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L'Italia spende ancora troppo poco per i nidi. Serve un'offerta gratuita e universale per un'infanzia più serena e famiglie più forti. Un commento a partire dai dati

Vogliamo nidi gratuiti
e universali

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Foto: Unsplash/Amber Faust

Nonostante le risorse pubbliche destinate ai servizi per l’infanzia siano in crescita, l’Italia non ha ancora colmato il gap con gli altri paesi europei. Il bilancio di genere 2019 presentato in parlamento non fa che confermarlo. E, d'altra parte, i dati più recenti disponibili, relativi al 2015, parlano di una spesa pubblica per asili nido dello 0,08 per cento del Pil. Una delle cifre più basse in Europa (grafico 1).

Ad oggi, in Italia il 37% dei bambini nella fascia di età 0-36 mesi usufruisce di servizi di asilo nido, sia esso privato o pubblico. Tale percentuale, tuttavia, è una media che rivela una realtà assai eterogenea per fascia di età, come si osserva dal grafico 2. La quota di bambini che frequenta l’asilo nido nel terzo anno di vita è superiore al 40%, mentre la percentuale si abbassa alla metà nell’anno precedente fino a decimarsi nel primo anno di vita.

Se il costo è mediamente identico per ogni anno di età, la differenza sottende una domanda assai diversa per questo servizio, considerato non sempre ideale nel primo anno di vita del bambino.

Con la legge di bilancio dello scorso anno era stato annunciato che, dal primo gennaio 2020, il rafforzamento del bonus per gli asili nido avrebbe consentito la sostanziale gratuità degli asili nido per la grande maggioranza delle famiglie italiane. Ma è davvero così? Non proprio. Tale bonus, come anche il bonus bebè per i figli con meno di un anno di età, non può garantire la sostanziale gratuità in quanto l’importo massimo è parametrizzato all’Isee a copertura di una cifra variabile tra i 1500 e i 3000 euro l’anno. Tale cifra è più bassa della retta che molte famiglie devono pagare per l’accesso al nido. Ma, soprattutto, poiché il limite di spesa per il 2020 è di 520 milioni di euro, tale bonus garantisce una copertura potenzialmente molto inferiore rispetto ai bambini di età 0-36 mesi e anche alla quota delle famiglie che vorrebbero usufruire del servizio.

In questi giorni, sta procedendo l’iter parlamentare del disegno di legge per istituire un "assegno unico e universale per i figli". In questa fase di rinnovato interesse per il supporto pubblico alle famiglie, ci sembra utile una quantificazione della possibile universalità e gratuità dell’asilo nido valutandone gli effetti sul bilancio pubblico e sull’occupazione femminile.

Grafico 1 - Spesa pubblica per asili nido - % Pil

 

 

Grafico 2 - Modalità di cura dei bambini 0-36 mesi 

 

 

Fonte: ISTAT su dati EU SILC (2017)

Quanto potrebbero costare asili gratuiti e universali?

Vista la bassa propensione dei genitori a considerare una struttura come l’asilo nido adatta ad accogliere un neonato, consideriamo uno scenario in cui la famiglia provvede direttamente alla cura dei figli nel primo anno di vita, sostenuta da congedi parentali per entrambi i genitori o con il ricorso al voucher nido/baby sitter, che andrebbe esteso a carattere universale per tutte le famiglie in cui entrambi i genitori lavorino.

Il costo dell’estensione dell’attuale voucher (oggi pari, al massimo, a 600 euro mensili) a tutti i bambini i cui genitori entrambi lavorano ammonterebbe a 960 milioni. Il calcolo presuppone una durata di 8 mesi (ossia 12 mesi meno i mesi del congedo di maternità obbligatoria post partum, ipotizzando l’utilizzo del congedo un mese prima del parto) e circa 200.000 bambini, nati da genitori entrambi lavoratori o in cerca di occupazione. 

Quanto costerebbe, invece, l’universalità e la gratuità dell’asilo nido per i bambini nel secondo e nel terzo anno di vita? Partendo dalla cifra di 6.320 euro annui (Istat, 2019)[1] come costo medio per bambino, e considerando la platea dei bambini dai 12 ai 36 mesi (circa 870.000), il costo complessivo sarebbe di 5,5 miliardi, al lordo della spesa corrente già allocata.

