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SPECIALE EUROPA. Romania, Ungheria, Polonia: la guerra alla parità è partita dall'Europa orientale e centrale e lentamente si sta diffondendo sostenuta dalle chiese e dai governi conservatori e populisti

La crociata contro
la parità

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Foto: Flickr/pussreboots

Gli oleandri che fioriscono nei giardini della Romania attirano sguardi pieni di ammirazione da parte di chi, passante o turista, se li trova davanti agli occhi. Rosa, bianco, viola e rosso, si stenta a credere che questi bellissimi fiori possano contenere un oscuro segreto.

Tuttavia, sotto la dittatura di Ceausescu, quando sia la contraccezione sia l’aborto erano vietati, le donne e le ragazze che desideravano porre termine a una gravidanza “difficile” solevano bere un infuso ottenuto dalle foglie fermentate di questa pianta.

“Mi ricordo che, quando avevo cinque o sei anni, una mia concittadina morì dopo aver bevuto l’infuso per abortire”, mi racconta durante una chiamata su Skype la giornalista Ana-Maria Luca.

La vicina di Ana-Maria è una delle 10.000 donne che sono morte tra il 1966 e il 1989 a seguito delle complicazioni derivate da un aborto clandestino. L’aborto è stato legalizzato solo nel 1990 ed è ora possibile farne richiesta fino a 14 settimane.

Tuttavia, una cosa è rendere l’aborto legale, altra cosa è renderlo accessibile, oltre a dare alle donne e alle ragazze la possibilità di accedere con facilità all’educazione sulla salute sessuale e riproduttiva.

“L’educazione sessuale è totalmente assente in Romania”, mi spiega durante una chiamata su Skype Irina Ilisei, attivista e fondatrice di Front-Feminism Romania. “È stata condotta una campagna a favore dell’introduzione dell’educazione sessuale; tuttavia, rimane una materia facoltativa e viene insegnata in pochissime scuole”. La chiesa ortodossa ha condotto una campagna di opposizione all’introduzione dell’educazione sessuale, affermando che essa corromperebbe i bambini e le bambine, e incoraggiando pertanto i padri e le madri a fare fronte comune.

L’assenza dell’educazione sulla salute sessuale e riproduttiva mostra quanto sia devastante l’impatto che le politiche improntate al credo religioso e a un’ideologia politica di destra possono avere su donne e ragazze in termini di pari opportunità, in particolar modo nelle aree rurali del paese.

Secondo i numeri di Save the Children, la Romania “vanta” il più alto numero di madri minori d’età in Europa. Questo dato statistico spiega l’alto tasso di mortalità in caso di parto prematuro, gli elevati tassi di mortalità infantile e materna, nonché la maggiore probabilità di abbandono scolastico osservata tra le donne in giovane età. Una madre su cinque non riceve assistenza pre-parto, durante il parto e post-parto.

“Le donne e le ragazze che vivono nelle aree rurali spesso non hanno ricevuto alcuna assistenza di tipo medico durante la gravidanza, né alcuna informazione in materia di contraccezione”, mi racconta Ana-Maria. “Al governo manca una vision per poter introdurre un cambiamento. E questo è in parte dovuto al fatto che i diritti e le problematiche delle donne vengono ampiamente ignorati in Romania”.

Ana-Maria crede che questa mancanza di attenzione verso l’uguaglianza delle donne derivi dall’alto, più precisamente dal parlamento. Tra gli episodi recenti che hanno portato alla luce comportamenti misogini vale la pena richiamarne due: un parlamentare ha dichiarato di possedere un video in cui la donna che lo ha denunciato starebbe facendo sesso anale, e un secondo parlamentare ha invitato una giovane senatrice a “ciucciargli i genitali.

Influenze religiose sulla sanità in Romania

Dal momento che le politiche governative in materia di diritti delle donne latitano, e in assenza di organizzazioni della società civile che forniscano assistenza in ambito sanitario, i gruppi che si oppongono all’uguaglianza hanno iniziato a riempire i vuoti che si riscontrano nella sanità e nell’istruzione. Nella Romania rurale, il soggetto più influente al riguardo è la chiesa ortodossa, che si oppone alla libertà di scelta e alla contraccezione.

La chiesa è da sempre contraria all’accesso alla salute e all’educazione sessuali. Attualmente, sta promuovendo la sua idea di “medicina cristiana” tra il personale medico e tra gli studenti e le studentesse di medicina; più nello specifico, organizza ritiri durante i quali gli insegnamenti religiosi vecchi di secoli vengono declinati alla luce dell’attuale posizione della chiesa su aborto, contraccezione e questioni Lgbt.

