Politiche

Usare i congedi part time un po' per volta, scegliendo un regime di orario ridotto: una proposta che darebbe vantaggi per tutti. I neogenitori potrebbero evitare di assentarsi a lungo; lo stipendio ne risentirebbe di meno rispetto alla fruizione "standard"; le aziende dovrebbero affrontare meno assenze

Genitori in part time,
col congedo parentale

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In materia di conciliazione, la riforma del lavoro ha introdotto un giorno di congedo di paternità obbligatorio e i voucher per pagare nidi e baby sitter: misure giudicate da più parti inadeguate. Ci sono però altre proposte in campo, che già godono di ampio consenso e non comportano costi aggiuntivi per la finanza pubblica, dalle quali si può ripartire ai fini dell'azione politica. Tra queste, la possibilità di utilizzare i congedi parentali ad orario ridotto, proposta che come gruppo Maternità&Paternità abbiamo presentato più di due anni fa.

Attualmente i genitori hanno diritto a 10 mesi di congedo parentale (11, se il padre usufruisce di almeno 3 mesi) e già oggi è possibile usare il congedo frazionato “a giornata”, ma appunto solo per giornate intere di lavoro. Noi proponiamo di poter usufruire del congedo part time, secondo la percentuale di orario scelta dalla lavoratrice o dal lavoratore, estendendo in cambio i mesi di fruizione. Per esempio se uno dei genitori sceglie di usare il congedo parentale per il 50% dell’orario di lavoro giornaliero, il congedo viene spalmato su un periodo massimo di 20 (o 22) mesi, durante i quali i genitori lavorano mezza giornata e per l’altra metà si occupano del figlio. Oppure possono anche decidere di usare i congedi a tempo pieno per un certo numero di mesi e per la parte restante usare la versione part time. Introdurre una misura di questo tipo renderebbe possibile un mix più adatto al doppio desiderio di molte neo-mamme (e neo-papà, si spera) di conservare il proprio patrimonio professionale evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e dedicarsi anche ai figli per una certa parte della giornata o della settimana. Sul piano economico, inoltre, ci sarebbe il vantaggio di avere un reddito superiore rispetto all’indennità del congedo parentale (1). Così al genitore che usa il suo congedo in part time giornaliero spetterebbe la metà del suo stipendio, più il 30% sul restante 50%, quindi in totale percepirebbe il 65% della retribuzione. Mentre l’azienda avrebbe il vantaggio di avere assenze meno lunghe da parte dei propri dipendenti. Sappiamo bene, però, che gran parte delle aziende italiane non vedono di buon occhio le richieste di riduzione di orario, per i cambiamenti organizzativi che esse comportano. Perciò erano stati previsti, negli emendamenti proposti alla riforma del lavoro, degli incentivi attraverso l’esonero dal versamento dei contributi. Ma tali emendamenti non sono stati approvati proprio per problemi di copertura finanziaria.

Ancora prima di arrivare in parlamento, la proposta sembrava piacere anche a sindacati e imprese, che il 7 marzo 2011 a Roma avevano firmato un documento congiunto intitolato Azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro” in cui si impegnavano a istituire un tavolo tecnico per la “verifica della possibilità di adottare le buone pratiche”, che erano allegate al documento sottoscritto, tra cui c’era la fruizione del congedo parentale in part time. Il documento prevedeva anche l’impegno di “verifica congiunta dell’indice di diffusione delle buone prassi”. Sarebbe molto interessante avere notizie precise sull’esito sia dei lavori del tavolo tecnico, sia della verifica sulla diffusione delle buone pratiche.

Nel Piano nazionale per la famiglia, approvato il 7 giugno, come risultato di un lungo lavoro portato a termine dal ministro Riccardi, viene proposta una modifica normativa per assicurare una “modalità alternativa” di fruizione dei congedi parentali, articolata su base oraria; “non ci sono costi aggiuntivi a carico dell’erario” e tale modifica “va incontro ad una esigenza profondamente sentita dai neo genitori”, afferma il Piano. E ad oggi, tra i disegni di legge in esame nei due rami del parlamento, ce ne sono almeno tre, due a firma di parlamentari Pd (S784  e C1228) e uno targato Pdl (C3023), che ripropongono il congedo parentale part time.

Da questa ricognizione è chiaro che sia tra le parti sociali sia a livello politico esiste già un consenso ampio (e bi-partisan) rispetto alla modifica proposta. Il congedo parentale part time esiste già in molti Paesi europei (2), dove per altro è effettiva anche la possibilità di lavorare a tempo parziale (3). Introdurre il congedo parentale part time potrebbe produrre importanti miglioramenti nell’organizzazione del lavoro, aprendo così la strada anche ai contratti di lavoro a orario ridotto, la cui mancata concessione è spesso causa di dimissioni o di profondo malessere per le neo-mamme. E anche quando viene concesso, come eccezione ad personam e in assenza di una riorganizzazione, esso comporta spesso la dequalificazione della lavoratrice.

Non si tratta di una misura di conciliazione in sostituzione di altre, ma di una possibile scelta in più, per facilitare l’introduzione nelle aziende di una maggiore “flessibilità dell’orario di lavoro a favore dei neo-genitori” (sia in termini di possibilità di ridurre l’orario, sia di variarne la collocazione), misura che costituisce, secondo molti studi, uno dei fattori decisivi per una buona conciliazione.


Note

(1) Attualmente è pari al 30% della retribuzione, fino a 3 anni del bambino, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, dopo il quale scattano i limiti di reddito.

(2) V. Parental leave in european companies (European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2007),  tabella alle pagg. 7 e 8.

(3) V. la tabella comparativa della disciplina del part time presente in 20 paesi europei a p. 31 dello studio della Commissione Europea “Flexible working time arrangements and gender equality”, 2009.