... hanno solo tre nidi in tutta la città. Storie dal sud e dal nord, raccolte da Chiara Valentini nel libro: "O i figli o il lavoro". Un titolo che non ha bisogno di spiegazioni

I bambini di Messina...

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"O i figli o il lavoro" di Chiara Valentini, in libreria dal 7 marzo, è un libro fitto di storie, raccolte dall'autrice in giro per l'Italia. Ne abbiamo scelte due, da Cinisello Balsamo a Messina, che proponiamo alle lettrici e ai lettori di inGenere come "assaggio" del bel volume, in libreria in questi giorni (ed. Feltrinelli, con prefazione di Susanna Camusso).

La figlia segreta

(...) Ho sentito come un’eco di queste vecchie violenze in un’altra storia che mi è stata raccontata dalla sindacalista Maria Quarato, della Cisl di Cinisello Balsamo, cittadina del terziario avanzato a due passi da Milano. Chiameremo Gloria la donna bionda ed elegante che una mattina è entrata nell’ufficio della Quarato e con aria smarrita ha chiesto aiuto per una vicenda quasi incredibile. Un caso, il suo, dove in gioco non c’era come per Rosalba la sopravvivenza, ma una posizioneprofessionale di prestigio da non perdere. Segretaria particolare del direttore di una grande azienda dell’hinterland, Gloria non aveva mai sentito improperi e minacce contro le donne gravide da parte di quell’impeccabile manager. Ma lamentele sì, e molto frequenti, nei confronti della precedente segretaria, che aveva avuto la pessima idea di rimanere incinta, sconvolgendo tutti i ritmi di lavoro. Sia pure con un certo tatto, nel colloquio di assunzione le era stato chiesto se la maternità rientrava nei suoi programmi. “Non ci penso proprio, non sono neanche sposata,”aveva risposto lei in tutta sincerità. Ma quando poi era successo l’imprevisto aveva capito che a quel figlio non voleva rinunciare. Sì, ma come dirlo al capo? Come fare a non perdere quel lavoro di prestigio? Come tenere insieme la felicità privata e il posto? Aiutata da un corpo alto e slanciato e con la complicità di una sarta, Gloria aveva nascosto la gravidanza fino all’ottavo mese, ricorrendo anche a piccoli sotterfugi. Cercava di farsi vedere il meno possibile in giro per i corridoi, si informava con qualche collega sulle nuove cure dimagranti, per mandar via quei chili di troppo di cui aveva cominciato a lamentarsi. Nessuno aveva avuto sospetti. Poi si era presa un mese di ferie, aveva partorito ed era tornata in ufficio come se niente fosse successo. La sua bambina segreta, essendo nata nel nuovo millennio, non era stata mandata a balia in una cascina di campagna ma affidata a una costosa baby-sitter.
Il cortocircuito era scattato un paio d’anni dopo, quando l’azienda aveva deciso di aprire un nido aziendale. Nel frattempo il capo di Gloria era andato in pensione, altri dirigenti erano stati trasferiti e lei aveva pensato troppo ingenuamente che non ci fosse niente di male a chiedere un posto per quella figlia fatta a sue spese, senza creare problemi a nessuno. Ovviamente si sbagliava.“Ma scusi, da dove viene fuori questa bambina?”, le aveva chiesto allarmata la responsabile del nido, non trovando nessun documento aziendale sul congedo di maternità. Investito del caso, l’ufficio del personale era entrato nel panico. Non per niente l’Italia ha ancor oggi una delle migliori leggi di maternità d’Europa, dove fra l’altro sono previste responsabilità penali per chi fa lavorare una gestante nel periodo di astensione obbligatoria. E così quei dirigenti dovevano aver pensato che la soluzione migliore era licenziare la mamma della bambina fantasma, colpevole di un reato ancora privo di definizione. Potremmo chiamarlo
reato di maternità abusiva?

(dal cap. 1, "Ma che storie sono queste...")

