Politiche

Fanno il bagnetto ai figli, ma non puliscono il bagno. In Italia aumentano i padri presenti, ma i mariti che si occupano del lavoro di cura sono ancora pochi

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foto Flickr/dadblunders
Se per molte donne in Italia conciliare maternità e lavoro è velocemente e necessariamente diventata una routine, anche alcuni uomini hanno attivamente iniziato ad occuparsi dei loro figli, e non solo come percettori principali del reddito familiare. 
I dati recenti di varie indagini Istat (quelle sull’uso del tempo e quelle sulle famiglie e i soggetti sociali) ci raccontano di un’Italia dove i padri che spingono la carrozzina o i mariti/compagni che cucinano e puliscono la casa non sono però così frequenti. Le donne – con il 76% del lavoro familiare a proprio carico (dai dati sull’uso del tempo del 2008/9) - restano “le regine della casa” e quelle che, tra i genitori, di più si occupano dei figli.
 
L’Italia è un paese sia strutturalmente che culturalmente ostile ai “nuovi padri”? Se da una parte questi non trovano neanche un linguaggio per autodefinirsi, fatta eccezione per il termine di “mammo”, che suona quasi dispregiativo, dall’altra si trovano ad affrontare vincoli e condizioni non facilitanti: orari di lavoro fra i più lunghi d’Europa, soprattutto nel settore privato, che costituiscono un plausibile disincentivo alla partecipazione maschile nella cura, e un welfare familistico (basato su precisi modelli di solidarietà, di genere e di generazione) che ha tradizionalmente taciuto, se non esplicitamente scoraggiato, istanze di parità. 
 
E allora, come sintetizzato felicemente da Esping-Andersen in un suo libro del 2009, nei paesi Mediterranei la rivoluzione di genere viene definita “incompleta”, non solo perché si è “fermata sulla soglia di casa”, con condivisioni del lavoro familiare fra partner ancora basse, specie in Italia (Cappadozzi e Spizzichino, 2010), ma anche perché si è diffusa in modo selettivo, soprattutto nelle coppie più istruite e più “forti” sul mercato del lavoro (Mencarini e Tanturri, 2004). Inoltre, i (pochi) cambiamenti hanno riguardato più il lavoro di cura della prole che quello domestico, che rimane ancora fortemente femminile. 
 
 
Una fotografia dei nuovi padri e dei nuovi mariti 
 
In altre parole, in Italia è aumentata di più la percentuale di coloro che potremmo definire come “i padri coinvolti” che quella dei cosiddetti “mariti egalitari” (si veda anche Mencarini e Tanturri 2009). Ma quanti sono e chi sono questi padri particolarmente presenti nella cura dei figli? Sono mariti altrettanto partecipi nel lavoro domestico? Rimane la curiosità di capire cosa determina la loro partecipazione al lavoro familiare, se pesano di più le preferenze o le risorse/vincoli, loro e delle loro mogli-compagne.
 
Dai dati riportati nel grafico 1 emerge che solo il 17% dei padri con almeno un figlio sotto i 3 anni svolge con frequenza quotidiana compiti di cura routinari, quali dare da mangiare al figlio, metterlo a letto, vestirlo, fargli il bagno e cambiargli il pannolino. E se solo nell’11% delle coppie la donna svolge meno del 60% del carico di lavoro complessivo per la famiglia (faccende di casa, fare la spesa, curare gli altri componenti), nel 64% delle coppie la donna svolge più dell’80% di questo carico di lavoro. 
 
Sono dunque meno i mariti egalitari che i padri molto presenti, e un’esigua minoranza coloro che appartengono a entrambi i gruppi (4%). Ciò suggerisce che a cambiare siano stati i modelli di paternità e le convinzioni su cosa costituisca il bene del bambino (per esempio, avere anche un padre a fianco che se ne prenda cura), più che i modelli di genere. A riprova di questo, mentre i mariti egalitari appartengono più frequentemente a coppie in cui almeno uno dei partner è laureato (32%) rispetto a mariti partecipi (22%) o tradizionali (15%), i vari gradi di coinvolgimento paterno nella cura dei figli piccoli non sembrano dipendere dal livello di istruzione della coppia. 
 
