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L’estate di inGenere è ricca di pensieri su orizzonti femministi indirizzati alle ragazze che stanno vivendo il presente e alle donne che vivranno nel futuro. Li abbiamo chiamati "messaggi in bottiglia". In questo, Barbara Leda Kenny parla di vacanze e di ozio, di riposo e di tempi per sé

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Tempi per sé
Credits Unsplash/Karim MANJRA

È con il Regio Decreto 692 del 1923 (poi convertito nella legge 473 del 17 aprile 1925) che l’orario di lavoro massimo di otto ore giornaliere o 48 settimanali viene esteso a tutte le categorie di lavoratori. Decreto che arriva dopo anni di lotte sindacali internazionali per limitare le ore di lavoro giornaliere e settimanali. 

La giornata di otto ore di lavoro è stata quindi una conquista, ma, nella memoria collettiva, si è persa una parte dello slogan del movimento dei lavoratori, perché la rivendicazione per intero era “otto ore di lavoro, otto ore di ozio e otto ore di sonno”.  Questo slogan diceva che il lavoro è una delle componenti della vita e che l’ozio e il riposo sono ugualmente importanti, e, per questo, il lavoro doveva avere una durata giusta che consentisse alle persone il piacere

Le vacanze, come tempo di ozio pagato delle persone che lavorano e non come privilegio delle persone ricche, arrivano nel 1948, sono quindi molto recenti. 

La prima legge è francese ed è del 1936, anno che fu denominato “Anno I della felicità”. La legge garantiva a tutti i lavoratori 15 giorni di ferie pagate e un biglietto del treno popolare. In Italia sarà la costituzione a sancire il diritto alla vacanza: secondo l'articolo 36 “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

Se la costituzione sancisce il diritto alle vacanze è solo negli anni del boom economico: in Italia si diffondono le macchine e con le automobili si afferma la vacanza come viaggio, come fuga dalla città anche per la classe operaia. 

Se, invece, parliamo di vacanze al presente, dobbiamo dire che quel diritto costituzionale è stato eroso dai cambiamenti nel mercato del lavoro, e ci sono molte persone che lavorano che oggi ne restano escluse: lavoratori a termine, false partite iva, contratti a chiamata, persone che lavorano per le piattaforme digitali, di vacanze retribuite non ne hanno. Come dice Virginia Caffaro, autrice di Manifesto pisolini. Guida femminista sul diritto al riposo (le plurali, 2024), per avere tempo per l’ozio e il riposo, bisogna avere “condizioni di lavoro favorevoli” e a non averle, sono più spesso le donne.

I dati sull’uso del tempo ci raccontano alcune cose interessanti da tenere in considerazione quando parliamo di tempo libero: la prima è che le donne si fanno carico della maggior parte del lavoro non retribuito, il lavoro domestico e di cura. E questo tipo di lavoro non si ferma quando si va in vacanza, anzi.

Secondo Istat (dati 2018), le donne, infatti, impiegano tre ore in più degli uomini ogni giorno nella cura della casa e delle persone della famiglia. Il tempo è una delle dimensioni misurate dal Gender equality index dell'istituto europeo per la parità di genere (Eige) che nella sua ultima edizione ci racconta che il 72% delle donne svolgono lavoro domestico su base quotidiana contro il 34 % degli uomini. 

La cura può essere anche molto piacevole, c’è chi ama cucinare e generalmente giocare con i bambini è divertente; quindi, se andiamo a vedere cosa c’è dentro il tempo dedicato alla cura, scopriremo che mentre gli uomini fanno il bagnetto ai bambini o li portano a calcio, tutta la cura spiacevole, quindi quelle attività che non comportano alcuna gratificazione come, per esempio, pulire il bagno, sono sempre svolte dalle donne. 

Il lavoro domestico e di cura però non è fatto solo di attività concrete, ormai sempre più spesso si parla di carico mentale anche per le ripercussioni che ha sulla salute delle donne. 

Il carico mentale è complementare alle attività di cura e viene definito come il lavoro cognitivo ed emotivo dietro le quinte, necessario per gestire una coppia o una famiglia. Ne sono un esempio la pianificazione dei pasti, la programmazione delle attività, l’organizzazione delle vacanze e, in generale, il soddisfacimento delle esigenze di tutti i membri della famiglia. 

Per riassumere possiamo dire che il lavoro domestico e di cura ha come caratteristiche quello di essere:

  • invisibile: non viene riconosciuto come lavoro, ma raccontato come amore;
  • senza confini: il carico mentale non si spegne quando usciamo di casa, ma esiste al lavoro, durante il tempo libero e, spesso, interrompe il tempo del sonno;
  • senza fine: perché in genere è legato alla costante cura dei propri cari e quindi è difficile da sospendere.

Se il lavoro di cura non viene visto e non viene considerato lavoro, non è possibile “andare in vacanza” per chi lo svolge. In altri termini, se sappiamo cosa significa andare in vacanza dal lavoro retribuito, la vacanza dal lavoro domestico e di cura molte donne non la sperimentano mai.

