Politiche

Marisa Rodano, tra le donne che votarono per la prima volta nel 1946 in Italia, ci racconta cosa ha significato il diritto al voto per chi c'era e per quelle che sono venute dopo

Marisa Rodano,
ragazza del '46

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Foto: © Elena Consoli, per gentile concessione dell'autrice

Settant'anni dal voto alle donne, una conquista che ha significato molto per quelle che c'erano e per chi è venuta dopo. Ne abbiamo parlato con Marisa Rodano, un pezzo di storia vivente del nostro paese. Nata a Roma nel 1921, dopo aver partecipato alla resistenza italiana è stata politica, deputata, senatrice e parlamentare europea. Tra le fondatrici dell'Udi (Unione donne italiane, oggi Unione donne in Italia), è tra le donne che votarono per prime nel 1946. 

Marisa, il tuo percorso politico porta tutti i segni del cambiamento che hai contribuito a innescare. Che tipo di lavoro è stato necessario per arrivare al punto in cui le donne potessero votare ed essere elette. C’è stato un comitato delle donne, le donne hanno avuto un ruolo cruciale nella resistenza… raccontaci.

Sai, la storia è lunga. La battaglia delle donne italiane per il diritto di voto era cominciata già nel secolo precedente. Nel 1912 c’era stato un appello al parlamento firmato anche da Maria Montessori che chiedeva il voto per le donne. L’appello non ricevette una risposta. Sempre in quell’anno un gruppo di donne di Montemarciano in provincia di Ancona provarono a iscriversi nelle liste elettorali, e la loro richiesta inizialmente accolta fu poi cancellata da una sentenza della cassazione. Questi sono i precedenti. Poi dalla fine del 1944, dopo la liberazione di Roma, si costituì un comitato formato dai movimenti femminili dei partiti del comitato di liberazione nazionale - quindi comuniste, socialiste, democristiane, liberali, democratiche del lavoro, più delle donne repubblicane insieme a due associazioni, la Fildis, federazione italiana diplomate degli istituti superiori, e all’alleanza per il suffragio. Dopo aver raccolto le firme in una petizione, il comitato si rivolse al comitato di liberazione nazionale per chiedere che venisse stabilita la possibilità per le donne di votare già nel 1946. Dopo varie discussioni alla fine il governo invitò le donne con una circolare a iscriversi alle liste elettorali, erano vent’anni che non votava nessuno, e così le donne poterono votare alle amministrative nella primavera del '46 e poi al referendum di giugno sulla monarchia e per l’elezione dell’assemblea costituente.

Infatti, la prima occasione di voto per le donne fu il 10 marzo 1946, con le elezioni amministrative per la ricostituzione dei comuni, dove l’affluenza femminile sfiorò il 90% e circa 2mila donne conquistarono un seggio nei consigli comunali...

Sì, tra l’altro in quell’occasione furono elette parecchie sindache dai rispettivi consigli comunali, perché allora non c’era l’elezione diretta dei sindaci…

Per ovvi motivi, però, nella memoria collettiva il giorno del primo voto per le donne resta quello del referendum del 2 giugno. Cosa ricordi tu di quel giorno, quali erano gli stati d’animo, l’affluenza, insomma, è una domanda che ti sarai sentita fare centinaia di volte, ma che memoria ne conservi?

L’affluenza fu notevole, votò l’80% degli aventi diritto, una percentuale alta. Io ricordo lunghe code davanti ai seggi, donne preoccupate di sbagliare, perché era la prima volta che andavano a votare, altre che invece erano più consapevoli e che dicevano “è importante perché con il mio voto cambierò le cose”. Insomma gli stati d’animo erano vari.

A guardarla da qui cosa ha significato questa tappa in termini di cittadinanza per le donne, e cosa ha determinato in termini di parità.

È stata una tappa decisiva, se non avessimo avuto tredici donne elette nell’assemblea costituente, io non credo che un’assemblea di soli uomini avrebbe inserito nella costituzione quei principi che riguardano la parità, la parità di salario, il diritto di famiglia, la tutela della maternità, che invece sono stati poi alla base di lunghe lotte affinché fossero tradotti in leggi che spazzassero via la legislazione fascista e che hanno poi cambiato sostanzialmente la condizione delle donne nel nostro paese. Io penso che il fatto che le donne nel '46 abbiano votato, che ci siano state donne elette alla costituente, che ci siano state norme nella costituzione, che poi in tutti questi anni ci siano state battaglie delle donne per la trasformazione in leggi di questi principi, o per l’applicazione di queste leggi, abbia profondamente cambiato la condizione delle donne. La condizione delle donne oggi è imparagonabile con quella delle donne di allora, quando le donne erano fuori dal mercato del lavoro e nel mezzogiorno c’era il più alto tasso di donne analfabete. Oggi le donne lavorano, sono istruite e acculturate, le ragazze si laureano prima e meglio dei ragazzi.

È così, ed è importante ricordarcene invece di ragionare come se tutto fosse sempre stato come lo viviamo adesso. È anche vero però, e gli ultimi dati lo confermano, che donne e uomini sono sempre più uniti nell’infelice destino della precarietà, e che il nostro è ancora il paese in cui le donne sono tenute il più possibile fuori dai percorsi di carriera e lontane dalle cariche decisionali e strategiche, spesso anche in politica. Cosa manca ancora secondo te perché alle donne sia riconosciuta una cittadinanza piena?

Il problema è che ci sono le leggi ma non sono applicate. Per esempio, ci sono accordi interconfederali e legislativi per la parità di salario, però di fatto nella maggior parte dei casi a parità di mansioni e di qualifiche le donne hanno un salario inferiore a quello degli uomini. Ma pur di lavorare, accettano. C’è una legge che vieta di licenziare per motivi legati alla vita privata come il matrimonio o la gravidanza, eppure le dimissioni in bianco sono state una pratica costante per anni. Per non parlare del fatto che la maggioranza delle lavoratrici svolge lavori precari, che non consentono di programmare un futuro, un matrimonio, l’acquisto di una casa. Anche per le carriere c’è una legge che prevede che nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa le donne non devono essere meno del 30%, però poi non è applicata…

Quindi se dovessi rivolgerti alle nuove generazioni di donne, le sproneresti soprattutto a vigilare sulla piena applicazione delle leggi già esistenti?

In parte sì. In parte sulla base delle loro esigenze e dei loro desideri e prospettive, eventualmente a chiederne di nuove.

Ma secondo te è vero che le donne non votano le donne?

No, è una leggenda metropolitana. È chiaro che le donne cercano sulle liste le persone di cui hanno più fiducia. Se le donne candidate non riscuotono questa fiducia non dipende dal sesso. Tra l’altro con l’obbligo della doppia preferenza di genere questo problema viene anche aggirato.

Leggi lo speciale di inGenere per il settantesimo anniversario del voto alle donne

(Foto: © Elena Consoli, per gentile concessione dell'autrice)