Politiche

Con la nuova legge elettorale comunale, debutta ovunque la doppia preferenza di genere e arriva la quota di lista nei consigli. E anche per le giunte si prevedono novità. Ma con alcune ombre. Ecco dove e a quali condizioni si può rompere il tetto di cristallo nella politica locale

Parità in città, prepariamoci
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La XVI legislatura ci lascia, proprio sul finire, la nuova legge sulle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. La novità più significativa è la modifica della legge per l’elezione dei consigli comunali, ma di notevole rilievo sono anche gli interventi a favore della parità di genere nelle giunte e, più in generale, in tutti gli organi collegiali non elettivi di comuni e province.

Consigli comunali.

Per l’elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, si prevede una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:

  • la “quota di lista”: nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (1);

  • la “doppia preferenza di genere”, che consente all’elettore di esprimere due preferenze (anziché una, come previsto dalla normativa previgente) purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.

In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, è peraltro previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni del primo gruppo.

In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall’ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.

Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall’ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. L’impossibilità di rispettare la quota non comporta dunque in questo caso la decadenza della lista.

Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati sia assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale norma ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (ai quali, come visto, non si applica la quota di lista). Essa risulta però priva di sanzione esplicita, cosicché restano nel dubbio le conseguenze in caso di violazione.

Le disposizioni esaminate per l’elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 si applicano anche ai consigli circoscrizionali. Saranno gli statuti comunali a dover intervenire, disciplinando le modalità di elezione. Nel caso in cui lo statuto rinvii alle disposizioni per l’elezione del consiglio comunale, come ad esempio accade a Roma, la nuova normativa appare comunque immediatamente applicabile, senza necessità di modifiche.

Giunte comunali. La nuova legge prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi.(2)

La norma si inserisce in un nutrito filone di giurisprudenza amministrativa che ha più volte annullato le delibere di nomina delle giunte che non rispettavano i principi in materia di parità di genere previsti dai rispettivi statuti (si veda su questo sito l'articolo di Dario Capotorto). Alcune più recenti sentenze di alcuni Tar sono andate oltre, riconoscendo l’illegittimità delle giunte composte da soli uomini anche in assenza di previsioni degli statuti in tal senso. La nuova norma e viene dunque a costituire una base giuridica inattaccabile per questa nuova giurisprudenza: la nomina di giunte monosex non sarà più possibile.

Bisogna però notare che la disposizione potrebbe prestarsi ad una lettura minimale. Essa infatti declina il principio di pari opportunità come ‘garanzia della presenza di entrambi i sessi’, quasi a suffragare l’idea che la presenza anche di una sola donna sia sufficiente per una regolare costituzione della giunta.

Si tratterebbe dunque di un passo avanti per quei comuni in cui le giunte comunali sono composte da soli uomini, conferendo - come appena visto - una solida base legislativa ad un orientamento peraltro già emerso nella giurisprudenza dei Tar.

Il rischio è peraltro quello di ricadere in quel fenomeno che negli ordinamenti anglosassoni è noto come token woman: una donna sola inserita in un organo esecutivo tutto maschile, in nome del politically correct, senza però possibilità di incidere sulle decisioni, anzi talvolta scelta addirittura per non incidere (ne parla in quest'intervista Morten Huse).

Da questo punto di vista la disposizione non sembra aggiungere nulla, anzi per certi versi sembra costituire un arretramento, nei casi in cui gli statuti comunali prevedano formule più stringenti, richiedendo ad esempio una presenza equilibrata di uomini e donne (così, ad esempio, l’art. 5 dello statuto del Comune di Roma). Resta comunque naturalmente ferma la prevalenza della norma statutaria più garantista.

Più proficua appare un’interpretazione che vada oltre il dato meramente letterale, intendendo la garanzia della presenza di entrambi i sessi come necessità di una presenza qualificata. In questo senso un ruolo determinante sarà svolto dalle modifiche degli statuti adottate in attuazione della legge.

Organi collegiali di comuni e province. La legge modifica la norma del testo unico degli enti locali che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità.

