Politiche

La ricerca è linfa vitale per lo sviluppo. E l'innovazione passa anche attraverso la capacità di mettere in gioco tutto il capitale umano disponibile. Una situazione ancora molto lontana dalla realtà, dicono le statistiche

Per innovare (e crescere)
servono le donne

5 min lettura
Foto Flickr/Donna Cleveland

La ricerca e l’innovazione (R&I) costituiscono una delle quattro priorità-chiave della politica di coesione 2014-2020, che ha come obiettivo generale la crescita economica e l’occupazione, con investimenti pari a 325 miliardi di euro nel periodo. Le altre priorità sono: agenda digitale, sostegno alle piccole e medie imprese (Pmi) ed economia a bassa emissione di carbonio.

Si da importanza a R&I perché secondo numerosi studi l’innovazione è il principale stimolo allo sviluppo economico in paesi o regioni sviluppate, determinandone i livelli di occupazione. I protagonisti in questo campo sono i ricercatori che lavorano nelle università, nei centri di ricerca e nei reparti di ricerca delle Pmi; questi ultimi elaborano modifiche e miglioramenti ai processi produttivi e ai prodotti, e quindi applicano nel loro lavoro un approccio sperimentale e propenso al rischio, come i ricercatori accademici.

Le università saranno beneficiarie d’investimenti per R&I, perché sono sede di enormi patrimoni di conoscenze e concentrano numeri elevati di giovani adulti in formazione, dai quali ci si aspetta la capacità di affrontare i problemi della società con vigore e preparazione. Inoltre, le università coltivano relazioni esterne, che si proiettano molto al di là della regione o dello stato cui appartengono.

Un altro elemento importante della politica di coesione è l’innovazione sociale, definita come “lo sviluppo e l’applicazione di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) per rispondere a bisogni della società e creare nuove relazioni sociali o collaborazioni”. L’innovazione sociale è essenziale per trasformare la ricerca in innovazione, questa in sviluppo economico e quest’ultimo in posti di lavoro.  

La Commissione europea e l’Oecd ritengono essenziale che l’innovazione sociale debba entrare nelle università, e hanno perciò sviluppato lo strumento online HEInnovate di autovalutazione per misurare il grado di innovazione delle istituzioni accademiche. Infatti, creare un clima di fiducia reciproca attraverso nuove relazioni e collaborazioni che garantiscano e promuovano la partecipazione di tutti i soggetti del corpo accademico, il culto della curiosità e creatività, necessarie a maturare il coraggio dell’assunzione di rischi, dell’invenzione, e dello spirito imprenditoriale (entrepreneurship). Quest’ultimo termine indica la capacità di cogliere nuove opportunità di sviluppo.

Le Università europee sono luogo d’innovazione sociale? Per rispondere a questa domanda, si deve tenere conto che un fattore essenziale dell’innovazione, sociale e tecnologica, è dato dalla capacità di mettere in gioco tutto il capitale umano disponibile, al fine di creare relazioni professionali cooperative e sinergiche. Accade questo nelle università?

Il rapporto SHE figures 2012 della Commissione europea indica che tutto il sistema accademico europeo è caratterizzato da disparità di genere, che si accentua passando dalle fasi iniziali a quelle finali della carriera. In media, le donne sono solo il 20% dei professori ordinari (ultimo grado della carriera), limitando in modo automatico l’accesso ai ruoli di decision-making: in Europa, solo il 10% dei rettori sono donne. L’Italia è in linea con questi numeri, come si può facilmente dedurre dai dati del nostro Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Uno studio della Commissione europea intitolato “Structural change in research institutions” identifica opacità nelle decisioni, pregiudizi, scarsa conoscenza dei fatti come fattori chiave per la discriminazione.

In questo clima relazionale, sorgono dei dubbi molto seri sulla capacità delle università di realizzare quelle innovazioni sociali e tecnologiche, da cui dipende la possibilità di stimolare l’economia e far aumentare i posti di lavoro, come voluto dalla politica di coesione 2014-2020.

Innovation and Gender” è il titolo di un libro pubblicato nel 2011 a cura delle Agenzie per l’innovazione di Svezia e Norvegia. Il testo discute sei diversi argomenti, documentati da studi specifici, a supporto della tesi che l’innovazione è incentivata se sono garantite la diversità e l’egualità di genere. Lo studio “Gender diversity within R&D teams: Its impact on radicalness of innovation”, realizzato in Spagna e datato 2014, mostra che gruppi di lavoro misti favoriscono innovazioni radicali anche in ambiente tecnologico, un tempo appannaggio maschile.

Perciò, la “priorità delle priorità” è la rimozione di ogni forma di disparità o discriminazione nelle comunità di lavoro, soprattutto accademiche (per il loro ruolo in R&I). Infatti, il sotto-utilizzo del capitale umano è il freno principale allo sviluppo intelligente, sostenibile e solidale dell’economia e della società, preconizzato dalla strategia Europa 2020. 

In generale, i fondi della politica di coesione non devono mantenere distorsioni strutturali, ma favorire cambiamenti di gestione delle risorse umane nelle grandi istituzioni di ricerca. È essenziale a questo scopo elaborare chiare misure attuative, di monitoraggio e valutazione dei principi di uguaglianza di genere enunciati nell’Accordo di partenariato Italia 2014-2020 approvato dalla Commissione europea. Una lista esauriente di raccomandazioni si trova elencata nel sopra-citato documento “Structural change in research institutions".

 I principi sono pure chiaramente enunciati in European Charter for Equality of Women and Men in Local Life, la cui applicazione risolverebbe molte delle criticità messe in evidenza dai più recenti documenti sopra menzionati.

Considerando l’incapacità cronica dell’Italia di utilizzare completamente i fondi strutturali europei, definita un “disastro”, con grave danno per i cittadini, si può suggerire di usare questi preziosi finanziamenti per attuare una misura shock di riequilibrio di genere nei ruoli della docenza universitaria, con un piano straordinario di assunzione, vincolato all’attuazione della priorità R&I della politica di coesione 2014-2020, così da rinnovare in breve tempo non solo il corpo docente universitario, ma soprattutto il modo di collegare la ricerca con l’industria e la società. Questo è stato il mio messaggio al Convegno nazionale “Scienza, genere e società: a che punto siamo?” organizzato dall’associazione Donne e Scienza a Trento il 12-14 novembre 2014.