Politiche

La famiglia sembrerebbe essere al centro della politica italiana, ma le parole vengono smentite dai fatti: il governo ha ridotto drasticamente il fondo per le famiglie nei tagli alla spesa. Eppure ci sono alternative , una di queste è nel laboratorio del Trentino. Che qui presentiamo, sperando che dia il buon esempio

Ri-pensare la famiglia
e il territorio

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Le politiche familiari in Italia non godono certo di buona salute. Nonostante si tratti di un paese in cui la retorica sulla “Famiglia” è molto accentuata (o forse proprio per questo), il ceto politico italiano non ha mai brillato per attenzione e lungimiranza nei confronti delle problematiche che caratterizzano l’esperienza concreta e quotidiana delle famiglie. Di fatto i pochi interventi realizzati si sono sempre per lo più limitati a sgravi fiscali e trasferimenti monetari diretti alle famiglie, piuttosto scarsi e mal distribuiti.

Negli ultimi anni la situazione è andata ulteriormente aggravandosi e oggi appare particolarmente critica, anche in conseguenza del forte disinvestimento nei confronti delle politiche familiari operato dai consistenti tagli dei fondi ad esse destinati, all’interno dell’ultima legge finanziaria.
Il Disegno di legge di stabilità 2011 e il Bilancio di previsione 2011, approvati dal senato nel dicembre 2010, ridimensionano infatti in modo drastico il Fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006. Rispetto all’anno precedente si passa da 185,3 a 51,5 milioni di euro, con una riduzione pari al 72,2%: un dato così eclatante che non sembra aver bisogno di ulteriori commenti. 

A fronte di uno scenario così preoccupante, mi pare tuttavia utile segnalare un’esperienza che si pone certamente in controtendenza con l’orientamento appena evidenziato e che rappresenta un laboratorio sociale a cui guardare con interesse e attenzione per un effettivo cambio di rotta in materia di politiche familiari. Mi riferisco al testo di legge unificato recentemente approvato dalla provincia autonoma di Trento (PAT) dal titolo “Sistema integrato delle politiche strutturali per la promozione del benessere familiare e della natalità” (L. 2 marzo 2011, n. 1). La legge parte dal riconoscimento delle famiglie quali soggetti attivi dello sviluppo economico e sociale, tenendo al contempo conto delle difficoltà concrete che le famiglie vivono nell’attuale frangente economico di crisi. Il testo definitivo, che armonizza cinque diversi disegni di legge, interviene su una molteplicità di ambiti, a partire dal riconoscimento della complessità della tematica affrontata e dall’opportunità di una azione integrata e coordinata tra i diversi attori istituzionali e territoriali. In particolare è possibile individuare tre principali campi di azione: gli interventi a sostegno dei progetti di vita per le famiglie; le misure rivolte ai tempi dei territori e alla conciliazione tra tempi familiari e tempi di lavoro; la realizzazione di un distretto per la famiglia.

Per quanto riguarda il primo ambito, ovvero il sostegno ai progetti di vita per le famiglie, la legge prevede in particolare

- l’erogazione di un contributo mensile per il genitore che si astiene temporaneamente dall’attività lavorativa per dedicarsi alla cura del figlio, nel primo anno di vita, nel caso in cui l’altro genitore, se presente, svolga attività lavorativa o comunque non possa svolgere attività di cura sostegni finanziari ai genitori che si astengono dal lavoro nel primo anno di vita dei figli;

- contributi per sostenere le spese domestiche e sanitarie delle famiglie numerose (con tre o più figli

- un fondo di garanzia per garantire l’accesso al credito per le famiglie che sperimentano condizioni di incertezza economica;

- la possibilità di accedere al prestito d’onore da parte di nubendi, giovani coppie, famiglie numerose o nuclei familiari in cui siano presenti dei figli minori, in relazione a determinate spese.

Per quanto concerne invece il secondo ambito, relativo ai tempi del territorio e alla conciliazione tra tempi familiari e tempi di lavoro, le misure previste riguardano:

- il diritto all’utilizzo dei servizi di assistenza e cura per figli in fascia 0-3 anni, garantito attraverso una più capillare diffusione dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (asili nido e servizio tagesmutter) o, nel caso di  mancata copertura, tramite l’erogazione di un assegno che consenta l’accesso a servizi alternativi; il sostegno economico per l’acquisto di servizi da parte di organizzazioni accreditate (tramite buoni di servizio); la possibilità di progetti di auto-organizzazione dei servizi nell’ambito dell’associazionismo familiare (è il caso ad esempio di una associazione costituita dalle famiglie di una piccola realtà locale che ha organizzato un servizio di anticipo e posticipo per i bambini delle scuole elementari);

- il potenziamento dei servizi di conciliazione famiglia-lavoro anche per chi ha figli fuori dalla fascia 0-3 anni;

- l’adozione da parte delle organizzazioni pubbliche e private di modelli di gestione organizzativa attenti alla conciliazione tra lavoro e famiglia, con la definizione di specifiche linee guida (che la legge non cita direttamente, ma che sono contenute nel processo di certificazione denominato family audit, elaborato e già sperimentato dalla stessa provincia di Trento e attualmente in via di adozione da parte del sottosegretariato di Stato per le politiche per la famiglia del governo italiano);

- la promozione di servizi interaziendali di prossimità a supporto dello svolgimento di impegni familiari, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie; il coordinamento dei tempi e degli orari del territorio per migliorare l’accesso ai servizi e la mobilità urbana e favorire una maggiore qualità della vita.