Il Dr. Chirilă, membro fondatore di Coalizione per la famiglia, un’associazione che si oppone al diritto di scelta e ai diritti della comunità Lgbt, ha tenuto di recente una lezione durante uno di questi ritiri. Tra i vari argomenti, ha descritto l’omosessualità come una “moda” importata dall’occidente.

Tutto ciò ha un impatto estremamente preoccupante a livello concreto. In Romania, come in altre parti del mondo, il personale medico può rifiutarsi di praticare un aborto legale invocando l’obiezione di coscienza. Se una parte sempre più numerosa del personale medico introduce la “medicina cristiana” all’interno delle proprie cliniche, sarà sempre più difficile per le donne avere accesso all’aborto, in particolare nelle aree rurali più conservatrici e durante le festività religiose.

“Il personale medico in servizio negli ospedali può già rifiutarsi di praticare aborti”, spiega Irina. “Pertanto, è molto difficile per le donne che vivono nelle aree rurali trovare una struttura nella quale l’aborto viene praticato. La situazione peggiora durante i periodi di digiuno imposti dalla religione ortodossa”.

Le uscite di Chirilă sull’omosessualità in quanto “moda occidentale”, l’affermazione sempre più forte della medicina cristiana e l’influenza esercitata dalla chiesa ortodossa sull’accesso da parte delle donne all’educazione sessuale e alla contraccezione sono parte di un pericoloso disegno illiberale che si sta diffondendo in tutta l’Europa orientale e centrale. In tutta la regione, è iniziata una nuova era culturale che rifiuta i valori progressisti e liberali associati allo status di paese membro dell’Ue, come ad esempio i diritti della comunità Lgbt e delle donne. Al contrario, questi valori vengono presentati come un attacco alla tradizione, all’orgoglio nazionale e alla famiglia. 

Tutto ciò appare evidente in Ungheria come da nessun’altra parte.

L'impossibile diventa possibile in Ungheria

“Stanno accadendo cose che mai credevamo potessero accadere”, mi dice al telefono Ivett Körösi con la voce rotta da un singhiozzo. La preoccupazione nella sua voce è palpabile. “Non avrei mai immaginato che gli studi di genere potessero essere banditi dalle università. E invece sta accadendo”.

Ivett, che di professione fa la giornalista e lavora a Budapest, fa riferimento a un decreto adottato di recente dal governo con lo scopo di sopprimere i corsi di laurea in studi di genere presso l’Università dell’Europa centrale e l’Università Eötvös Loránd (Elte). Fidesz, il partito di governo guidato da Orbán, ha dato alle due università un termine di 24 ore per rispondere a una consultazione sulla misura, la quale sarebbe stata adottata per motivi economici.

Tuttavia, da più parti – incluso Gáspár Miklós Tamás, docente, filosofo, critico, ex-dissidente ed ex-parlamentare – si ritiene che “l’eliminazione dei corsi di laurea in studi di genere debba essere vista nell’ottica di un attacco generalizzato perpetrato dal regime semidittatoriale ungherese ai danni dei diritti civili e della società civile in generale”.

Gáspár mi ha detto che, a seguito di “massicce campagne di propaganda condotte contro la filosofia, la letteratura contemporanea, i musei di arte moderna e così via in quanto non sarebbero abbastanza patriottici […] è arrivato il momento del femminismo e degli studi di genere, i quali metterebbero in discussione la mascolinità, la famiglia e la nazione”.

Il colpo inferto ai corsi di laurea in studi di genere segue temporalmente la lotta senza quartiere condotta contro le Ong di stampo femminista e a favore della migrazione e dei diritti Lgbt e le Ong in Ungheria, che sono state raffigurate come “agenti straniere” che minaccerebbero la sovranità nazionale. Nel frattempo, le associazioni di beneficienza filogovernative, di stampo conservatore e paladine dei valori della famiglia hanno ricevuto fondi dal governo stesso, a discapito delle Ong più liberali che promuovono i diritti delle donne.

“Stiamo assistendo all’inizio di una nuova era culturale”, mi spiega Ivett. “Un’era ostile verso il femminismo e, in un certo qual modo, verso tutte le donne, la comunità Lgbt e le minoranze”.

Il pilastro principale di questa nuova era culturale è la fede nei valori tradizionali della famiglia, la maggior parte dei quali, a detta di Ivett, relegano la donna al ruolo di “mera macchina da parto”.