I tre nidi di Messina
Purtroppo, verso la fine della mia inchiesta, ho dovuto rendermi conto che casi scandalosi come quello filmato da Regina, la ragazza precaria a cui un’impiegata comunale aveva consigliato di non far riconoscere il figlio per avere il posto all’asilo, cominciano a venire alla luce anche altrove. A Milano mi hanno raccontato vicende simili, e anche le cronache locali dei quotidiani ne hanno parlato, sia pure senza fare nomi. Siamo insomma in una situazione di non rispetto anche drammatico dei diritti dei più piccoli, nel quadro di emergenza delle loro madri. Qualunque governo responsabile se ne sarebbe fatto carico. La destra al potere negli ultimi anni non solo non ha cercato di migliorare l’offerta dei nidi, ma, al contrario di altre destre europee, ha addirittura chiuso il rubinetto dei fondi. Nel 2011 infatti è scaduto il Piano nidi straordinario, introdotto nel 2007 dal breve governo Prodi, che aveva aperto le porte dei nidi a 30 mila nuovi bambini.. Ma gli stanziamenti non sono stati rinnovati e la voce stessa è scomparsa, salvo qualche risorsa ormai in esaurimento del Fondo per la famiglia. Così molte città, già alle prese con i conti sempre più in rosso, hanno fatto la scelta certo discutibile di affidare in convenzione una parte dei nidi comunali a prezzi troppo bassi. Le conseguenze sono note: rette più care per le famiglie, orari più corti, educatori non più stabili ma precari e malpagati, che devono gestire gruppi più numerosi di bambini, con il calo di qualità che è facile immaginare.
Per una volta tanto il popolo dei nidi ha però alzato la voce. A Roma il sindaco Alemanno era stato sommerso dalle proteste per le convenzioni al prezzo stracciato di 475 euro mensili a bambino, contro i 700 giudicati necessari dal Cnel per garantire una qualità accettabile. A Bologna, la città dell’eccellenza di questi servizi, le mamme sono scese in piazza assieme ai loro piccoli munite di fischietti per difendere i nidi comunali. A Firenze sono state le educatrici a presentarsi nel giorno di apertura vestite a lutto. Ma i risultati sono stati scarsi. Dice Silvia Sgarzi, una bolognese di 36 anni, impiegata di banca e madre di una bimba di un anno e mezzo: “Oltre ai disagi per la scomparsa delle educatrici pubbliche a cui la mia bimba era affezionata, mi trovo con una retta aumentata a 570 euro al mese, come una rata del mutuo. Se questo succede nella capitale del welfare non riesco a immaginare che cosa può capitare altrove”.
La risposta non è difficile, altrove può andare molto peggio. Può capitare, come a Messina, che l’offerta sia irrisoria, tre nidi con meno di 100 posti per 9500 bambini, numeri che peraltro sono abituali in Sicilia e in buona parte del Sud. “Quello che mi fa arrabbiare di più è che non dipende solo dalla mancanza di fondi,” mi racconta Mariella Crisafulli, una sindacalista piena di passione, segretaria della Cisl di Messina e consigliera di Parità. Il paradosso di una città dove fra le donne giovani solo una su cinque ha un lavoro è che quegli aiuti preziosi che sono i nidi potrebbero essere almeno il triplo, se solo si usassero i fondi pubblici già stanziati per aprirli. Invece qualche anno fa alla Provincia, e più recentemente all’Azienda trasporti, gli amministratori hanno respinto al mittente i finanziamenti regionali per i nidi d’azienda, un dono del cielo per le impiegate mamme. Già, ma per quale ragione? “Ho denunciato l’irresponsabilità di quegli amministratori, che fra l’altro potevano creare nuovi posti di lavoro. Ma finché ci saranno solo uomini a comandare andrà sempre così,” dice con amarezza Mariella Crisafulli. Non è andata meglio al comune, che dopo aver fatto un convegno di due giorni sulle “tagesmutter” – le mamme di giorno – non aveva più dato segni di vita. La sindacalista aveva anche scovato un bando per aprire nuovi nidi negli uffici delle amministrazioni pubbliche, con finanziamenti di 360 mila euro per ristrutturare i locali e di 144 mila per l’attrezzatura. Lo aveva segnalato al tribunale di Messina, dove le giovani donne non mancano.
“Un nido? Ma non sappiamo dove metterlo, dovremmo spostare degli uffici. E poi a che cosa serve?” era stata la risposta.
Non sono da meno le aziende private, che per aprire nidi aziendali potrebbero attingere ai finanziamenti della legge 53 del 2000, ma finora sono state restie a farlo perché preoccupate dalle ispezioni. Per superare il problema si è introdotta una modifica che permette l’autocertificazione. Ma neanche questo almeno per ora è servito. E i nidi di Messina restano sempre tre. Dunque, Messina pecora nera del Mezzogiorno? Purtroppo non è così. Da un accurato rapporto, non ancora pubblicato ma che ho potuto
consultare, su come sono stati usati i fondi del Piano nidi straordinario, risulta che quasi tutte le regioni meridionali, con l’eccezione di Puglia e Molise, non erano riuscite a utilizzare quei soldi e a migliorare almeno un po’. Invece le regioni che già erano ai primi posti sono andate avanti, aumentando ancora di più la disparità. Il paradosso, insomma, riguarda buona parte del Sud.

(dal cap. 10, "I bambini non sono numeri").

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano