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Per contrastare la violenza sulle donne bisogna occuparsi (anche) degli autori degli abusi. In Italia si è cominciato in ritardo, ma il panorama internazionale offre una lunga serie di programmi e progetti rivolti ai colpevoli. Una rassegna dei principali, per far tesoro di queste esperienze

Le esperienze internazionali
con gli uomini violenti

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Il manifesto di una campagna contro la violenza di genere

Per contrastare la violenza di genere bisogna lavorare con gli autori di violenza o maltrattamenti, in inglese definiti perpetrators, o nelle carceri sex offenders. Un primo censimento dei centri e delle iniziative in Italia a loro rivolte è contenuta nel libro – Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento (1). Il ritardo con cui in Italia sono stati avviati questi interventi ha consentito a singoli operatori/trici di associazioni o, in misura assai minore, di enti pubblici si confrontarsi con più di un programma riconosciuto internazionalmente per la sua consolidata esperienza ed efficacia, per farne il riferimento del loro operare.

Mentre il panorama internazionale offre un numero assai consistente di programmi rivolti agli autori di violenza familiare/domestica (o nelle relazioni di intimità, IPV/ Intimate Partner Violence), quelli a cui fanno riferimento in particolare le esperienze italiane  sono una decina, europei e d’oltre oceano:

-ATV/ Alternative to Violence: nasce a Oslo nel 1987, il primo in Europa a rivolgersi agli autori di violenza nell’ambito di relazioni intime.

-EMERGE: nasce a Boston (USA) alla fine degli anni ’70, promosso da un collettivo di uomini sensibilizzati al problema grazie all’interazione con un gruppo di donne di Boston che si occupano delle vittime della violenza domestica.

-EVOLVE: nasce nel 1986 a Winnipeg, Stato di Manitoba (Canada), realizzato dal Centro Clinico per la Salute della Comunità.

-D.A.I.P. (Domestic Abuse Intervention Project)- Modello Duluth. È nella città di Duluth in Minnesota (USA) che il Progetto D.A.I.P. viene sviluppato dall’inizio degli anni ’80 autodefinendosi come un modo di pensare, in continua evoluzione, su come una comunità può lavorare per porre fine alla violenza domestica.

-IreS (Fundacion Instituto de Reinsercion Social ), Barcellona. In seguito all’approvazione della legge costituzionale 1/2004, il governo della Catalogna ha attivato nello stesso anno un Programma specifico sulla violenza domestica e il comune di Barcellona ha definito dal 2007 un Piano Municipale per la lotta alla violenza contro le donne.

-MOVE /Men Overcoming Violence, dell’Irlanda, collabora ed è finanziato dall’Ufficio per la prevenzione della violenza domestica, sessuale e della violenza basata sul genere costituito dal governo nel 2007.

-Programma antiviolenza di Vienna per gli autori di violenza domestica: è attivo dal 1999 ed è stato progettato ed attuato dall’Agenzia per la Consulenza agli Uomini in Vienna (MÄB) e dal Centro di Intervento sulla Violenza Domestica di Vienna (IST).

-NTV / Not To Violence, Australia, dove nel 2011 erano ben 60 i programmi di intervento per gli autori di violenza domestica e 24 quelli per gli autori di abusi sessuali.

-RESPECT, Gran Bretagna: è il governo inglese a finanziare l’organizzazione RESPECT, una rete di associazioni, per lo sviluppo di standard nazionali per programmi per gli autori di violenza al di fuori del sistema della giustizia criminale, che devono essere poi accolti e attuati da tutti coloro che vogliono ricevere un accreditamento per realizzare questi tipi di intervento e diventare parte della rete.

-VIRES, Svizzera: una delle 25 Istituzioni che pianificano o propongono delle consulenze specifiche e/o dei programmi di lotta contro la violenza rivolti esclusivamente a coloro che la esercitano all’interno della coppia.