Tutto ciò si rispecchia nel linguaggio utilizzato dai vertici del governo.

Durante un discorso tenuto al congresso del partito Fidesz, il Presidente dell’Assemblea nazionale ungherese, László Kövér, ha dichiarato che “non vogliamo trasformare l’Ungheria in una società senza futuro, piena di donne che odiano gli uomini e di uomini effeminati terrorizzati dalle donne, le quali considerano il parto e la famiglia come degli ostacoli all’autorealizzazione. Ci piacerebbe che […] le nostre figlie considerassero il fatto di renderci nonni come l’apice dell’autorealizzazione”.

La retorica che richiede alle donne di considerare la maternità come il proprio scopo di vita si rispecchia nelle politiche adottate. Nell’ambito di una misura finalizzata ad aumentare il tasso di natalità in Ungheria, Orbán ha proposto “un accordo con le donne ungheresi” che potrebbe includere esenzioni fiscali a favore di quei padri e quelle madri che hanno due o più figli(e), o l’aumento dell’indennità che le madri ricevono dallo stato dopo il parto.

Se di per sé non c’è nulla di sbagliato negli assegni familiari, la misura di Orbán lascia fuori gli uomini. Essa infatti corrobora la convinzione secondo la quale la gravidanza e la cura dei figli e delle figlie rappresenterebbero dei compiti tipicamente femminili, e “premia” le famiglie tradizionali nelle quali le donne portano a termine quante più gravidanze possibili.

I diritti delle donne e l'immigrazione in Ungheria

La crociata contro l’uguaglianza di genere e il liberalismo ha dei forti legami con la crisi migratoria.

“Il tema principale è il rigetto dell’immigrazione illegale e la necessità di difendere il paese”, spiega Ivett. “Tuttavia, i due aspetti sono collegati. Dicono che, se sei un(a) vero/a ungherese, vuoi difendere il tuo paese. Se sei orgoglioso/a di essere ungherese, questa idea nostalgica e tradizionale ti deve per forza di cose attrarre. Di conseguenza, sei a favore della famiglia tradizionale. E se difendi i valori tradizionali della famiglia, non puoi essere un(a) paladino/a dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere”.

La crescente attenzione dedicata al problema della diminuzione del tasso di natalità e ai valori tradizionali della famiglia non ha portato a una restrizione del diritto all’aborto. Tuttavia, il neo ministro delle Risorse umane, Miklós Kásler, ha scritto nel 2017 che le interruzioni di gravidanza a seguito della legalizzazione dell’aborto hanno causato “uno dei peggiori disastri demografici a livello nazionale. Se non fosse accaduto, l’etnia ungherese vanterebbe oggi più di 20 milioni di persone”.

Si tratta di un precedente pericoloso, e Ivett dichiara: “Non mi sorprenderebbe se in futuro iniziassimo a sentir parlare più spesso degli ‘svantaggi’ dell’aborto”.

“Mai avrei immaginato che avrebbero eliminato gli studi di genere; invece sta accadendo”, mi dice. Non voglio fare pronostici ma, onestamente, penso che potrebbero esserci novità perfino più preoccupanti”.

Per vedere in che modo l’espansione della democrazia illiberale e la valorizzazione della tradizione possano mettere in discussione il diritto all’aborto basta guardare a nord dell’Ungheria, più precisamente alla Polonia.

Donne in sciopero

Dal suo ufficio a Breslavia, nel 2016 Marta Lempart – insieme a un gruppo di donne – ha organizzato un evento su Facebook. L’iniziativa è consistita in uno sciopero a livello nazionale in risposta alla proposta, avanzata dal partito di governo Diritto e Giustizia, di bandire l’aborto nel caso di gravi malformazioni del feto tali da impedirne la sopravvivenza.

L’attuale quadro normativo criminalizza l’aborto a meno che la gravidanza non sia il risultato di uno stupro o di un incesto, in caso di gravi malformazioni del feto tali da impedirne la sopravvivenza, o qualora la vita della madre risulti in pericolo. Ogni anno vengono praticati in media 100.000 aborti clandestini nel paese.

“Non avevamo mai partecipato al movimento femminista”, mi dice Marta durante una chiamata su Skype. “Eravamo persone normali. Ma quando il governo ha proposto di inasprire la normativa sull’aborto, molte donne hanno iniziato a pensare a cosa sarebbe potuto succedere. Sono state costrette a richiamare alla memoria gli episodi più atroci di cui avevano sentito parlare o che avevano vissuto in prima persona. A quel punto, si sono rese conto che tali episodi si sarebbero ripetuti regolarmente se la proposta di legge fosse stata approvata”.

