"Le donne non vogliono essere protette, vogliono sviluppare il loro potenziale senza costrizioni". Nel volume La voce della giustizia (Il Mulino, 2023), un gruppo di autorevoli studiose racconta la storia di Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte suprema degli Stati Uniti a cui si deve molto in termini di parità e diritti
Pubblicato ad aprile dalla casa editrice il Mulino, La voce della giustizia, volume curato dalle giuriste italiane Tania Groppi e Irene Spigno, e dal magistrato messicano Luis Efrén Ríos Vega, è un omaggio corale da parte di un gruppo di autorevoli studiose alla storia personale e professionale di Ruth Bader Ginsburg, giurista e magistrata americana, tra le sei donne a essere nominate giudici della Corte suprema nella storia degli Stati Uniti.[1]
Come ha ricordato anche Marta Cartabia in un'intervista rilasciata poco dopo la morte di Ginsburg, nel 2020, Ruth Bader Ginsburg ha colmato le distanze tra cittadinanza e istituzioni, interpretando un'ideale di giustizia costituzionale che diventa esperienza universale, movimento per le generazioni future, figura a cui ispirarsi.
Il volume rende conto della "lotta attraverso il diritto" per l'uguaglianza di genere e della tutela delle minoranze portata avanti negli anni da Ginsburg e consegna tutte le diramazioni di una "vita attiva" inesauribile: dagli esordi in un mondo accademico ancora esclusivamente maschile, all'impegno nell'avvocatura e nell'associazionismo, fino al ruolo di giudice della Corte suprema.
Con la sua "voce", espressione di un vissuto tanto personale quanto collettivo, e la sua straordinaria abilità interpretativa, Ruth Bader Ginsburg è stata infatti capace di indirizzare il sistema statunitense verso un'effettiva parità dei diritti delle donne e delle minoranze, facendosi promotrice di una nuova comprensione della legge, accrescendone la funzione di garanzia, e liberando così la Costituzione americana dai limiti delle letture formalistiche, testuali e originalistiche – basate, cioè su un'interpretazione letterale del testo originale. Questo cambio di passo è documentato dal dialogo costante con il giudice Antonin Scalia, che è stato uno dei massimi esponenti dell'originalismo giuridico.[2]
In cinque capitoli La voce della giustizia ripercorre gli scrutini di Bader Ginsburg in materia di diritto all'aborto, discriminazione sessuale e razziale, diritti sessuali e riproduttivi, discriminazioni per motivi di genere e orientamento sessuale, diritto di cittadinanza e all'educazione, esaminando alcuni dei casi giudiziari più importanti affrontati dalla giudice durante il suo mandato, che hanno aperto il cammino a nuove istanze sociali.
Bader Ginsburg, suggerisce il volume, si è resa artefice e protagonista del costituzionalismo americano contemporaneo, senza tuttavia confinarlo mai alla sola dimensione giuridica: la Costituzione, spesso percepita come qualcosa di lontano e astratto, diventa, anzi, strumento della comunità per ricomporre l'ordinamento sociale ancora diviso in ruoli predefiniti, gravato da retaggi culturali, lacerato dal razzismo.
Il racconto della vita di Ruth Bader Ginsburg, così come le sentenze e le opinioni scritte, contribuisce, nell’impianto del volume, a introdurre le lettrici e i lettori al diritto costituzionale americano, al funzionamento della Corte Suprema e all’uso sapiente e raffinatissimo che una delle più grandi giuriste del nostro tempo fa del metodo e dell’interpretazione per consentire l’affermazione di diritti prima negati alle donne e alle minoranze.
È un racconto, questo, che ha anche il grande pregio di rintracciare connessioni e contaminazioni tra sistemi, valorizzando la circolazione di modelli, sulla scorta dell’esperienza della stessa Bader Ginsburg, in particolare del suo lungo periodo di studi presso l’Università di Lund in Svezia.
L’influenza della sua formazione traspare nella attività svolta durante tutto il suo mandato di giudice, in cui il diritto comparato diventa strumento di interpretazione costituzionale, favorendo una rinnovata comprensione di una Costituzione che manca, a differenza di quanto prescritto dalla nostra Carta fondamentale e dall'Unione europea, di una specifica clausola costituzionale a tutela dell’uguaglianza di genere.