Occorre sottolineare che i programmi citati non possono essere presi ed estrapolati dal contesto politico e culturale nel quale operano. Questo per l’intrinseca ragione che essi sono stati fin dall'inizio considerati un fattore primario di difesa delle vittime, per potenziare le capacità di contrastare la violenza stessa oltre che prevenirla. Essi vanno dunque considerati parte integrante di politiche multi-dimensione, coordinate e integrate contro la violenza di genere di quei paesi: sistemi “globali” con percorsi di durata anche trentennale, in cui si coordinano provvedimenti legislativi, piani nazionali o altri atti relativi alle linee di azione e agli obiettivi riguardanti generalmente diversi ministeri, forze di polizia e istituti giudiziari, il sistema dei servizi, nonché azioni svolte dalle istituzioni in tema di sensibilizzazione, formazione, prevenzione, e ricerca per la conoscenza del fenomeno. Un complesso di azioni “di sistema” che rivela l’ampiezza e insieme l’articolazione delle politiche, degli investimenti  e delle responsabilità tra più soggetti – pubblici e privati - e a più livelli, politici, amministrativi e territoriali. Dove i programmi rivolti agli offender non sono a gestione pubblica, ma creati e condotti da associazioni del privato sociale (Ong), il loro operato si attua in un continuo, indispensabile lavoro di interazione e sinergia con le istituzioni pubbliche. A cominciare dagli organi di polizia e dal sistema giudiziario. Decisa è la consapevolezza delle istituzioni e dei decisori politici di quei paesi che solo l’agire contemporaneamente a tutti i livelli della società e in tutti gli ambiti – educativo, culturale, giudiziario, legislativo, comunicativo, economico, ecc. - può portare a significativi risultati nella lotta alla violenza verso le donne (e i bambini).

È in forza di tali convinzioni culturali e organizzative che i programmi riferiti ai perpetrators mostrano una cornice comune di orientamenti stabilmente acquisiti a livello internazionale riguardanti anche gli stessi metodi di lavoro. E infatti:

- In tutti gli interventi c’è una prima fase di assessment del rischio e delle effettive possibilità di riuscita del percorso “psicosocioeducativo” che il partecipante intraprenderà con una partecipazione che può essere volontaria o ingiunta dal Tribunale.

- Dopo la prima fase della selezione/ammissione al percorso, il partecipante deve assumersi la responsabilità di un accordo, definito anche “contratto” più o meno formale e strutturato, secondo il quale una qualunque violazione  può determinare la sua espulsione;

- Viene utilizzato in misura più diffusa il lavoro di gruppo, che può essere accompagnato da un supporto individuale. La preferenza per il trattamento in gruppo è correlata all'impostazione “psicoeducativa”, preferita soprattutto nei programmi dell'area anglosassone, secondo la quale la violenza è un comportamento appreso culturalmente e socialmente che occorre disimparare, e nel gruppo si rompe l’isolamento tipico del fenomeno della violenza domestica perché si decostruisce l’abitudine al silenzio, alla “porta chiusa”.

- L’approccio teorico prevalente è cognitivo-comportamentale, perché è utile per portare l’individuo a comprendere gli aspetti disfunzionali come quelli funzionali del suo agire violento.

-C'è convergenza, di norma, nell'escludere il ricorso a terapie di coppia e a mediazione familiare, ritenute pericolose perchè consentono all'uomo di mantenere il suo potere e la sua capacità di manipolazione. 

Punti comuni nei diversi programmi riguardano poi i contenuti dell’azione terapeutica con l'autore il quale deve:

- Riconoscere tutte le forme di violenza agite, non solo le più “appariscenti”, quella fisica e quella sessuale, ma anche quella psicologica, emotiva, economica, ecc…;

- Assumere la responsabilità dei comportamenti violenti senza nessuno spazio alla negazione, minimizzazione e giustificazione;

- Divenire consapevole della sofferenza prodotta nella donna e nei/nelle bambini/e anche quando questi ultimi sono “solo” testimoni di violenza, e non la subiscono direttamente, sviluppando capacità empatiche;

- Prendere coscienza degli stereotipi culturali legati al maschile e al femminile rispetto ai ruoli, alla sfera psicoemotiva e alla sua espressione;

- Elaborare strategie individuali per arrestare il processo psicoemotivo interiore che porta all’esplosione della violenza (uso di tecniche di time out).

I punti precedenti caratterizzano naturalmente anche l’impostazione dei centri italiani che continuano a confrontarsi con i diversi programmi per migliorare il loro operare.



(1) Il volume edito da Ediesse 2013, Il lato oscuro degli uomini, è a cura di Alessandra Bozzoli, Maria Merelli, Maria Grazia Ruggerini (Lenove - studi e ricerche),  che hanno effettuato la ricerca sui Centri e le iniziative rivolte agli autori di violenza contro le donne in Italia. Monica Mancini ha collaborato alla ricerca internazionale. Nella seconda parte del testo sono presenti riflessioni di esperti, operatori –sia donne che uomini – e studiosi della “questione maschile”. Il libro è dedicato a Francesca Molfino con la quale era stato ideato il percorso di ricerca.