Decine di migliaia di donne sono scese in strada per protestare contro la proposta del governo. Tuttavia, la minaccia ai diritti riproduttivi delle donne non è ancora cessata.

Lo scorso anno, il governo polacco ha vietato la vendita della pillola del giorno dopo senza ricetta medica. Tale divieto molto probabilmente avrà un impatto negativo sulle donne in stato di vulnerabilità, come ad esempio le vittime di stupro, e sulle donne che vivono nelle aree rurali. Marta ritiene che, “se vivi in una piccola comunità, non riuscirai mai ad averla in tempo. Non è del tutto vietata, ma non riesci a procurartela”.

Similmente a quanto avviene in Romania con l’influenza che la chiesa ortodossa esercita sull’accesso delle donne ai diritti riproduttivi, le minacce alle libertà delle donne sono chiaramente collegate all’influenza che la chiesa cattolica esercita nel paese. Sebbene la chiesa abbia offerto protezione sotto il regime comunista (responsabile dell’adozione di politiche repressive), Marta fornisce una valutazione impietosa del comportamento della stessa nei confronti delle donne.

“Innanzitutto odiano le donne”, mi dice. “Siamo il loro primo obiettivo. Poi vengono le persone di orientamento omosessuale e la popolazione immigrata. Ma le donne rappresentano il gruppo più odiato”.

“La chiesa cattolica è estremamente influente in Polonia”, mi spiega al telefono la giornalista polacca Ada Petriczko. “Ad esempio, una delle presenze più influenti nei media – Padre Tadeusz Rydzyk – gestisce un’emittente televisiva e radiofonica privata, attraverso la quale influenza l’opinione pubblica. Un gran numero di esponenti del mondo della politica lo rispettano e quasi lo temono”.

Allo stesso tempo, il partito di governo, Diritto e Giustizia, ha messo le mani sulla televisione di stato a seguito delle elezioni del 2015. La televisione viene sempre di più utilizzata dalle forze di orientamento religioso e dalla destra come uno strumento di propaganda; uno strumento che promuove un’agenda populista che prende di mira i diritti delle donne e più in generale i diritti umani.

Una mera pedina politica

L’aborto è un tema caldo in Polonia, e le minacce che incombono sui diritti riproduttivi delle donne sono inquietanti e concrete. Tuttavia, il governo viene anche accusato di utilizzare l’aborto allo scopo di distogliere l’attenzione dall’espansione della democrazia illiberale in Polonia, dando vita a un contesto in cui il corpo delle donne viene trattato come una semplice pedina nel quadro di uno sgradevole gioco politico.

“Da un lato, il governo sta provando a imporsi sulle donne e sui loro diritti”, mi spiega Ada. “Dall’altro, sfrutta gli attacchi contro l’aborto per tenere buona la chiesa, accontentare l’elettorato di destra e distogliere l’attenzione quando accade qualcosa di rilevante dal punto di vista politico o economico”.

Ad esempio, quando il governo polacco si è dissociato precipitosamente dal controverso progetto di legge sull’Olocausto, il quale mirava a punire concretamente chiunque criticasse lo stato al riguardo, ha tentato di mascherare la sconfitta diplomatica riprendendo il dibattito sul divieto di aborto. Ada, che allora collaborava con News Mavens, ha affermato: “Il cinismo con cui il governo utilizza i diritti delle donne a mo’ di copertura per nascondere altri problemi dimostra quanto ci disprezza”.

La giustizia è sotto attacco

Gli attacchi antidemocratici perpetrati dal partito Diritto e Giustizia hanno ricadute anche sull’accesso delle donne alla giustizia. Il nuovo progetto di legge sulla Corte Suprema modifica il modo in cui vengono effettuate le nomine per i seggi della più alta istanza giurisdizionale nazionale, ed è oggetto di critica in quanto violerebbe l’indipendenza della magistratura. Tali emendamenti conferiscono al partito di governo più voce in capitolo relativamente ai tribunali, nonché maggiore controllo sulla magistratura.

“Non posso più dire con certezza che siamo una democrazia”, afferma Ada.

