Il "posto dei bambini" concesso o negato nei decreti e nel dibattito pubblico degli ultimi giorni ci rivela i margini di una cultura della famiglia ancora troppo focalizzata sulla morale e sull'emergenza. Per capire l'infanzia serve uno sguardo nuovo

Solo pochi mesi fa in Italia ha generato scalpore la notizia di un cartello affisso alla porta di un locale pubblico che faceva esplicito divieto di ingresso a "bambini maleducati" [1]. L’episodio, tutt’altro che eccezionale e inquadrabile in una più generale tendenza internazionale a creare no kids zone, aveva acceso un dibattito polarizzato tra chi stigmatizzava il fatto, indignandosi per il suo profilo discriminatorio, e chi lodava il proprietario per il suo coraggio, biasimando al contempo i genitori italiani, incapaci di educare i propri figli e "colpevoli" di aver cresciuto delle "piccoli pesti". In sintesi, il fenomeno era stato trattato alla stregua di un fatto di costume, di buona e cattiva educazione, con qualche immancabile intervento giuridico che cercava di valutare la liceità di tale rifiuto.
Ciò che colpiva allora, e colpisce oggi dei decreti e del dibattito in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid19, è la trattazione binomica dell’infanzia nella sfera pubblica unicamente come questione morale o emergenziale. Da un lato, assume cioè il tono moralistico che dipinge i bambini come "vulnerabili" o "ingovernabili" – e, specularmente, i genitori come soggetti "inadeguati" o irresponsabili –, e, dall’altro, quello emergenziale di cui è destinataria l’infanzia ogni qual volta la sua gestione fuoriesce dalla sfera privata.
Paradossalmente, a queste narrazioni emozionali che come fiumi carsici riappaiono ciclicamente in superficie, fa da contraltare un’attenzione residuale e discontinua ai bambini nella nostra vita ordinaria.
La loro assenza nei decreti, chiarita solo tardivamente nella circolare del 31 marzo 2020 ma nuovamente oggetto di contestazione sia politica sia dell’opinione pubblica e di imbarazzanti precisazioni su quanto minore debba essere un minore per essere considerato tale, non ha invero nulla di anomalo, bensì è lo specchio dell'ordinaria assenza dei bambini dall'agenda politica e dal discorso pubblico.[2] Essa rivela una questione molto più complessa di una semplice mancanza di riferimento all’ora d’aria, ma è espressione e sintomo dell’ambiguo riconoscimento dell’infanzia nella nostra società. Al di là delle retoriche sull’importanza sociale dei bambini, un figlio è infatti ancora una questione privata, un carico o un lusso della famiglia di appartenenza. Se da un lato i bambini sono trattati come soggetti affettivi dal valore inestimabile, e non più come meri soggetti produttivi all’interno dell’economia familiare, dall’altro, non appena prendono corpo e si fanno spazio nella società, la loro presenza non è più oggetto di un’accettazione incondizionata. La crescente regolamentazione di un uso autonomo dello spazio pubblico da parte dei bambini è d’altronde già riscontrabile in regime d’ordinarietà attraverso l’aumento di limiti e divieti di gioco con la palla, dalle piazze ai cortili condominiali, o alla luce della stessa carenza di spazi per i bambini in città che non siano dei recinti per il gioco.
Cosa c’è dunque di emergenziale in tutto questo? Quanto ordinaria e cronica è la loro assenza in un paese come l’Italia ancora fortemente permeato a livello culturale, politico ed economico dei valori della famiglia tradizionale ma allo stesso tempo con uno dei più bassi tassi di fertilità in Europa? In Italia, per via di un’impostazione ancora familistica del welfare, lo Stato continua a fare affidamento sulle famiglie (pur diverse per risorse economiche e sociali) per la cura, per la protezione sociale dei figli e per la promozione delle loro pari opportunità. Non deve quindi stupire che sia nell’alveo familiare a ricadere e a essere gestita anche l’emergenza sanitaria per i bambini e le bambine, con conseguenti differenze di opportunità e limiti a seconda delle condizioni socioeconomico-culturali e abitative della famiglia a cui “appartengono”. Anche in questo caso, però, non appena la specificità della condizione infantile è stata sollevata,[3] diventando quindi una questione pubblica e non più un affare privato, il tema è divenuto immediatamente emergenziale – "subiranno dei traumi" –, morale – "genitori, passate più tempo a giocare con loro in casa" – o, nuovamente, ricacciato indietro come questione di second’ordine, "possono aspettare ancora qualche settimana".
Il “posto dei bambini” concesso o negato ci racconta pertanto molto di più di una questione solamente spaziale ma ci rivela i margini di inclusione, e esclusione, dei bambini nella sfera pubblica. Lo spazio che gli viene negato – oggi come pochi giorni prima dell’emergenza Covid19 – non è altro che la rappresentazione in termini spaziali di una visione del bambino e delle modalità in cui una società regola i rapporti tra le generazioni. È simbolo delle relazioni intergenerazionali ma allo stesso modo condizione di queste relazioni. Ci racconta in sintesi di quanto, indipendentemente dalle dichiarazioni sul valore affettivo dei bambini, poco investiamo sul loro valore sociale, come dimostrano anche i preoccupanti dati sulla crescita della povertà minorile in Italia, che è economica e educativa al tempo stesso.
L’ora d’aria e i duecento metri in più non saranno quindi una conquista se non saranno accompagnati culturalmente e politicamente da un cambio radicale di sguardo sull’infanzia. Uno sguardo critico non tanto sui bambini ma sulle certezze sedimentate che gli adulti hanno sull’infanzia e che impediscono di vedere i bambini per quello che sono già ora con i loro bisogni, certo, ma anche con le loro capacità, i loro talenti e le loro aspirazioni. Solo cominciando a valorizzarli sin dal loro presente, sarà possibile costruire su altre basi la relazione adulti-bambini nella società che uscirà da questa emergenza.
Riferimenti
Cook, D.T. (2017), Childhood as a moral project, in Childhood, vol. 24, n. 1, pp. 1-3.
Eurostat (2017), Fertility rate
Naldini M. (2018), Modelli e politiche sociali a sostegno dell’infanzia, in Minori e giustizia, n.3, pp. 23-35.
Openpolis (2019), La condizione dei minori in Italia
Satta C. (2014), Una città giusta è una città a misura di bambini? Note critiche su un immaginario urbano, in Mondi Migranti, n. 1, pp. 83-99.
Zelizer V. (2009), Vite economiche. Valore di mercato e valore della persona, Bologna, Il Mulino.
Note
[1] Pizzeria vieta l'ingresso ai bambini maleducati: "Colpa dei genitori, dovrebbero educarli", Il Mattino, 10 gennaio 2020
[2] Solo ultimamente il tema dell’infanzia e del sostegno socio-educativo dei bambini sin dalla nascita sta rientrando nell’agenda politica, dopo anni in cui le "politiche per l’infanzia sono rimaste “quasi congelate”, […] dapprima con l’istituzione del fondo per la povertà educativa con la legge finanziaria del 2015 e ora con l’articolo 42 del disegno di legge di bilancio 2020 e la proposta di legge 687 di Graziano Delrio e altri" cfr. Pavolini, Rosina, Saraceno (2019), Un’alleanza per l’infanzia, su la voce.info
[3] Si fa riferimento a tutti gli appelli e petizioni lanciati da parte di comuni cittadini, professionisti e organizzazioni impegnate nella tutela di bambini in condizioni di fragilità e vulnerabilità.