Il governo proroga la cosiddetta "opzione donna" che permette di andare in pensione a 58 anni, ma essere donna non basta più, bisogna essere madri. Il commento
Con la manovra di bilancio per il 2023, il governo ha deciso la proroga della cosiddetta “opzione donna”, cambiandone però i requisiti, con disposizioni che, per usare le parole della presidente del Comitato Opzione Donna Social Orietta Armillato, la trasformano piuttosto in una “opzione mamma”. Secondo la proposta governativa infatti, la possibilità di andare in pensione con 35 anni di contributi per le donne viene prorogata di un anno, ma con requisiti di età legati alla propria condizione genitoriale: a 58 anni se si hanno due o più figli, a 59 anni se si ha un solo figlio, a 60 anni se non si hanno figli. Finora, le lavoratrici dipendenti avevano avuto la possibilità di utilizzare “opzione donna” al raggiungimento dei 58 anni di età, indipendentemente dal numero di figli. Le lavoratrici autonome invece dovevano aver raggiunto, nelle regole prima in vigore, i 59 anni di età, dunque per loro potrebbe esserci un vantaggio, a patto che abbiano fatto almeno due figli.
È la prima volta che l’età della pensione viene collegata alla presenza o meno di figli. Una novità che, anche se presentata come un riconoscimento del lavoro di cura, presenta non pochi problemi dal punto di vista dell’equità e della razionalità del sistema previdenziale, e che non affronta in alcun modo il problema del gap di genere nelle pensioni. La differenza nei livelli retributivi delle pensioni delle donne e quelle degli uomini è maggiore di quella salariale, e questo deriva dal fatto che le donne non solo hanno stipendi più bassi, ma hanno spesso carriere discontinue, con interruzioni e periodi senza contributi, oltre ad essere maggiormente presenti nei lavori precari e dunque con contribuzione bassa o nulla.
Come rilevato in passato da diversi studi e anche da questo articolo di inGenere.it, il problema fondamentale del sistema di “opzione donna” è che, dando alle donne il “privilegio” di andare in pensione prima ma calcolando l’assegno con il solo sistema contributivo (cioè sulla base dei contributi versati), comporta pensioni molto basse e dunque amplifica, piuttosto che ridurre, il differenziale di genere nelle pensioni.
La nuova “opzione mamma” non affronta il tema dei bassi livelli contributivi, ma lega il diritto a usufruire dell’anticipo della pensione alla presenza o meno di figli – lasciando immutate le altre condizioni. Il fatto di aver fatto figli (spesso rinunciando per questo a miglioramenti di posizione lavorativa, oppure lasciando il lavoro come purtroppo avviene spesso) è “premiato” con un anticipo dell’età. Va da sé che sarebbe preferibile intervenire sulle condizioni che spezzano la carriera contributiva delle madri, e in generale sul luogo in cui le disuguaglianze si formano, ossia il mercato del lavoro.
Ma si potrebbe dire: almeno così c’è un riconoscimento “ex post”, una compensazione. Non pensiamo però che questo sia il caso. Il nuovo sistema non fa alcuna distinzione tra livelli retributivi, storie contributive, situazioni familiari: guarda solo al numero dei figli, rilevante di per sé. Non dà soldi, ma tempo: ma a 58 anni i figli sono cresciuti, non c’è una differenza sostanziale nella organizzazione della vita e nelle esigenze di conciliazione tra donne con figli e senza. A meno che non si tratti di una “opzione nonna”: far uscire prima dal lavoro le donne con figli cosicché possano accudire i loro nipoti – opzione probabile, vista la cronica carenza dei servizi sociali ed educativi per l’infanzia.
Più che una logica economica o previdenziale, il nuovo sistema pare avere una ispirazione valoriale, discriminando tra le donne e attribuendo un valore maggiore a quelle che hanno procreato. C’è da chiedersi se tali disposizioni siano rispettose del principio di eguaglianza e il divieto di discriminazioni sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Ma di certo sono in perfetta coerenza con la concezione della donna e della famiglia che ispira la maggioranza che ha vinto le elezioni e in particolare il partito della presidente del consiglio.
Ps. A margine, va notato lo strafalcione contenuto nel comunicato del governo che annuncia le nuove regole, quando dice: ““Opzione donna”, si ricorda, è riservata a particolari categorie: caregiver, lavori gravosi, disabili.”. Sarà il caso di ricordare al governo che questo non è vero, opzione donna non era collegata a queste condizioni. Basta fare un giretto sul sito dell’Inps per verificare.
Ascolta l'intervento di Roberta Carlini su Radio Popolare all'interno del programma Sui generis