In un libro in memoria di Isa Coghi, ginecologa, racconta una vita dedicata alla cura del corpo femminile, delle sue mancanze e delle sue pienezze. All'insegna di una filosofia nella quale scienza ed etica non sono in contrapposizione, né impongono diktat
Isa Coghi, un grande medico per le donne
"Umanesimo femminile". Sotto questo titolo, un volume di testimonianze personali, riflessioni e contributi scientifici rende omaggio a Isa Coghi, della quale più di una ventina di autori (amici, allievi, colleghi e pazienti) racconta, ciascuno a suo modo, la storia. Nell’ultima parte circa una dozzina delle sue pubblicazioni scientifiche e alcuni scritti inediti completano la raccolta; è l’eredità di questo “grande medico”, come indica il sottotitolo, che viene trasmessa alle generazioni future. Un grande medico, spiega l’amica psicoanalista Stefania Turillazzi Manfredi nel suo intervento, è chi, oltre ad una conoscenza “assolutamente precisa della natura, sa che la natura, di per sè, ha delle grandi capacità riparative: il grande medico non si mette mai in contrasto con queste”. Chi l’ha conosciuta, come “Isa”, “Isabella Maria” o la “professoressa Coghi”, narra l’esperienza dell’incontro professionale, il vissuto di quel legame e il punto di riferimento che rappresentava, con l’intensità dei sentimenti forti: grande rispetto, molta nostalgia, affetto profondo e tanta stima.
La persona che ha suscitato tanto riconoscimento di valore era una ginecologa-endocrinologa, scomparsa nel 2008, che ha dedicato la sua vita alla cura. Cura del corpo femminile, delle sue mancanze (sterilità, aborto) e delle sue pienezze (procreazione) affrontate attraverso una filosofia di vita in cui la malattia era vista come intreccio tra la biologia del corpo e le tortuose vie della psiche.
L’amica di sempre, la regista Liliana Cavani, ricostruisce la ricerca di Isa Coghi della collaborazione con la psicoanalisi allo scopo di spingere le pazienti “ a trovare in se stesse la capacità e la forza di partecipare alla loro ‘cura’, non limitarsi a subire passivamente interventi chirurgici o chimici”. E l’amica psicoanalista Francesca Molfino ricorda che, negli anni a ridosso del dibattito sulla legge 194, partecipava alla discussione all’interno del movimento delle donne con piena “consapevolezza di quanto andassero tenuti presenti i processi psichici e non solo le informazioni anticoncezionali.”
Le viene attribuito il merito di aver ispirato la sua attività diagnostica e terapeutica di ginecologa e endocrinologa ai principi dell’”interezza del paziente” e della “capacità di ascolto” del medico. L’osservazione psicologica dell’interlocutore-paziente è stata un requisito necessario quanto l’esame clinico e i dati di laboratorio. A questi accompagnava lo scrupolo di una informazione chiara e la sensibilità di una comunicazione attenta alle caratteristiche dell’interlocutore: le due basi su cui fondare la fiducia e la qualità della relazione con la paziente. La caratteristica che deve sempre guidare questa relazione, è, nelle parole di Isa Coghi, “la capacità di condividere la sofferenza degli altri”. Compassione, non pietà che rimanda in qualche modo a una gerarchia tra chi la esprime e chi la riceve.
Professore di endocrinologia ostetrico-ginecologica all’università La Sapienza di Roma (1980-1998), responsabile del Centro sterilità e del Servizio di endocrinologia ginecologica (1968-1990) e primario del Servizio speciale di endocrinologia ginecologica (1991-1998) presso la stessa università, Isa Coghi affiancava a questo impegno l’esercizio della libera professione nello studio prima ai Parioli e poi al Lungotevere dell’Anguillara.
Le tre sezioni centrali del libro raccolgono le testimonianze degli allievi, dei colleghi e delle pazienti. Non è possibile riassumere tutte le immagini, i ricordi, gli insegnamenti e la qualità dell’interazione professionale che questi contributi offrono al lettore, ma solo evocare qualche frammento di questi racconti.
Francesco Maria Primiero, che fu suo specializzando agli inizi del 1977, poi collega e vicino di stanza allo studio, descrive il “metodo Coghi”, che consisteva nella scelta e collaborazione di superspecialisti in tutti gli ambiti rilevanti: ginecologi, endocrinologhi, chirughi, psicologi e psicoanalisti. Una “multidisciplinarietà interna” che la vedeva coinvolta in qualsiasi decisione e che le consentì di cogliere d’anticipo gli sviluppi più promettenti all’approccio alla sterilità e l’aborto abituale.
Carlo Sbiroli, passato anch’egli dalla figura di specializzando a quello di collega e poi vicino di stanza allo studio, ricorda l’insegnamento ricevuto con le parole di Isa: “la sfida non è quella di imparare una teoria o di eseguire una tecnica, questa te la insegneranno in sala parto e in sala operatoria. La vera sfida per un medico sta nel saper armonizzare tecnica e condotta, di coltivare e sviluppare una sensibilità particolare verso gli altri”. Come scrive sempre Sbiroli nell’introduzione alla parte del volume che raccoglie i contributi scientifici di Isa Coghi, la convinzione profonda che ha ispirato la sua vita professionale è che essere ginecologa significava essere in rapporto con le necessità delle pazienti in funzione dei cambiamenti della società che sono per lo stessa natura in continuo divenire. Su aborto, fecondazione assistita, sterilità, contraccezione l’ascolto dei bisogni dell’interlocutore doveva prevalere su ogni altra considerazione.
Sui grandi temi della bioetica, nella sua veste istituzionale come membro del Comitato nazionale per la Bioetica di cui faceva parte dal 1993, Isa Coghi ha dato importanti contributi su fecondazione assistita, tutela dell’embrione e l’eutanasia. Una “cattolica laica” - la definisce Carlo Flamigni - che credeva nel dialogo, da lei definito “non una gara nella quale una parte vince e una perde”, ma come ricerca di accordo e consenso. Non dava valore al principio cattolico secondo il quale vita sessuale e procreativa sono inscindibili; insieme a Flamigni scrisse contro l’idea che si possano utilizzare dati biologici per identificare il momento dell’esistenza della “persona”. Insieme sostennero che, data “l’impossibilità razionale di stabilire univocamente l’inzio della vita umana individuale”, “la conservazione di tali ovociti (allo stadio 2PN, cioè correttamente fecondati, n.d.r.) non possa ritenersi moralmente illecita”.
Sui temi quali la fecondazione eterologa, la difesa dell’embrione, l’impiego delle cellule staminali si assiste allo scontro tra chi si difende da intromissioni nella coscienza individuale e chi invoca l’obbedienza al comandamento religioso. Isa Coghi dava valore del confronto delle posizioni auspicava, per citare le sue parole, “una bioetica fondata sul riconoscimento, raggiunto soggettivamente per le più varie strade, di pochi principi essenziali e di un certo numero di diritti inviolabili”. Adriano Bompiani che ha condiviso l’esperienza del Comitato Nazionale per la Bioetica, ricorda come Isa Coghi “prendeva volentieri la parola allorché si trattava di aspetti personalmente osservati e gestiti nell’interesse di chi aveva chiesto l’aiuto assistenziale”.
A Emma Fattorini, che ha molto lavorato per questo volume (reso possibile, come lei stessa scrive grazie alla fattiva volontà soprattutto di Lucia Bartoli Valeri) il merito di aver fatto raccontare quale grande medico delle donne e per le donne sia stata Isa Coghi.
"Umanesimo femminile. Isabella Coghi, un grande medico tra scienza ed etica". Carocci, 2012