C’è un problema quantitativo: le donne hanno poco tempo libero perché usano il tempo che dovrebbe essere delle otto ore d’ozio soprattutto per prendersi cura degli altri. E c’è un problema qualitativo: se investighiamo l’uso che le donne fanno del tempo libero, questo tempo viene usato quasi sempre per attività con la famiglia e quindi con e per le persone di cui ci si prende cura. 

Il rovescio della medaglia è che invece molto spesso gli uomini sì che hanno tempo da dedicare alle proprie passioni – dallo sport, agli amici, alla partecipazione politica. Nella sua esclusività, questo è un tempo che diventa privilegio.

L'ozio delle donne è raro, e il diritto all’ozio una rivendicazione femminista che si configura oltre la sospensione del lavoro retribuito come una sospensione dal lavoro di cura e dal suo carico mentale. 

La femminista Indiana Surabhi Yadav ha aperto una pagina Instagram intitolata Basanti: women at leisure, che ritrae donne che si divertono o che semplicemente non fanno niente. In un'intervista dice di aver iniziato a pubblicare queste foto per porre una domanda: a chi è consentito l’ozio? Le immagini di donne che si divertono con altre donne oppure oziano sono immagini dirompenti che si impongono contro lo stereotipo della vocazione alla cura. Le donne che oziano, a differenza degli uomini, vengono considerate egoiste. 

Il tema dell’ozio è presente anche in altri progetti femministi, per esempio, le urbaniste femministe di Punt 6 parlano spesso di come progettare città che facilitino la socialità e l’ozio per le donne come tempo e spazio di benessere ma anche di relazione e partecipazione. E uno dei collettivi femministi più importanti di Roma ha scelto di chiamarsi Lucha y siesta

Una domanda da farci potrebbe essere: quali sono le condizioni necessarie per consentire alle donne di andare in vacanza e quindi di sospendere il lavoro di cura? Quali sono le strategie per un vero ozio?

Ci sono due o tre cose che le donne possono fare a partire da sé. E per deduzione, che possono fare le persone e in particolare gli uomini che gli stanno intorno:

La prima è la più ovvia: i dati raccontano che le donne che sono in una coppia eterosessuale o che hanno figli molto spesso rinunciano al tempo per sé, ossia al tempo in cui non lavorano e non si prendono cura di qualcuno. Per avere questo tempo “liberato dalle attività e dal carico mentale della cura” la cosa più facile e immediata è andare in vacanza senza uomini e senza figli. A questo proposito vorrei ricordare il famoso studio di Harvard sullo sviluppo adulto iniziato nel 1938 e ancora in corso che va avanti da quasi un secolo, che dice che sono le relazioni “buone” a fare la felicità e anche la salute. E che a fare le relazioni “buone” è il tempo passato insieme; quindi, si possono considerare le vacanze con le amiche un investimento per la vita.

La seconda è imparare a mollare, le donne non sono le uniche deputate alla cura e questo significa che anche padri, nonni, zii sono perfettamente in grado di gestire una casa e stare con i bambini. Pensarsi indispensabili è una trappola del patriarcato, quindi partiamo con le amiche e lasciamo il carico mentale a casa! E, soprattutto, iniziamo a pensare che la delega della cura è un gesto politico, non egoista.

La terza è molto importante ed è la condivisione, la vacanza è un tempo fuori dalla routine, e, soprattutto la sospensione del lavoro retribuito, mette le coppie eterosessuali nella condizione ideale per poter sperimentare la condivisione, pretendetela, datevi come obiettivo che la differenza di ore lavorate per la famiglia si riequilibri e in quelle due ore che probabilmente guadagnerete leggete un libro, sdraiatevi su un’amaca, andate a camminare. 

Se lavorare vogliamo lavorare tutte, e oltre al lavoro vogliamo l’ozio, è importante che non tralasciamo il riposo. Nella sua guida femminista sul diritto al riposo, Virginia Caffaro, a fronte dell’erosione del tempo per vivere oltre il lavoro, invita ad “allenare l’attenzione e la consapevolezza, soprattutto di classe, nonché a fare spazio all’altruismo, mettendo in circolo un moto virtuoso di difesa e cura reciproca del riposo”.

Siamo partite dalle otto ore, e forse, a un secolo di distanza e con l’entrata delle donne nel mercato del lavoro, è proprio quell’assunto che dobbiamo mettere in discussione. Per fare in modo che la gestione del tempo funzioni dobbiamo mettere in discussione quelle otto ore di lavoro, otto ore di ozio e otto di riposo. Una ripartizione che era basata su un modello in cui gli uomini lavoravano fuori casa e sul lavoro domestico e di cura gratis e invisibile delle donne. 

Oggi la giornata va ripensata e la rivendicazione modificata includendo il tempo della cura: potremmo fare per esempio sei ore di lavoro, due ore di cura, otto ore d’ozio e otto di riposo per tutte e tutti.

Per approfondire

Barbara Leda Kenny ai microfoni de Il Mondo, podcast di Internazionale

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