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Nidi, migliora la copertura ma non cambiano le disuguaglianze. Perché l'investimento di 4,6 miliardi destinato dal governo alla prima infanzia funzioni davvero serve una migliore distribuzione e un accesso più equo

Nidi, 4,6 miliardi per
un paese a due velocità

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Foto: Unsplash/ Kristin Brown

Escono oggi i dati Istat aggiornati sugli asili nido, che pur mostrando un trend in miglioramento quanto alla copertura confermano un dato: abbiamo un’Italia a due velocità. Mentre al nord e al centro viene raggiunto l’obiettivo europeo dei 33 posti al nido ogni 100 bambini, il Sud è ancora decisamente indietro. Ci sono regioni con livelli di copertura superiore al 40%, come Valle D’Aosta e Umbria, e regioni con livelli di copertura scarsissimi, per esempio la Calabria e la Campania che sono sotto l’11 per cento.

È allora importante fare attenzione agli investimenti in arrivo. Su cinque miliardi in infrastrutture fisiche tra quelli previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per istruzione e ricerca, tre verranno investiti nella costruzione o ristrutturazione di servizi per la prima infanzia entro la fine dell’anno. Questo, a fronte di un programma di investimenti per la prima infanzia già avviato dal governo che ammonta a 4,6 miliardi complessivi, e di cui i primi 700 milioni sono già stati assegnati la scorsa estate, con l’obiettivo di creare 264.480 nuovi posti. 

Come sono stati assegnati i primi 700 milioni

In questa prima fase di spesa, gli interventi previsti erano di quattro tipi: asili nido (280 milioni), centri destinati a servizi per l’infanzia (140 milioni), centri polifunzionali per la famiglia (105 milioni) e scuole dell’infanzia (175 milioni). Si tratta di un piano di investimenti che serve alla costruzione, ristrutturazione e messa a norma di edifici pubblici.

L’elemento di novità sta nei centri “polifunzionali” che possono essere collocati in edifici scolastici abbandonati e riconvertiti grazie ai fondi erogati dal bando, e che vengono descritti come “progetti innovativi finalizzati all’attivazione di servizi integrativi che concorrano all’educazione delle bambine e dei bambini e che soddisfino i bisogni delle famiglie in modo flessibile e diversificato sotto il profilo strutturale e organizzativo”.

Tra i servizi previsti nei centri ci sono: sportelli per genitori con informazione sui servizi territoriali per l’infanzia, spazi per laboratori (arte, manipolazione, musica) e giochi simbolici (come per esempio giocare a cucinare), spazi di lettura e laboratori pratici. Questi centri destinati a servizi per bambini e famiglie sono stati quindi pensati per dare una risposta in termini di integrazione dell’offerta dei nidi e delle scuole per l’infanzia.

Infine, la prima fase di spesa aveva l’obiettivo di estendere l’offerta, ammodernando le strutture delle scuole per l'infanzia per integrare le cosiddette “classi primavera” ossia quelle composte da bambine e bambini nella fascia dei 2-3 anni.

In totale sono stati finanziati così 473 progetti a fronte dei 2655 presentati. È interessante notare come, pur essendo sensibilmente inferiori gli investimenti previsti per la scuola dell’infanzia, è proprio qui che si sono concentrate le domande che sono state più del doppio di quelle presentate dagli asili. Questo dato solleva dubbi sulla priorità che le amministrazioni locali attribuiscono ai servizi per la prima infanzia da una parte, e sulle condizioni in cui versano le scuole per l’infanzia dall’altra (tante le richieste di finanziamento per ristrutturare l’esistente).

Per la valutazione dei progetti e l’assegnazione dei fondi, nel bando era prevista una quota del 60% riservata alle aree depresse (aree geografiche caratterizzate da basso reddito), e un punteggio aggiuntivo era riservato alle zone sismiche, a rischio idrogeologico e per la mancanza di infrastrutture nella zona. È quindi in questo modo che è stata interpretata la priorità trasversale di “coesione territoriale” che il bando annunciava, più che come intervento rivolto specificamente al Sud.

C’è da dire che la maggioranza delle aree depresse sono al Sud, e infatti nel complesso il 54% dei fondi è stato assegnato alle regioni del mezzogiorno che, stando ai dati Istat, sono anche le regioni con la copertura di asili nido sotto la media nazionale, fatta eccezione per la Sardegna.

La Campania da sola si è aggiudicata circa il 20% del totale dei fondi, più del doppio rispetto alla Sicilia. La Campania ha portato a casa più progetti di tutte le altre regioni, ma ne ha anche presentati molti di più e il rapporto tra i fondi richiesti e quelli ottenuti è, a pari merito con l’Abruzzo, maggiore delle altre regioni del Sud. Questo esempio concreto ci dice molto su quanto le competenze tecniche saranno uno dei punti cruciali nella ripartizione dei fondi del Pnrr attraverso bandi: per mancanza di capacità amministrativa interi territori potrebbero rimanere parzialmente o totalmente scoperti.