Tale cifra è da considerarsi un limite massimo, in quanto, verosimilmente, l’universalità del servizio non riscontrerebbe l’interesse dal lato della domanda. L’universalità e gratuità del nido potrebbe essere un plausibile traguardo nel terzo anno di età, quando l'interesse delle famiglie di avvicinare i bambini al nido è maggiore, e garantirebbe un precoce avvicinamento alla scuola dell’infanzia, che ha coperture ben più alte, peraltro in parte motivate dalla più bassa compartecipazione al costo chiesta alla famiglie. 

Supponendo uno scenario più realistico che garantisca universalità e gratuità al terzo anno di età e, per il secondo anno di vita, la gratuità soltanto ai bambini figli di genitori entrambi occupati (o in cerca di occupazione) avremmo un costo lordo a carico dello stato di 4 miliardi.

Quale potrebbe essere l’effetto sull’occupazione femminile?

La riduzione, o addirittura l’azzeramento, della retta dell’asilo nido determina un maggiore salario netto a disposizione delle famiglie in cui i genitori lavorano. Considerando anelastica l’offerta di lavoro dei padri, è riconosciuto che l’offerta di lavoro femminile è particolarmente reattiva al prezzo della cura nei confronti dei bambini e, in misura molto minore, anche degli anziani.

Pertanto una drastica riduzione del costo della cura agirebbe nella direzione di aumentare l’offerta di lavoro. Di quanto? Recenti studi confermano che l’elasticità dell’offerta di lavoro delle donne con figli in età 0-3 è particolarmente elevata, con valori medi intorno allo 0,5 (ad esempio, un aumento del salario del 10% si tradurrebbe in un aumento dell’offerta di lavoro del 5%).[2]

Considerando un salario lordo medio delle donne con figli in età 4-36 mesi di 1400 euro al mese[3] a fronte di un costo per l’asilo nido pari al 45% del salario stesso, presupponendo l’intera cifra a carico della famiglia (come oggi avviene nei nidi privati), la gratuità del servizio dell’asilo nido determinerebbe, in termini medi un aumento di 13 punti percentuali del tasso di partecipazione delle donne con figli in età inferiore ai 3 anni.

Se la maggiore partecipazione si trasformasse in occupazione effettiva, l’occupazione femminile complessiva aumenterebbe di circa 100.000 unità, ossia dell’1 per cento. E tale stima è da considerarsi conservativa in quanto la maggior frequentazione dell’asilo nido da parte dei bambini genererebbe occupazione aggiuntiva in termini di insegnanti, oltre che di costruzione e messa a punto di nuovi locali adibiti al servizio di cura, innestando un circolo virtuoso di maggiore occupazione.

La maggiore occupazione, che avverrebbe con gradualità nel tempo, non si limiterebbe a un positivo impatto sul Pil e quindi a contribuire alla crescita economica del paese. Nonostante siano ben noti ma troppo spesso poco rimarcati, i benefici sarebbero incommensurabili. Soprattutto in un paese dove l'attitudine verso la parità di genere stenta ad affermarsi come norma.

Non solo, una maggiore occupazione femminile avrebbe anche una ripercussione intergenerazionale: il miglior predittore di una donna che lavora è l’aver avuto una madre che lavorava.

A fronte di un costo per la finanza pubblica relativamente contenuto, ma decisamente superiore all’esiguo ammontare oggi dedicato ai servizi socio-educativi per la prima infanzia, i benefici dal lato dell’occupazione e della crescita economica si sommano a quelli che i bambini otterrebbero dalla frequentazione di un asilo nido come ampiamente dimostrato in letteratura.

Tra le conseguenze della maggiore frequentazione del nido, si rileva un maggiore livello cognitivo e di socializzazione futuro, ciò con particolare evidenza sugli strati sociali meno alti degli utenti che risulterebbero i maggiori beneficiari di un'offerta universale. 

Note

[1] Tale cifra è la spesa media per utente dell’asilo nido, sia comunali che privati convenzionati e una media su tutto il territorio nazionale. Il costo potrebbe essere maggiore se si considerano solo i nidi comunali. 

[2] Figari e Narazani, Economia Politica, 2020

[3] Fonte EU-SILC 2018

L'articolo è anche su lavoce.info