 
 
Chi si somiglia si piglia e sta meglio?
 
Come evidente nel grafico 2 e come tipico di tutti i fenomeni scarsamente diffusi, i pochi padri e mariti “innovativi” presentano profili piuttosto precisi: appartengono più frequentemente a coppie a doppio reddito; hanno condizioni lavorative simili alle loro mogli-compagne in termini di tempo, in termini di classe occupazionale e di settore; risiedono al Centro-Nord Italia; infine, appartengono a coppie in cui almeno uno dei due non ha atteggiamenti tradizionali relativamente hai ruoli di genere.  
 
Tuttavia, una volta che si guardano gli effetti di tali caratteristiche della coppia sulla divisione del lavoro domestico e di cura, emerge un quadro più complesso: mentre gli indicatori di tempo disponibile, di condizioni di lavoro family-friendly (come lavorare nel settore pubblico) e differenze nella classe occupazionale tra lei e lui (proxy, seppure grezza, di differenze di reddito) contano sia nella probabilità di essere un padre coinvolto che un marito egalitario, gli orientamenti verso i ruoli di genere (quanto sei d’accordo con le seguenti affermazioni: “essere casalinga consente alla donna di realizzarsi quanto un lavoro retribuito” e “se i genitori si separano/divorziano è meglio che il figlio stia con la madre”) paiono influenzare solo la probabilità di essere padri coinvolti  e solo nelle coppie dove entrambi sono tradizionali: ceteris paribus, queste sono coppie in cui è meno probabile che l’uomo sia un padre coinvolto. Nelle altre coppie, quelle in cui lei e lui hanno atteggiamenti discordanti o quelle in cui entrambi sono a favore di ruoli di genere non tradizionali, il grado di coinvolgimento del padre pare essere più legato a dimensioni strutturali e istituzionali, quali la posizione o il settore in cui entrambi lavorano (si vedano le analisi riportate in Fuochi et al 2014). 
 
 
Se si guarda ai profili di coppia, emerge dunque in modo chiaro il potere dell’omogamia: simili condizioni di lavoro, simile quantità di tempo speso per il lavoro, simili visioni sui ruoli di genere favoriscono l’uguaglianza nella divisione dei compiti domestici e di cura, anche se con qualche differenza tra i due ordini di compiti. Le ragioni possono essere essenzialmente due. La prima, più ovvia, è che quando la moglie e madre ha più tempo libero del marito, o svolge un lavoro meno retribuito e meno prestigioso, tende ad occuparsi di più della casa e dei figli, come se il suo potere di negoziazione nei confronti del partner fosse troppo debole. La seconda interpretazione si rifà all’omogamia ex ante: quando a scegliersi come partner in progetti di lungo periodo sono persone simili per atteggiamenti e per posizioni occupazionali, tali similitudini ex ante consentono ex post di avere meno conflitti di visioni e meno asimmetrie nelle risorse e condizioni lavorative, incentivando più equità anche all’interno della famiglia. 
 
 
Per approfondire
 
Cappadozzi, T., Spizzichino, D. (2010). La divisione dei ruoli nelle coppie. Anno 2008-2009. Statistiche in breve, Famiglia e Società, Istituto Nazionale di Statistica.
 
Esping-Andersen, G. (2009) Incomplete Revolution: Adapting Welfare States to Women's New Roles. Cambridge, Polity Press.
 
Fuochi, G., Mencarini, L., Solera, C. (2014). I padri coinvolti e i mariti egalitari: per scelta o per vincoli? Uno sguardo alle coppie italiane con figli piccoli. AG About Gender - Rivista Internazionale Di Studi Di Genere, 3(6), 54-86.
 
Mencarini, L., Tanturri, M.L. (2004), Time use, family role-set and childbearing among Italian working women. Genus, LX(1), 111-137.
 
Mencarini, L., Tanturri, M.L. (2009). Fathers’ involvement in daily childcare activities in Italy: does a work-family reconciliation issue exist? ChilD Working Paper 22/2009.
 
 
* Articolo pubblicato anche su neodemos.info