Nel bando della prima fase di spesa, inoltre, era prevista una premialità importante per quanto riguarda il co-finanziamento da parte dell’ente locale. E questo potrebbe spiegare perché la Lombardia, pur non essendo sicuramente tra le regioni con un maggiore bisogno di servizi 0-6 anni, è invece la seconda regione per fondi assegnati. Le regioni con maggiore capacità amministrativa e/o con più soldi per cofinanziare i progetti ottengono quindi più risorse. 

Cosa manca per risolvere i divari

Nonostante i meccanismi istituzionali per canalizzare le risorse dove ce n’è più bisogno, possiamo sollevare dubbi sulla reale capacità di questo sistema di messa a bando di colmare effettivamente i divari territoriali. 

Uno dei nodi problematici rispetto ai nidi è che costruirli non basta, servono insegnanti, materiali, personale di supporto, mense. Serve, in poche parole, la spesa corrente che se non aumenta in maniera proporzionale alla costruzione dell’infrastruttura rischia di trasformare i nuovi nidi in scatole vuote.

È quindi positivo che la cabina di regia del Piano nazionale di ripresa e resilienza abbia annunciato che ci sono 900 milioni “in conto corrente per sostenere gli enti nella gestione”. Sarebbe interessante sapere tuttavia come funzionerà la gestione di questi 900 milioni, perché il rischio è che esaurito il fondo si esaurisca il servizio, così come è successo con i 670 milioni del fondo asilo del Governo Monti, come ricorda Laura Branca di Bologna Nidi

Perché l’investimento in nidi funzioni, bisogna che la spesa corrente segua e integri nel suo funzionamento ordinario e non straordinario i fondi per i nidi.

Sarà importante anche andare a vedere se questi 900 milioni saranno indirizzati verso la spesa corrente pubblica o per sovvenzionare la gestione dei servizi da parte di privati, se verranno erogati ai comuni o si trasformeranno in voucher.

Investire in nidi significa investire sull’infanzia e sulle madri

Se la “messa a terra” dei fondi era una delle preoccupazioni legate al Pnrr, ora possiamo dire che i fondi ci sono, l’attribuzione sarà veloce e verranno destinati in maniera proporzionale alle aree depresse con una ricaduta al Sud significativa.

Allo stesso tempo, questo non garantisce automaticamente una risoluzione delle disparità regionali, che continueranno a dipendere dalla capacità amministrativa e dal potere economico degli enti che partecipano.

Inoltre, particolare attenzione andrà prestata a come verranno utilizzati i 900 milioni per la spesa corrente per verificare che l’obiettivo dichiarato dei 264.480 nuovi posti in asili nido previsti dal ‘piano nidi’ venga non solo raggiunto ma anche mantenuto nel tempo, e che l’offerta sia di qualità.

Aumentare la copertura degli asili nido e investire in servizi per la fascia 0-6 anni è stata una delle cose chieste a gran voce dalle associazioni di donne e dalle esperte durante la negoziazione del Piano di ripresa e resilienza. 

Nelle prime bozze c’erano solo due miliardi per gli asili. Di bozza in bozza la cifra è aumentata e  gli asili sono rientrati sotto la competenza del Ministero dell’istruzione e la ricerca. Può sembrare un passaggio di poco conto ma non lo è: i nidi rappresentano parte integrante del percorso educativo dei bambini e in seconda battuta un servizio fondamentale per le famiglie. 

Non solo sappiamo infatti che la scolarizzazione precoce favorisce l’inclusione sociale, contrasta la povertà infantile e, sul lungo periodo, produce risultati scolastici migliori e minore dispersione scolastica - tanto che in alcuni paesi si sta anticipando l’età dell’obbligo scolastico, come in Francia, dove dal 2018 è stata fissata a 3 anni; ma investire in nidi significa anche investire in quelle che chiamiamo “infrastrutture sociali”, vale a dire quei servizi che ci permettono di soddisfare interessi e bisogni collettivi. Liberare il tempo delle donne dalle cure familiari è il primo passo per sostenere l’occupazione femminile. 

In un paese con congedi di paternità scarsi, in cui una donna su quattro perde il lavoro con la nascita di un figlio, dove permane una cultura patriarcale che ancora vede le madri come le principali responsabili della cura, i servizi per la prima infanzia diventano un tassello fondamentale nel difficile equilibrio tra famiglia e lavoro. 

Inoltre, sappiamo, e i dati appena pubblicati dall’Istat lo confermano, che quello tra Nord e Sud non è l’unico divario. Nelle città c’è più copertura che nelle aree interne, e hanno più possibilità di frequentare il nido i figli dei laureati e i nati nelle famiglie a doppio reddito.

Se vogliamo che l’investimento funzioni per i bambini e per le madri, allora, ciò di cui abbiamo davvero bisogno è di avere non solo più nidi, ma anche meglio distribuiti sul territorio e possibilmente gratuiti

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