Politiche

Pigs sotto accusa, e non per il debito. Portogallo, Italia, Grecia e Spagna hanno in comune anche il micidiale mix che scoraggia sia l'occupazione femminile che la fecondità: mercato del lavoro frammentato, welfare familistico e precarietà

Figli e lavoro,
il fallimento del "Club Med"

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Numerosi lavori hanno identificato le principali caratteristiche del mercato del lavoro e del sistema di welfare che accomunano i paesi dell’Europa del Sud: Grecia, Italia, Spagna e Portogallo (Karamessini 2008). Il modello occupazionale è molto simile: un’alta quota di persone occupate in piccole imprese, una elevata incidenza del lavoro autonomo, una generosa protezione per i lavoratori dipendenti con contratto standard e occupati nelle imprese medio-grandi o nel settore pubblico, si combinano con un elevato grado di flessibilità, in misura significativa realizzata attraverso il lavoro atipico e il sommerso. Una prima importante caratteristica di questo modello è la forte segmentazione del mercato del lavoro, a cui è connessa la frammentazione nel sistema di protezione sociale, con differenze marcate tra settore pubblico e privato, per dimensioni d’impresa, tipo di contratto di lavoro, lavoro regolare e lavoro nero. Come risultato di ciò, i giovani, le donne e gli immigrati incontrano notevoli difficoltà nell’accesso a lavori ‘buoni’ (ovvero, con adeguate tutele). Una seconda importante caratteristica riguarda il carattere familistico del regime di welfare: in questi paesi la famiglia è chiamata a giocare un ruolo centrale nel soddisfare il bisogno di cura ed assistenza economica dei suoi membri più fragili (Villa 2009). Una terza caratteristica, non meno importante, riguarda il prevalere di una tradizionale attribuzione di ruoli di genere sia all’interno della famiglia – con forti asimmetrie tra i partner nella divisione del lavoro domestico e di cura - sia nell’ambito lavorativo - dove si osserva una scarsa diffusione di modelli organizzativi innovativi e family-friendly.

Nel corso degli ultimi decenni è migliorato il livello d’istruzione delle giovani generazioni, con un gap a favore delle donne, particolarmente marcato nei paesi del Mediterraneo; si sono innalzate le aspirazioni rispetto al lavoro retribuito ed è aumentato il tasso di occupazione femminile, anche se il differenziale con gli uomini rimane tra i più elevati nell’Ue (fatta eccezione per il Portogallo). L’aumento dell’occupazione femminile (peraltro modesto nel confronto con gli altri paesi) si è registrato in un contesto caratterizzato da una caduta marcata della fecondità, una significativa discriminazione nel mercato del lavoro, caratterizzata dalla difficoltosa entrata delle giovani nell’area dei lavori sicuri, infine un debole sostegno alla conciliazione (Tanturri 2009).

Negli ultimi decenni, pressoché in tutti i paesi sviluppati la fecondità misurata dal tasso di fecondità totale (TFT, ovvero il numero medio di figli per donna) è scesa al di sotto dal tasso di rimpiazzo (TFT = 2,1), ovvero il tasso necessario ad assicurare il ricambio generazionale (v. fig. 1).

Nei paesi del Mediterraneo la caduta della fecondità è fonte di preoccupazione in quanto assestata ormai da tempo su livelli particolarmente bassi, con gravi ripercussioni sulla struttura demografica. Italia, Spagna e Grecia hanno registrato un tasso particolarmente basso, inferiore a 1,5 – identificato dai demografi come “lowest-low fertility” (Kohler, Billari, Ortega 2002) – ormai da oltre un decennio e il Portogallo negli anni più recenti. Questa tendenza è in contrasto con quanto si osserva in altri paesi (v. Danimarca, Svezia, Finlandia, UK, Francia, US, Norvegia), che registrarono negli anni ’70 e ’80 una calo della fecondità ma successivamente un recupero, riportandosi a livelli prossimi al tasso di rimpiazzo. E, con una certa sorpresa, si osserva questa ripresa della fecondità in concomitanza con tassi di occupazione femminile elevati e/o crescenti (v. fig. 2).

Nella letteratura è stata avanzata l’ipotesi che la disuguaglianza di genere sia un fattore chiave che spiega il fenomeno della lowest-low fertility, tipico dei paesi del Sud (McDonald 2006; Mills 2008). Il paradosso del modello mediterraneo, con bassi tassi di occupazione femminili associati a bassi tassi di fecondità, evidenziato già a metà degli anni ’90 (Bettio, Villa 1998), si rivela persistente. E la spiegazione di ciò è riconducibile agli scarsi progressi verso una parità di trattamento nella società, in famiglia, nel mercato del lavoro. Nei paesi del Mediterraneo, il modello dominante di famiglia rimane quello del male-breadwinner, sostenuto da un regime di welfare familistico poco attento ai problemi delle famiglie con figli, un assetto istituzionale del mercato del lavoro che favorisce l’occupazione degli uomini adulti in lavori standard, ed una insufficiente disponibilità di servizi per la famiglia. Da un lato, è ancora frequente tra le giovani generazioni di donne (soprattutto quelle con basso livello d’istruzione) l’abbandono della vita attiva al momento del matrimonio o dopo la nascita del primo figlio; dall’altro lato, le donne presenti nel mercato del lavoro – che sperimentano sulla loro pelle la discriminazione nel mercato del lavoro ed i costi personali del doppio ruolo – sono scoraggiate nella realizzazione della maternità in quanto si aspettano che ciò potrebbe compromettere le loro future opportunità lavorative e/o appesantire ulteriormente le loro condizioni di vita (Villa 2010).