Infine la legge promuove la realizzazione di un distretto per la famiglia, con l’obiettivo di favorire l’incremento qualitativo e quantitativo dei servizi resi dalle organizzazioni private alle famiglie con figli, indicando specifici standard di “qualità familiare” dei servizi erogati da parte delle organizzazioni aderenti e definendo i criteri di certificazione. Va a tal proposito segnalato che attualmente in provincia di Trento vi sono già circa 200 organizzazioni e una trentina di comuni che hanno ottenuto la certificazione denominata Family in Trentino. Sono inoltre stati già siglati tre accordi di area in diversi territori, per la costituzione di "distretti famiglia”, tramite percorsi di certificazione territoriali familiare mirati a rafforzare il sistema dei servizi e delle iniziative per la famiglia a  livello locale, tramite il coinvolgimento di una pluralità di attori (enti pubblici, privati, associazionismo), anche al fine di una valorizzazione turistica del territorio.

Per il finanziamento delle azioni contemplate dalla legge sono stati stanziati 5 milioni di euro per il 2011, ma ne sono previsti, a regime, 16, di cui la maggior parte destinati al potenziamento dei servizi per la fascia 0-3 anni. Le restanti azioni prevedono invece costi relativamente contenuti, perché basati soprattutto su una riorganizzazione del sistema di servizi già esistente e su una più capillare attività di coordinamento, valorizzazione e potenziamento del tessuto sociale locale.

Come ogni testo normativo, tanto più se interviene su materie ampie e precedentemente non soggette a regolamentazione, anche la “Legge sul benessere familiare” della PAT, presenta ovviamente delle criticità e delle aree di miglioramento. Tra queste si può forse indicare l’enfasi nella titolazione sul termine “natalità”, non solo sul piano simbolico, per l’assonanza con le campagne demografiche di regimi del passato,  ma piuttosto per il rischio di dare della famiglia una definizione un po’ appiattita sulla dimensione procreativa, anche se è innegabile che una delle principali conseguenze della scarsa attenzione prestata alle politiche familiari in questo paese è la forte contrazione delle nascite, oggi aggravata dal fenomeno della precarietà lavorativa.

In prospettiva, e proprio nell’ottica dell’integrazione a cui la  legge si richiama, sarebbe auspicabile una ulteriore articolazione degli interventi che preveda una pluralità di ambiti di sviluppo, come politiche per l’infanzia in cui la cura e il benessere dei bambini siano percepiti come beni collettivi e non individuali; politiche attente al tema dell’invecchiamento, anche in considerazione del fatto che per le generazioni oggi adulte in realtà la principale necessità di cura riguarderà più i familiari anziani che i figli; politiche che tengano conto della pluralizzazione dei modelli familiari, conseguenza dei rilevanti cambiamenti sociali degli ultimi decenni. Relativamente alle iniziative finalizzate a favorire un miglior equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare, potrebbe inoltre rivelarsi utile una più forte attenzione ad individuare forme organizzative in grado di non penalizzare la scelta conciliativa in termini di sviluppo professionale, intervenendo pertanto anche sulle implicazioni legate alla segregazione verticale di genere.

Inoltre sarebbe opportuna una ulteriore focalizzazione sulla questione della precarietà giovanile, delle sue implicazioni sia in termini di investimento familiare che di sostenibilità futura (si pensi alla ancora poco considerata, ma molto preoccupante, questione previdenziale).

Al di là dei rilievi critici  o delle proposte migliorative che possono essere avanzate in relazione alla legge trentina, questa esperienza si configura sicuramente come un’oasi nel desolante deserto italiano. Il fatto che sia stata realizzata in una provincia autonoma, e come tale caratterizzata da maggiori risorse finanziarie rispetto ad altri contesti regionali, può far sì che venga percepita come una sorta di miraggio, difficilmente raggiungibile da realtà gravate da maggiori problemi di bilancio. Tuttavia, se è vero che l’autonomia e una più ampia disponibilità economica possono  agevolare iniziative di questo tipo, va tuttavia sottolineato che molte delle azioni adottate o previste  riguardano soprattutto una riorganizzazione virtuosa del sistema dei servizi e  una valorizzazione della sussidiarietà del territorio e come tali potrebbero essere implementabili anche in altri contesti territoriali, con costi relativamente contenuti. Più che un miraggio, pertanto, questa esperienza potrebbe essere considerata come un esempio concreto (e certamente anche migliorabile) di innovazione ed attivazione, da cui prendere spunto e linfa per avviare finalmente, a livello nazionale, quella riforma delle politiche familiari che fino ad oggi in molti hanno evocato e sbandierato, ma nessuno ha mai davvero saputo realizzare.