Politiche

Arrivano in Italia con lauree e qualifiche non riconosciute. Per anni fanno le commesse, le badanti, le operaie. Storie di donne migranti che ce l'hanno fatta, con l'aiuto del microcredito

Migranti che fanno impresa
con il microcredito

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Foto: Flickr/ cedwardmoran

È storia di tutti i giorni: le vediamo scendere dai barconi provenienti dalla Libia, camminare lungo le rotaie con il sogno di arrivare in Germania, viaggiare in pullman affollati per spostarsi dall’Est all’Ovest dell’Europa, arrivare tra noi, dopo lunghi percorsi tortuosi, da paesi lontani di cui a volte non sappiamo pronunciare il nome. Sono donne che mettono in gioco tutta la loro esistenza per avere un futuro migliore per loro e le loro famiglie. Donne coraggiose, piene di forza e dignità.

Mi è capitato di incontrarne diverse negli anni passati a occuparmi dell’Italia invisibile, un percorso imboccato più di 10 anni fa. E in questa estate dedicata a “informare per capire” il fenomeno migratorio, voglio raccontarvi le storie di alcune di loro. 

Vi racconto di donne che “ce l’hanno fatta”, che sono soddisfatte dei risultati conseguiti in ambito lavorativo, sebbene spesso abbiano qualifiche che in Italia non vengono riconosciute. Si tratta di donne che si sono integrate nel nostro paese, tenendo spesso però un forte legame con l’enclave di riferimento, composta di altre donne con cui condividere successi e insuccessi. Vi parlo di micro-imprenditrici, che hanno trovato una loro identità anche grazie al supporto del microcredito assistito da Fondazione Risorsa Donna, attiva a Roma (e nel Lazio) dal 2003.[1]

I loro nomi sono inventati, ma le loro esperienze di vita autentiche.

Iman è tunisina, ha una laurea in legge e una specializzazione in criminologia. Mi dice: “In Italia è stata dura, ho fatto ogni mestiere, ma dopo che sono stata assunta come commessa in un negozio di autoricambi ho deciso di rilevarlo. Certo il settore adesso è in crisi, ma io non mollo”.

Doina viene invece dalla Moldavia, con una laurea in ingegneria tessile. Il suo primo lavoro è stato in una grande industria di confezioni, come capo-settore progettista con 150 dipendenti. Nel periodo della transizione all’economia di mercato la fabbrica ha chiuso e lei ha dovuto fare mille lavori e infine emigrare in Italia. Ha cominciato come collaboratrice domestica, ma poi la passione per la sartoria le ha permesso di ottenere lavori nel settore e ha cominciato a pensare a mettersi in proprio.  Ci dice: “Ho chiesto un prestito per rilevare una lavanderia con annessa sartoria e adesso le cose vanno piuttosto bene. Forse è il momento di acquistare una casa per me e i miei figli.”

Mercedes viene dalle Filippine e fa parte dell’associazione Commission for Filippino Migrant Workers con cui ha avviato un asilo nido multietnico. Nell’asilo lavorano nove operatrici provenienti da vari paesi (Mauritius, Brasile, Perù, Filippine) che si occupano dell’attività didattica per lo sviluppo psico-motorio dei bambini. 

Maria invece proviene dall’Ecuador ed è arrivata in Italia nel 1995. Ha lavorato come badante fino alla fine del 2005 quando, grazie al microcredito, ha aperto un phone center. Il negozio offre molteplici servizi, tra cui il trasferimento di denaro in tutto il mondo, l’accesso a Internet, e la vendita di artigianato latino-americano. È soddisfatta della sua attività, che le ha permesso di migliorare la propria condizione economica, ma soprattutto “ha reso possibile alla sua famiglia di vivere di nuovo insieme.”

Di storie come le loro se ne possono raccogliere in giro per il mondo, non sempre con un lieto fine. Guardate questo filmato di UN WOMEN.

Note

[1] Del rapporto tra donne e microfinanza mi occupo da quasi quindici anni, e nel lontano 2009 ho anche curato un volume in italiano per la casa editrice Aracne. Per una migliore comprensione di come il microcredito possa essere uno strumento utile alle donne rimando ai miei precedenti articoli su inGenere: Microcredito al femminile, ma non in Italia; Microcredito in Europa e Maria Nowak madre della microfinanza europea

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