Negli ultimi decenni, il tasso di occupazione delle giovani madri è aumentato anche nei paesi del Mediterraneo. Nonostante ciò, le misure per favorire la conciliazione lavoro-famiglia non si sono sviluppate in misura adeguata e il regime di welfare familista, tipico di questi paesi, ha mantenuto nel tempo le sue caratteristiche. E’ invece cambiato in modo significativo il sistema di regolazione del mercato del lavoro, con un generale aumento della segmentazione associato alla diffusione dei lavori precari e atipici, parallelamente ad un generale e marcato innalzamento dei livelli di scolarità per le giovani generazioni di donne.

In questi paesi la segmentazione del mercato del lavoro è andata rafforzandosi negli ultimi 15-20 anni (Karamessini 2008). L’allargamento verso forme contrattuali ‘flessibili’ è stato realizzato con modalità diverse tra i quattro paesi, ma i risultati osservati sono molto simili. Le riforme del mercato del lavoro che si sono susseguite hanno promosso la flessibilità “al margine”, modificando le condizioni contrattuali per le persone in entrata nel mercato del lavoro ma lasciando inalterate le norme che regolano i contratti standard (di chi è già occupato). L’incidenza dei contratti a termine (in tutte le forme disponibili) è ampia soprattutto tra i più giovani e le donne; inoltre, sono andate crescendo le diverse modalità di lavoro quasi subordinato (i “collaboratori”), con una diffusione maggiore tra le fasce più deboli. Al tempo stesso, il lavoro nero ha continuato a svolgere il ruolo informale di strumento di aggiustamento alla domanda di lavoro, anche attraverso ingenti flussi migratori irregolari. La precarizzazione delle condizioni lavorative ha ripercussioni pesanti non solo sulle condizioni economiche delle giovani generazioni, ma produce effetti negativi anche sui processi di formazione delle famiglie e sulle scelte di fecondità. La ricerca sul posticipo della maternità ha seguito l'ipotesi che le scelte avvengano non simultaneamente ma in successione temporale: le donne prima entrano nel mercato del lavoro, poi cercano di conquistare un posto di lavoro solido (sicuro nel tempo e con adeguate tutele), quindi pensano alla realizzazione della maternità desiderata (Gustafsson, Kenjoh, Worku 2003). Ci si può pertanto attendere di osservare una relazione negativa tra lavori precari e fecondità, come mostrato per l’Italia da Modena e Sabatini  e da De La Rica e Iza (2005) per la Spagna.

La compresenza di bassi tassi di fecondità e bassa occupazione femminile nei paesi del Mediterraneo va letta come il risultato di un divario tra le aspirazioni delle giovani donne in termini di uguaglianza sostanziale e realizzazione di sé anche attraverso il lavoro retribuito e le difficoltà che devono affrontare come lavoratrici e come madri. Un problema cruciale, trascurato dai policy makers, è l’assenza di tutele adeguate e di sicurezza economica in caso di maternità per le giovani donne occupate in lavori precari. La crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro induce le giovani donne a ricercare con determinazione un lavoro sicuro, prima di affrontare una eventuale maternità. E’ indubbio che gioca un ruolo di primo piano, accanto all’insufficiente dotazione di servizi per la famiglia (in particolare, gli asili nido) la qualità dell’occupazione e la questione della precarietà. Una lettura della bassa fecondità, e della sua associazione con un basso tasso di occupazione femminile, dovrebbe portare ad interrogarsi sulle difficoltà che le giovani donne incontrano in tutti gli stadi del passaggio alla vita adulta, in primo luogo il raggiungimento di un lavoro sicuro, in grado di assicurare l’indipendenza economica e la realizzazione di sé attraverso il lavoro.

 

Riferimenti bibliografici

Bettio F., Villa P. (1998), A Mediterranean perspective on the breakdown of the relationship between participation and fertility, Cambridge Journal of Economics, 22 (2) 137-171

De La Rica S., A. Iza (2005), “Career Planning in Spain: do fixed-term contracts delay marriage and parenthood?”, Review of Economics of the Household, n. 3: 49-73

Gustaffson S., Kenjoh E., Worku S. (2003), “ Human capital of women and men and the timing of parenhood”, University of Amsterdam (mimeo)

Karamessini M. (2008), Still a distinctive southern European employment model?, Industrial Relations Journal, 39 (6): 510-531

Kohler H.P., Billari F.C., Ortega J.A. (2002), The emergence of lowest-low fertility in Europe during the 1990s, Population and Development Review, 28 (4): 641-680

McDonald P. (2006), Low fertility and the state: the efficacy of policy, Population and Development Review, 32 (3): 485-510

Mills M. (2008), Gender equality, the labour market and fertility: a European comparison, 35th CEIES seminar “New Family Relationships and Living arrangements. Demands for Change in Social Statistics”, January 2008, Warsaw, Poland

Modena F., Sabatini F. (2010), “Lavoro e culle vuote. Quanto pesa la precarietà”, www.ingenere.it, 13.01.2011

OECD Family database (www.oecd.org/els/social/family/database)

Tanturri M.L. (2009), “Demografia e lavoro femminile: le sfide della conciliazione”, in L. Bacci (ed.) Demografia del capitale umano, Il Mulino, Bologna

Villa P. (2009), “La difficile strada verso l’indipendenza economica per le donne in Italia: dalla protezione nella famiglia al lavoro retribuito”, in: Economia e Lavoro, Anno XLIII, maggio-agosto, n. 2 (pp. 37-58)

Villa P. (2010), “La crescita dell’occupazione femminile: la polarizzazione tra stabilità e precarietà”, in: Lavoro e Diritto, n. 3 (pp. 343-358)