che caratterizzano il proprio status di madri. Denunciano infatti una diminuzione del reddito, che continua a restare il nodo principale, una caduta in lavori più instabili e poco soddisfacenti, redditi bassi e problemi anche di cura. Sono più presenti al Sud.

Le non madri

I tre quarti delle non madri vorrebbe avere un figlio, ma la metà di loro non riesce nemmeno ad immaginare quando, mentre l’altra metà ne ipotizza la realizzazione nei prossimi 3 anni.

Il desiderio di maternità è fortemente condizionato o addirittura inibito dall’incertezza della loro situazione economica (il primo ostacolo è la mancanza di un reddito adeguato), del loro lavoro (mancanza di stabilità) e della situazione abitativa (mancanza di una casa adeguata).

Solo in secondo piano vengono poste le difficoltà legate ad eventuali aiuti per la cura e le difficoltà soggettive (mancanza di un partner adatto).

Dall’inchiesta emerge che queste difficoltà aumentano nettamente per le nate negli anni 80, probabilmente per il duplice motivo del peggioramento del mercato del lavoro e per la crisi. Dunque vorrebbero avere un figlio, vorrebbero anche farlo prima di quanto nella realtà accade, ma non se lo possono permettere. L’età desiderata per un figlio è mediamente 30 anni, ma l’età reale in cui hanno avuto un figlio le madri rispondenti è superiore di due anni.

Più in concreto, i problemi che pensano di dover affrontare con la nascita di un figlio sono strettamente intrecciati a formare un nodo critico: sono contemporaneamente i costi supplementari (del nido, della baby sitter), la diminuzione del proprio tempo e la diminuzione del reddito legata a una probabile difficoltà sul lavoro. Dunque temono un netto peggioramento della loro condizione di vita.

Interessante il fatto che tra i problemi ci sia anche la paura di non avere sostegno sufficiente dai nonni, a riprova che restano ancora i nonni un supporto fondamentale del welfare italiano.

Meno importante come problema percepito la condivisione del partner, che forse su una piattaforma ideale di parità percepita pensano come acquisita, in coerenza peraltro con quanto dichiarato da chi è già madre.

Comunque, per mitigare questo insieme di difficoltà lucidamente previste, le risorse messe in campo formano un puzzle combinatorio (l’apporto della condivisione del partner, i servizi, i supporti economici della famiglia d’origine), aperto a come si delineeranno le circostanze reali. Una sorta di possibile continuo riassestamento, una navigazione a vista.

Importante sottolineare che solo un terzo di loro pensa di poter contare sull’indennità di maternità. Sono considerati più realistici gli aiuti economici della famiglia d’origine che il sostegno da parte di un sistema di welfare.

Anche alle non madri è stata applicata l’analisi cluster, che ha permesso di individuare due gruppi omogenei.

Il primo gruppo comprende le giovani che stanno pensando concretamente ad un figlio e sono il 43,6%. Non vedono troppi ostacoli. In grande maggioranza hanno un lavoro consolidato (sia dipendente, sia come autonome/imprenditrici). Ma vorrebbero migliorarlo: più reddito, lavoro che piace di più e lavoro che lasci più tempo libero. Sono in molte a pensare di fare un figlio nei prossimi tre anni

Il secondo gruppo, maggioritario (56,4%) include invece le giovani ancora lontane dalla maternità.

In maggioranza sono più giovani, lavoratrici instabili o non occupate (disoccupate e studentesse) e quindi più spesso non ancora economicamente indipendenti. Il lavoro e la condizione economica sono perciò un impedimento alla maternità, che potranno superare solo se migliorerà il reddito e se il lavoro avrà maggiore continuità e tutele. Difficile dire quando ciò sarà possibile, per questo molte giovani hanno risposto che vorrebbero un figlio ma non sanno quando.

In conclusione, il lavoro instabile e la conseguente mancanza di reddito si confermano come l’ostacolo principale alla realizzazione del desiderio di maternità, naturalmente soprattutto per le più giovani e meno stabili. Quelle che hanno un lavoro consolidato (a tempo indeterminato o con un lavoro autonomo) si danno un orizzonte temporale più definito (entro tre anni) pensando nel frattempo di aumentare il loro reddito e di avere un lavoro che piaccia e lasci più tempo libero.

 

NOTE

(1) Il gruppo è formato da studiose e studiosi, madri e padri “attivi”, professionisti e operatori impegnati a vario titolo in associazioni e istituzioni e sta lavorando per proporre nuove politiche di welfare. Il gruppo, inizialmente formato da Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru, si è ampliato con la partecipazione di Maria Benvenuti, Caterina Duzzi, Chiara Martucci, Cristina Zanni e altre giovani madri e padri. Si tratta di persone portatrici di esperienze di lavoro diverse, che si sono impegnate a disegnare le proposte per uscire da questa impasse tutta italiana andando oltre l’impostazione, corporativa e superata, che prevede trattamenti differenziati per le diverse categorie di lavoratori. L’idea che anima il gruppo è quella di collocare la riflessione e le proposte di welfare per le madri e per i padri nel “nuovo” mondo del lavoro, quello “dei ventenni e dei trentenni che cercano lavoro e a cui le aziende offrono di tutto tranne che un rapporto di lavoro regolare…”. Un welfare quindi che comprenda oltre che i dipendenti, lavoratori e lavoratrici autonome, collaboratori, professionisti e partite Iva, madri a part time, padri con lavori intermittenti, piuttosto che solo i/le tradizionali dipendenti a tempo pieno e a tempo indeterminato che occupano l’immaginario delle organizzazioni tradizionali della rappresentanza politica e sindacale. Un welfare non solo lavoristico ma fondato su una nuova idea di cittadinanza.

(2) Solo per il 10% delle rispondenti il lavoro è all’ultimo posto, in genere si colloca al secondo o al terzo posto, dopo i figli e la relazione di coppia.