Non è più possibile pensare al genere come a una categoria isolata, perché è inevitabilmente interconnessa ad altre categorie sociali come l’etnia e la classe. Da qui il termine intersezionalità

Di cosa parliamo quando
parliamo di intersezionalità

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foto Flickr/Fredrik Andersson

Negli ultimi anni il concetto di intersezionalità si è ampiamente diffuso nel dibattito accademico e politico. Le prospettive che tengono conto delle interconnessioni che ci sono tra i divari sociali e i fenomeni sociali complessi a cui si riferiscono sono chiamate in molti modi diversi: interrelazioni delle oppressioni, divari sociali multipli, determinazione reciproca, ibridazioni, oppressioni multiple, molteplicità.

La nozione di intersezionalità, o più precisamente di relazioni sociali intersezionali, non è nuova, anche se talvolta si è affermato il contrario, come, per esempio, quando è stata riscoperta per affrontare dei nodi problematici specifici, come le migrazioni razzializzate o le identità multiple.

Il termine intersezionalità è stato usato in molti modi diversi, per esempio per fare riferimento alle relazioni tra categorie sociali relativamente fisse, alla creazione di tali categorie e al loro costruirsi reciprocamente, ma anche al superamento delle categorie sociali stesse. Il termine può indicare questioni di identità o, più in generale, i processi e le strutture piccole o grandi di organizzazione, di società, transnazionali, oppure essere usato per problematizzare tali distinzioni.

Gli approcci all’intersezionalità variano da quelli che danno priorità a una divisione sociale dominante, ad esempio la classe, e ne “aggiungono” altre; un altro approccio può essere quello di utilizzare doppie o triple categorie di potere, per esempio classe, genere e razza; oppure modelli basati sulla molteplicità che includono l’età, le disabilità, la sessualità; o modelli multifattoriali. Alcuni di questi approcci si cimentano con costruzioni che analizzano le relazioni tra categorie condivise e piuttosto fisse; altri si concentrano su una visione che utilizza categorie provvisorie tipo “le persone la cui identità attraversa i confini dei gruppi tradizionalmente costituiti”; altri privilegiano una decostruzione delle categorie[1].

Il concetto di intersezionalità deve molto alla storia femminista e antirazzista. È stato, almeno a livello implicito, al centro del discorso del femminismo nero e del movimento antischiavista del diciannovesimo secolo, e probabilmente era già presente anche molto prima. Il famoso discorso Ain’t I a woman?[2] tenuto nel 1851 da Sojourner Truth  Isabella Baumfree (1797-1883) – alla Women’s convention di Akron in Ohio, è un buon esempio: può essere, infatti, interpretato come un accorato appello per una politica intersezionale.

Venendo a tempi più recenti, c’è un testo scritto dal collettivo di femministe lesbiche nere Combahee River Collective, attivo a Boston, negli Stati Uniti, tra il 1974 e il 1980, sul tenere insieme oppressioni, razzismo e identità:

Non appena le donne, in particolare […] le privilegiate donne bianche, hanno iniziato ad acquisire un potere di classe senza sbarazzarsi del sessismo che avevano introiettato, le divisioni tra donne si sono fatte più intense. Quando le donne di colore hanno criticato il razzismo all’interno della società nel suo complesso richiamando l’attenzione sui modi in cui il razzismo ha plasmato e influenzato la teoria e la pratica femministe, molte donne bianche semplicemente hanno voltato le spalle alla prospettiva della sorellanza, chiudendo le loro menti e i loro cuori. E questo è stato altrettanto vero quando si è parlato di classismo tra donne[3]

Probabilmente la studiosa più citata a proposito di intersezionalità è la statunitense Kimberlé Williams Crenshaw, docente di legge, nera e femminista, secondo cui non si può comprendere l'oppressione e la discriminazione delle donne nere considerando solo il genere o solo la razza: le due categorie si intrecciano, anche nel fare ricerche legali o analisi. Da qui, la metafora del crocevia, cioè dell’incrocio di strade:

... un'analogia con il traffico di un incrocio, che viene e va in tutte e quattro le direzioni. Così, la discriminazione può scorrere nell’una e nell’altra direzione. E se un incidente accade in corrispondenza di un incrocio, può essere stato causato dalle macchine che viaggiavano in una qualsiasi delle direzioni e, qualche volta, da tutte. Allo stesso modo, se una donna nera si fa male a un incrocio, il suo infortunio potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale [...] Ma non è sempre facile ricostruire un incidente: a volte i segni della frenata e le lesioni semplicemente stanno a indicare che questi due eventi sono avvenuti simultaneamente; dicendo poco su quale conducente abbia causato il danno.[3] 

Molte altre femministe nere, come Patricia Hill Collins, Angela Davis, bell hooks e Audre Lorde, hanno ulteriormente sviluppato questo approccio. 

