Una sola donna al comando
Giorgia Meloni è diventata presidente del consiglio senza cambiare il rapporto di potere tra i generi. Intorno a lei ci sono solo uomini. L'analisi di Barbara Leda Kenny su L'Essenziale
In questi giorni è molto difficile mettere a fuoco i pensieri, sembra di vivere nel peggior incubo di una femminista (ed è solo l’inizio). Nel poco tempo trascorso dalle elezioni la destra al governo ha lanciato dei segnali che evidentemente considera un modo per segnare la propria vittoria e la discontinuità. Ha presentato una legge per il riconoscimento giuridico dell’embrione (antiabortista), ha nominato alla presidenza del senato e della camera due rappresentanti di idee fortemente patriarcali e retrograde e istituito il “ministero della famiglia, natalità e pari opportunità” e ha confermato la scelta del genere maschile per indicare il nuovo incarico di Meloni: il presidente, non la presidente.
Il corpo delle donne è al centro del campo di battaglia, anzi è la testa mozzata del nemico da piantare sui pali. A questo si somma una narrazione che si sta affermando su gran parte dei mezzi d’informazione che descrive Meloni come un successo collettivo delle donne. Peccato che per farlo usa ingredienti sessisti: considerazioni sul suo aspetto fisico, sul suo modo di vestire, l’impiego di vezzeggiativi e del nome di battesimo per riferirsi a lei come se fosse una persona che conosciamo da sempre, i commenti sul cambio di scarpe tra il passaggio in rassegna del picchetto d’onore e la cerimonia della campanella come se stessimo parlando del matrimonio della nostra compagna di banco storica.