I cambiamenti introdotti relativamente al sistema giudiziario hanno un impatto diretto sull’accesso delle donne alla giustizia, soprattutto nel caso dei diritti riproduttivi. Ada teme che, qualora si instaurasse un procedimento giudiziale relativamente alla morte di una donna a seguito di un aborto negato, la magistratura – sostenuta dal governo – finirebbe per respingere le istanze avanzate dalla famiglia della donna. Parimenti, gli alti tassi di abuso domestico unitamente alla valorizzazione dei modelli tradizionali della famiglia potrebbero rendere più difficoltoso per le donne ottenere giustizia dopo essere state vittime di violenza tra partner.

Le due facce della tradizione in Polonia

Come già avvenuto in Ungheria e Romania, l’opposizione ai diritti delle donne è legata alla priorità data ai valori tradizionali della famiglia. “Si ritorna”, ci dice Ada, “all’idea secondo la quale i capisaldi della civiltà polacca sarebbero la chiesa cattolica e la famiglia”.

Tuttavia, la Polonia vanta anche un altro tipo di tradizione, ovvero uno spirito di ribellione, rivoluzione e resistenza.

“La popolazione polacca ama la libertà”, mi dice Ada ridendo. “Abbiamo una lunga storia di insurrezioni. Protestare ci riesce molto bene”.

Se si guarda alle migliaia di donne che hanno scioperato nel 2016 e nel 2018, nonché alla strenua opposizione nei confronti degli attacchi perpetrati dal governo ai danni della democrazia, emerge come i recenti cambiamenti abbiano galvanizzato la popolazione polacca incoraggiandola a protestare per la libertà e per i diritti umani.

“Prima del 2016 sapevo che era difficile avere accesso all’aborto e che le donne vi ricorrevano clandestinamente”, mi dice Marta Lempart. “Chiunque lo sapeva ma tale aspetto non sempre veniva percepito come qualcosa di strano. Le azioni del governo hanno spinto le persone a prendere atto del perché questa situazione è sbagliata, e ad agire di conseguenza”.

Marta ritiene inoltre che l’approccio adottato dal governo relativamente ai diritti riproduttivi abbia incoraggiato un numero maggiore di donne a candidarsi alle elezioni locali. Lei stessa si è candidata e aspira a diventare sindaca della propria città.

“È un po’ come negli USA”, afferma Marta, riferendosi all’aumento del numero di donne che si sono candidate per ottenere un seggio al Congresso dopo la vittoria di Trump. “È stato sempre difficile incoraggiare le donne a candidarsi. Ma se la situazione è così negativa, siamo obbligate a scendere in campo.”

Cosa avverrà in Polonia e nel resto d'Europa

La Polonia, la Romania e l’Ungheria stanno ora assistendo all’affermazione di governi di destra populisti e illiberali che enfatizzano i valori tradizionali della famiglia e mettono in discussione i diritti delle donne. Nel momento in cui vengono introdotti criteri più stringenti per l’accesso da parte delle donne alla contraccezione, all’educazione sessuale e all’assistenza sanitaria riproduttiva, vengono eliminati gli studi di genere e la cosiddetta ideologia di genere viene liquidata come “una minaccia peggiore del comunismo e del nazismo messi insieme”, il corpo delle donne diviene la linea del fronte nella battaglia che vede scontrarsi, da un lato, i valori liberali e, dall’altro, il populismo di destra.

“In Polonia il problema della rinascita del nazismo e del fascismo è sempre più grande”, mi dice Marta. “E i gruppi neo-nazisti adottano un approccio maschilista che si oppone ai diritti delle donne e le considera piuttosto come oggetti”.

Tuttavia, l’espansione della democrazia illiberale non riguarda solo queste tre nazioni. Né il resto dell’Europa dovrebbe adagiarsi sugli allori quando si parla della rinascita dell’estrema destra e degli attacchi da essa perpetrati contro le donne. Il movimento neofascista sta acquisendo sempre più popolarità nel Regno Unito, in Austria, in Germania, in Italia e anche in altri paesi.

“È del tutto possibile che quanto avvenuto in Polonia con l’affermazione dell’estrema destra populista si verificherà anche nel resto d’Europa”, mi avverte Marta. “Con le prossime elezioni europee la stessa cosa può accadere in riferimento al parlamento europeo, la stessa cosa può accadere in tutta Europa, con la distruzione delle istituzioni e con un numero sempre maggiore di attacchi perpetrati ai danni dei diritti umani e dei diritti delle donne”.

Marta respira profondamente. “Le persone mi guardano quando dico questo e pensano di essere al sicuro. Ma nessun paese lo è.”

Questo articolo è comparso per la prima volta il 14 settembre 2018 su NewsMavens

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