La via giurisprudenziale percorsa da Ginsburg, pur con il rischio di overruling a cui sono sottoposte le decisioni giudiziarie, diviene pertanto determinante per l’affermazione di un principio che, attraverso gli scrutini in materia di discriminazioni di genere, assume una sua specifica connotazione.
La parità di genere professata da Ruth Bader Ginsburg è volta a disconoscere quei trattamenti differenziati giustificati da una presunta condizione di svantaggio subita dalle donne, discostandosi in qualche modo dal modello affermatosi in Europa volto a proteggere le donne, con risultati non sempre coerenti con le intenzioni – pensiamo, per esempio, ai dati sull'occupazione femminile e alla presenza delle donne nelle istituzioni: "le donne non vogliono essere protette" scriveva Ruth Bader Ginsburg "ma vogliono sviluppare il loro potenziale senza vincoli artificiali e classificazioni che rinforzino la tradizionale distinzione maschile-femminile".
La raffinata tecnica della giudice americana descritta nel libro rovescia la prospettiva: l'obiettivo di correggere, attraverso il diritto, le disuguaglianze, definendo un trattamento diverso per le donne, produce, in qualche modo, l'effetto di reiterare consuetudini culturali e sociali, spesso avvertite come tali dalle stesse donne. Il giudizio di Bader Ginsburg irrompe in questa dinamica relazionale, nella ripartizione di ruoli, nella presunta "generalizzazione del modo di essere delle donne", assunta a ordine sociale e giuridico.
Non è un caso, come segnalato all’inizio del volume, che una delle prime vittorie di Bader Ginsburg abbia riguardato una storia di discriminazione a rovescio, nei confronti degli uomini ai quali era negato l’accesso ad alcuni benefici per la cura dei minori sul presupposto che, a differenza delle donne, non avessero bisogno di un qualche sostegno, essendo percettori di un reddito (decisione Weinberger vs Wiesenfeld, 1975, p. 22 ss). La decisione della corte in questo caso scoperchia la convinzione su cui era stata edificata la norma di protezione fondata sulla convinzione comune che una madre non lavorasse e, dunque, non avesse un reddito per il suo mantenimento e quello della prole.
Allo stesso modo, la decisione che invalida la politica di ammissione per soli uomini del Virginia Military Institute rappresenta una delle tappe fondamentali del percorso argomentativo di Bader Ginsburg volto a disconoscere trattamenti differenziali basati su stereotipi di genere (Virginia Militar Inst. V. United States, 1993, p.295 ss).
Quelli appena citati sono solo alcuni dei casi esaminati nel libro secondo una ripartizione ordinata sulle questioni più importanti affrontate dalla giudice durante il suo mandato. Se non sempre Ruth Bader Ginsburg è riuscita far prevalere la sua ‘voce’ all’interno della Corte, attraverso lo strumento della dissenting opinion – estraneo al nostro ordinamento nel quale le decisioni della Corte costituzionale sono esclusivamente collegiali – il suo voto contrario, pubblico e motivato, ha consentito al suo pensiero di continuare ad avere un rilievo ‘esterno’ in grado di radicarsi nella cultura e nel senso comune, incidendo sulle politiche sociali americane.[3]
Si lascia a questo punto alle lettrici e ai lettori il privilegio di farsi guidare passo dopo passo nell’opera della giudice, attraverso gli scritti sapienti delle Autrici che riproducono gli esiti del progetto di ricerca dell’Osservatorio internazionale dei diritti umani, coordinato dall’Accademia interamericana dei diritti umani dell’Università autonoma di Coahiuila.
Note
[1] Alla stesura hanno contribuito, in ordine di trattazione: Ruth Rubio-Marin, Antonia Baraggia, Carla Bassu, Costanza Nardocci, Elena Bindi, Patrizia Vigni, Benedetta Liberali, Graziella Romeo, Valentina Rita Scotti, Silvia Romboli, Ilenia Ruggiu, Arianna Vedaschi, Marilisa D'Amico.
[2] Una particolare corrente interpretativa del diritto diffusa nella dottrina costituzionalistica nordamericana, che, al contrario delle esperienze europee, verte sull'assunto secondo cui l'interprete dovrebbe attenersi fedelmente alla lettera del testo originale della Costituzione.
[3] Nei sistemi di derivazione anglosassone, indica il rifiuto di uno o più giudici della Corte costituzionale di aderire a una deliberazione formulata dalla maggioranza dei suoi membri.