Politiche

I giorni di congedo obbligatorio raddoppiano per i padri nel 2018, passando da 2 a 4. Piccoli passi, rispetto alla strada ancora lunga per una genitorialità condivisa

Congedi, dal 2018
due giorni in più per i papà

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Foto: Unsplash/ Kelly Sikkema

Il congedo di paternità in Italia non è ancora un diritto stabilmente riconosciuto per i lavoratori padri, ma una misura sperimentale.

Per il 2018 è previsto però un piccolo miglioramento: i novelli padri potranno infatti godere alla nascita del figlio, e fino al compimento di cinque mesi da parte di quest’ultimo – o  in caso di affido o di adozione entro i 5 mesi dall’ingresso in famiglia –, di 4 giorni interamente retribuiti (prima erano 2), godibili anche in via non continuativa, ma non frazionabili a ore (come invece è possibile per il congedo parentale)[1].

In aggiunta rimane anche il giorno non obbligatorio, ma facoltativo, in quanto la possibilità per i padri di usufruirne è subordinata alla rinuncia da parte della lavoratrice di un giorno tra quelli del proprio congedo di maternità.

Siamo ancora ben lontani quindi da una normativa sulla genitorialità equa per gli uomini e per le donne, con le gravi ripercussioni che questo comporta nel mercato del lavoro e in termini di persistenza dell’ancora infrangibile tetto di cristallo. Peraltro l’Europa, nel Social Pillar di cui abbiamo già parlato, ha indicato chiaramente la roadmap in materia: un congedo di paternità obbligatorio pari ad almeno dieci giorni.

Mentre il nostro paese dovrà quindi completamente adeguarsi, diversi sono gli stati membri che già lo prevedono, e non esclusivamente “i soliti noti” del Nord Europa, anzi.

In Spagna i padri possono prendere un congedo di paternità di 13 giorni e un congedo di nascita di 2 giorni; in Estonia e in Irlanda i padri hanno invece diritto a due 2 settimane. E in tutti e tre i casi è interamente retribuito.

Come accennato ed evidenziato dalla letteratura e dagli studi di settore[2], lo squilibrio nelle normative inerenti alla genitorialità incrementa le differenze di genere nell’ambito professionale e in quello dell’assistenza. Diversamente, un uso da parte dei padri di meccanismi per conciliare attività professionale e vita familiare, come i congedi, ha dimostrato di avere effetti positivi sul successivo coinvolgimento nell’educazione dei figli, riducendo la percentuale di lavoro domestico non retribuito svolto dalle donne e lasciando a queste ultime più tempo per il lavoro retribuito.

Gli ultimi dati presentati dall’Ispettorato nazionale del lavoro sulle dimissioni di lavoratori e lavoratrici con figli fino a tre anni hanno mostrato che su 37 mila circa quasi 30 mila sono di donne che dichiarano di essere state costrette a farlo per difficoltà a conciliare la vita con il lavoro.

Forse prima che intervenire sull’inasprire la burocrazia, gli argini farraginosi alle dimissioni in bianco, sarebbe opportuno agevolare un maggior equilibrio nella genitorialità, a beneficio di tutta la società. Le madri hanno diritto al lavoro, come i lavoratori hanno diritto a essere padri.

Note

[1] Secondo quanto previsto dalla Legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 354, legge 11 dicembre 2016, n. 232).

[2] V. Viale, R. Zucaro, La maternità dalla tutela alla valorizzazione. Un’analisi comparata, in Osservatorio ISFOL, 2016, n. 3; World Economic Forum, The Global Gender Gap, 2017