Una donna forte, con un percorso di vita ricco e articolato, proveniente dall'America Latina alla direzione della neonata gender entity. Michelle Bachelet rappresenta l'impegno delle Nazioni Unite per un mondo a misura di donna.
Bachelet, le donne e le Nazioni Unite
“L’uguaglianza di genere deve diventare una realtà vissuta”, con queste parole Michelle Bachelet ha avviato meno di un anno fa il suo incarico da direttrice della nuova “gender entity” delle Nazioni Unite: UNWOMEN. Non è una affermazione da poco anche per il personaggio che l’ha pronunciata. Presidente del Cile dal 2006 al 2010, dopo essere stata ministra della salute e della difesa nei precedenti governi socialisti. Vittima a venticinque anni della tortura nelle prigioni di Pinochet poiché militante socialista e figlia di uno dei più stretti collaboratori del presidente Allende, la Bachelet ha seguito il destino dei profughi politici cileni negli anni settanta, prima in Australia e poi in Germania.
Nella sua biografia quello che si nota non è tanto il curriculum di pediatra impegnata per la salute delle popolazioni più disagiate, in particolare le donne, quanto la frequentazione, a metà degli anni novanta, dell'Accademia nazionale di studi politici e strategici del Cile e il master in strategia militare ottenuto all' Inter-American Defense College degli Stati Uniti che segna un passaggio determinante nella sua carriera politica.
Un curriculum complesso che indica come la Bachelet sia un’esponente di rilievo di quella rinascita latinoamericana di cui tanto si è discusso nel corso degli ultimi anni. In più, lei fa parte del numero ridotto, ma pur sempre importante, di donne del sud del mondo che sono divenute leader dei loro paesi dimostrandosi in qualche modo esemplari perché lo hanno fatto in “prima persona”, cioè mantenendo la loro autorevolezza e la loro autonomia di donne, pur attraverso il percorso dell’emancipazione.
Forse per questo motivo l’incarico alla Bachelet fa sperare le reti femministe transnazionali in una possibile ripresa da parte delle Nazioni Unite di nuove e più efficaci politiche per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne. Infatti, dopo anni di discussione per la definizione di una nuova “architettura di genere” si è scelto di puntare su un’unica gender entity per l’affermazione dei diritti delle donne e del loro ruolo nei contesti di sviluppo. Per questo si è varata la UNWOMEN che riassume al proprio interno le funzioni giuridiche per l’attuazione delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani e quelle di valorizzazione del ruolo delle donne nei processi di sviluppo. Un’unica nuova struttura che si vorrebbe politicamente incisiva e che comunque rappresenta una novità nel panorama delle Nazioni Unite proprio per la sua natura ibrida di ente politico e gestionale.
Il solo problema è che tutto questo avviene in un momento in cui la crisi ha falcidiato i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo e anche il dibattito internazionale sull’efficacia dell’aiuto si mostra troppo tecnico e incapace di tenere sufficientemente conto degli spostamenti prodotti dalle azioni collettive delle donne nella trasformazione dei differenti contesti in cui si trovano a vivere.
È infatti innegabile, che, nonostante il moltiplicarsi delle esperienze e l’accresciuta partecipazione delle donne alle vicende politiche nazionali e internazionali, le istituzioni multilaterali e le politiche di governance della cooperazione allo sviluppo tendono ancora a “marginalizzare” le loro voci autonome. Anche le Nazioni Unite spesso leggono le donne solo come vittime, oggetto di diritti, ma non soggetti di politiche attive. Più spesso ancora cercano di “addomesticarle” all’interno degli apparati di gestione dell’ aiuto pubblico allo sviluppo sempre più definiti sulla base di meccanismi economico finanziari che relegano il loro agire politico in un sociale totalmente subalterno ai meccanismi della crescita quantitativa, senza dare sufficiente attenzione alla sfera della riproduzione che è essenziale nella lotta alla povertà.
Sotto questo profilo la personalità e l’esperienza di vita di Michelle Bachelet potrebbero essere determinanti per ritrovare lo slancio politico necessario a valorizzare quanto le donne possono fare nell’attuale fase della globalizzazione. Chissà se questa splendida sessantenne ce la farà a fendere la “melma burocratica” di cui una politologa femminista parlava agli inizi degli anni novanta. La strategia che UNWOMEN dovrà presentare al board dell’UNDP (il programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite) tra un paio di mesi forse potrà dare una prima risposta.