In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per “garantire”, e non più semplicemente “promuovere” (come nel testo previgente), la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. Sebbene non molto enfatizzate e valorizzate nelle cronache sull'approvazione della legge, tali disposizioni possono in realtà portare un significativo cambiamento, rendendo vincolanti quelle che finora erano indicazioni solo programmatiche.

Uno dei maggiori limiti delle normative in materia di parità di genere (e non solo di quelle statutarie) è infatti quello di consistere in disposizioni di principio, in quanto tali non cogenti e quindi facilmente destinate alla non applicazione. Per di più anche le norme di immediata applicazione risultano molto spesso sprovviste di sanzione, di modo che la loro violazione resta priva di conseguenze e può al più dar luogo ad azioni in sede giudiziaria

Per fare un esempio: l’art. 5 dello statuto del comune di Roma prevede che il sindaco, nel nominare i responsabili degli uffici e dei servizi nonché nell'attribuire e definire gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna, assicura una presenza equilibrata di uomini e di donne, motivando le scelte operate con specifico riferimento al principio di pari opportunità. Per verificare come questa disposizione sia stata attuata, è sufficiente consultare, sul sito internet di Roma capitale, la pagina sulla struttura organizzativa dell’ente, da cui risulta che su 30 dipartimenti ed altri uffici apicali dell’ente, solo 3 sono diretti da donne.

Fondamentale sarà dunque l’attuazione da parte degli statuti comunali e provinciali della nuova disposizione. La ‘garanzia della presenza di entrambi i sessi’ può essere in tal caso sicuramente letta come un’indicazione minima imposta dalla legge statale, destinata ad essere sviluppata nei singoli statuti.. La palla passa dunque ai consigli comunali e provinciali, che potrebbero cogliere l’occasione per divenire dei laboratori sul tema della parità, anche andando oltre la disciplina degli organi collegiali ed intervenendo nei più diversi settori.

Nota dolente: la legge prevede che gli enti locali devono adeguare gli statuti e i regolamenti entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (ossia entro il 26 giugno 2013), senza però prevedere alcuna specifica sanzione.

Ci si trova dunque di fronte ad una sorta di contraddizione in termini: la disposizione volta a trasformare le norme statutarie sulla parità da norme programmatiche a norme di immediata applicazione rischia a sua volta di restare inattuata.

 

Consigli regionali. Per le elezioni regionali è introdotto il principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.

In realtà il principio già esiste a livello costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost.), ma, trattandosi di una materia rimessa alle regioni, alla legge statale è consentito intervenire solo per le determinazione dei principi fondamentali.

 

Par condicio. Nella legge sulla “par condicio” , viene sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.

Anche in tal caso si è caduti nella trappola della disposizione di puro principio, che rischia di rimanere lettera morta. Dovrebbero essere

la Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro cinque giorni dall'indizione delle elezioni, a definire i criteri ai quali devono conformarsi la RAI e le emittenti radiotelevisive private nei programmi di informazione,, e dunque a questi organi è affidata l’attuazione del nuovo principio, che intende la par condicio sui mezzi di informazione come comprensiva della pari opportunità tra donne e uomini.

Peccato che la composizione di genere dei due organi non lasci presagire nulla di buono: nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, su 39 membri solo 2 sono donne, mentre i 5 componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono tutti rigorosamente uomini.

 

Commissioni di concorso. La nuova legge introduce infine una disposizione volta a consentire, in caso di violazione della norma del codice delle pari opportunità che riserva alla donne un terzo dei posti nelle commissioni di concorso, l’intervento delle consigliere di parità, anche con ricorso in via d’urgenza al giudice.

 

Note

  1. Con arrotondamento all’unità superiore per il genere meno rappresentato, anche in caso di cifra decimale inferiore a 0,5

  2. Uguale disposizione è inserita nell’ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della giunta capitolina. La disposizione si riferisce formalmente anche alla nomina della giunta provinciale, ma si ricorda che quest’organo risulta allo stato soppresso.