Politiche

Le imprese delle donne hanno resistito meglio alla crisi economica; eppure, le banche richiedono alle piccole imprenditrici tassi di interesse più alti o garanzie più onerose. Un problema antico, aggravato dalla stretta creditizia. Tra le proposte per risolverlo, il nuovo uso del Fondo nazionale di garanzia

Imprenditrici in banca,
sportelli in faccia

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Le battaglie delle imprenditrici italiane nei confronti del sistema bancario risalgono all'ormai lontano 1992, quando fu varata la legge 215  "Azioni positive per l'imprenditoria femminile" che prevedeva facilitazioni per le imprese "in rosa" (sia da avviare che già esistenti). Da allora non molto è cambiato, almeno fino al 2008, visto che cinque anni fa un minuzioso studio condotto da Alesina, Lotti e Mistrulli ha portato alla luce l'esistenza di una evidente discriminazione di genere nell'accesso al credito: i tassi di interesse sui fidi richiesti dalle donne sono del 30% più alti e i tassi si alzano ancora se la garanzia è prestata da un'altra donna anzichè da un uomo (+0,6%).

Eppure le imprese al femminile sono quelle che hanno tenuto meglio durante la crisi: il totale delle imprese artigiane è diminuito di 30mila unità, ma di esse solo 593 imprese femminili hanno chiuso (dati Osservatorio Nazionale sul credito Artigiancassa *).

Considerando poi che un quarto degli imprenditori artigiani è donna, la discriminazione in materia di accesso al credito comporta una enorme perdita di efficienza del sistema economico italiano che si vede privato del 25% degli artigiani italiani.

Dall'indagine condotta in provincia di Imperia da CNA Impresa Donna, dove è stato intervistato un campione di imprenditrici tra i 36 e i 45 anni operanti soprattutto nei settori del commercio e dell'artigianato,  risulta che più del 60% delle donne che hanno richiesto un fido/finanziamento bancario ha incontrato difficoltà nell'ottenerlo (la difficoltà più comune consisteva nella richiesta di avallo, seguita da tempi lunghi di risposta da parte degli istituti di credito, eccessivo costo del finanziamento e richiesta di altre garanzie): circa la metà delle intervistate ha dichiarato che in seguito a tali difficoltà ha dovuto rinunciare alla richiesta di prestito.

E' interessante osservare anche in che modo invece sono riuscite a superare le difficoltà coloro che il credito l'hanno ottenuto: la maggior parte di esse ha superato il problema rivolgendosi al canale familiare (per ottenere un prestito, n.b.), altre si sono rivolte ad un consulente esterno ed altre ancora hanno chiesto spiegazioni al direttore dell'istituto di credito.

In questa indagine,  è stato poi chiesto alle imprenditrici di rispondere alla domanda "Secondo lei ha avuto un trattamento che giudica discriminatorio?" da cui emerge un dato amaro: il numero di chi crede di aver subito un trattamento discriminatorio è molto vicino a coloro che lo negano (35% contro il 39%), ma ben il 26% delle intervistate non ha risposto alla domanda, evitando di esprimere un giudizio.

Emerge anche un dato sconfortante sulle reazioni delle imprenditrici di fronte alla percezione di una discriminazione nei loro confronti: poche hanno chiesto supporto in famiglia, o si sono rivolte ad associazioni di categoria; molte invece hanno ritenuto inutile reagire, in quanto secondo loro "non cambierà mai nulla".

Le associazioni di categoria, grazie alla disponibilità dello strumento dei consorzi di garanzia fidi, consentono a chi vi aderisce di beneficiare di condizioni di credito più sicure e favorevoli: su 27 imprese femminili che conoscevano i consorzi garanzia fidi, 20 li hanno utilizzati come strumento di credito. Ma un terzo delle intervistate non ne conosceva l'esistenza: ciò dovrebbe far riflettere le associazioni di categoria sul loro ruolo sul territorio e sulle potenzialità di tale strumento nell'avvicinare gli imprenditori e le imprenditrici.

Uno degli ostacoli principali che si frappone tra la concessione di un finanziamento ad una donna e l'interessata è proprio la richiesta da parte degli istituti di credito del coinvolgimento del coniuge nell'avallo o nella fornitura di garanzie: in regime di separazione dei beni o di separazione coniugale ciò è di fatto quasi impossibile, perchè rende la moglie imprenditrice dipendente dalla volontà del marito.

Ciò che il sistema creditizio potrebbe fare per ridurre la discriminazione delle imprese in rosa è ripensare gli strumenti finanziari in un'ottica di genere, come è stato di recente proposto durante il seminario organizzato in proposito da R.ET.E IMPRESE Italia, dal titolo "Dare credito alle donne imprenditrici", al quale hanno partecipato diverse personalità del mondo dell'imprenditoria artigiana, dell'associazione bancaria italiana, del ministero per le pari opportunità e dell'università.

E' anche emersa la necessità di affinare la tecnica di valutazione dei progetti imprenditoriali da parte del sistema bancario, aggiungendo altri criteri nella formulazione del rating valutativo, per consentire di finanziare gli investimenti effettivamente più promettenti.

Il ministero delle pari opportunità, da parte sua, nella figura di Marinella Marino, ha suggerito l'utilizzo del fondo nazionale di garanzia. Questo strumento, in seguito all'approvazione del Decreto SalvaItalia è stato ridisegnato in modo da garantire priorità d'accesso alle domande provenienti dal mondo dell'imprenditoria femminile, le quali dovrebbero accedere ad una copertura vicina all'80% e ad interessi zero.

Per valutare l'efficacia del fondo, specialmente nel contrastare la discriminazione delle donne nell'accesso al credito, sarebbe utile però monitorarne il funzionamento in itinere, in particolar modo verificarne il bacino d'utenza (ha sostenuto nel corso del seminario Maria Cesira Urzì Brancati): in questo modo si può stabilire se il fondo soddisfa effettivamente l'esigenza di credito dei soggetti più svantaggiati (ma dotati di progetti imprenditoriali promettenti),  oppure se esso offre condizioni di credito più vantaggiose delle banche tradizionali, ma privilegia nei criteri d'accesso gli stessi soggetti che si rivolgerebbero senza problemi ai canali bancari tradizionali.

* la stima sulle imprese femminili chiuse è stata riferita nel corso del seminario da Edgarda Fiorini, Presidente Donne Impresa Confartigianato (precisazione pubblicata il 25-01-2013)