Allo stesso tempo, il concetto di intersezionalità può essere inteso come una rielaborazione di alcuni temi ricorrenti nella scienza sociale modernista, come quello del posto che occupano individui e gruppi all’interno di società complesse e multidimensionali. I "padri fondatori" della sociologia - Marx, Weber, Durkheim - hanno privilegiato rispettivamente: classe, frazioni di classe e fazioni; relazioni multipe di potere; industrializzazione e interdipendenza delle divisioni del lavoro nella solidarietà organica. Il pensiero intersezionale di Weber emerge con chiarezza negli scritti sull’intersezione tra classe, stato e partito.

I dibattiti sull’intersezionalità derivano anche dalla seconda ondata del femminismo degli anni ’60, soprattutto quelli intorno alle intersezioni tra genere, etnia/razza e classe: le “tre grandi” categorie. Le ispirazioni sono arrivate dagli studi e dai movimenti sulla disabilità, dagli studi che hanno messo in discussione il maschile e da quelli su genere, sessualità e altre intersezioni nei luoghi di lavoro. È difficile studiare il genere nelle organizzazioni senza esaminare le intersezioni che si creano tra posizione organizzativa, gerarchia, status, classe, occupazione, professione, e così via. 

Il concetto di intersezionalità potrebbe essere compreso più a fondo da un punto di vista geografico, geopolitico, globale, antimperialistico, transnazionale, translocale e postcoloniale. Helma Lutz, ad esempio, ha sviluppato elaborati schemi multidimensionali[4] che includono più “livelli di differenza” quali genere, sessualità, razza/colore della pelle, etnia, nazione/stato, classe, cultura, capacità, età, sedentarietà/origine, ricchezza, Nord/Sud, religione, fase dello sviluppo sociale. L'elenco è potenzialmente sconfinato.[5]

L’intersezionalità è sempre più spesso un elemento dello sviluppo di politiche di parità (“equality+”), anche grazie al lavoro delle Nazioni Unite e dell'Ue – si pensi alle direttive per combattere le discriminazioni e alle iniziative a livello regionale, nazionale e locale, alle politiche e al management delle diversità[6]. 

Le politiche possono, di conseguenza, diventare più complesse, ma anche oscurare le dinamiche centrali di genere, di etnia/razza e di classe. Uno degli effetti sfortunati e permanenti di alcuni, forse molti, approcci intersezionali è proprio la scarsa attenzione che viene riservata alle differenze di classe.

È particolarmente interessante capire in quali tempi, luoghi e situazioni si verificano le intersezioni, e quali intersezioni si prestano maggiormente all’attenzione e allo sviluppo delle politiche. Il pensiero intersezionale è stato recentemente esteso a questioni ambientali, come quella dei cambiamenti climatici e dei trasporti. Potremmo dire che nelle analisi di tipo sociale, nello sviluppo delle politiche o delle identità, storicamente l’intersezionalità c’è sempre stata, che fosse visibile o meno.  

Note

[1] McCall L., The Complexity of Intersectionality, Signs: Journal of Women in Culture and Society, 30, 2005, pp. 1771-1800

[2] hooks b., Feminism is for Everybody: Passionate Politics. Cambridge, MA: South End, 2000

[3] Crenshaw K., Demarginalizing the Intersection of Race and Sex, University of Chicago Legal Forum, 4, 1989, pp.139-167

[4] Lutz H., Intersectionality’s (Brilliant) Career – How to Understand the Attraction of the Concept? Frankfurt: Institute of Sociology, Goethe University, Frankfurt, 2014

[5] Yuval-Davis N., Intersectionality and Feminist Politics, European Journal of Women’s Studies, 13(3), 2006, pp. 193-209

[6] Hearn J., Louvrier J., Theories of Diversity and Intersectionality: What Do They Bring to Diversity Management? In Regine Bendl, Inge Bleijenbergh, Elina Henttonen and Albert J. Mills eds. The Oxford Handbook of Diversity in Organizations. Oxford: Oxford University Press, 2015 

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