Welfare, diritti, tempo. I dilemmi del lavoro autonomo visti da dentro

Sono Francesca, ho 45 anni e traduco da 18

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Il testo che segue è la testimonianza di Francesca Pesce in apertura dell'incontro "La scossa del quinto stato", svoltosi a Roma l'11 maggio 2011, durante il quale l'associazione Acta ha presentato il suo manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione.

Sono Francesca, ho 45 anni e traduco da 18.

Passo le giornate davanti a uno schermo, digito parole di altri per farle capire ad altri. Trascorro le giornate in silenzio.

Ma no, non sono sola.

Come me, davanti a uno schermo, altri ed altre, che traducono e digitano… e parliamo, ci confrontiamo, ci aiutiamo. Facciamo rete. Siamo rete. Ogni giorno.

Il mio lavoro mi ha permesso di viaggiare, di impegnarmi, di informarmi, di scegliere gli orari e i momenti.

Il mio ufficio è il mio computer e si muove con me.

I clienti mi chiedono un servizio, io propongo le condizioni e trattiamo.

Il mio lavoro mi permette di avere con loro un rapporto alla pari, o almeno così mi sembra.

Pensavo di essere alla pari anche con lo Stato.

Per un po’ è stato così. C'erano alcune regole chiare e forse anche eque.

Io pagavo le tasse, a livelli corretti.

Pagavo i contributi, a livelli corretti.

Poi, credo che lo Stato abbia pensato che io – e tanti come me – più che cittadini, eravamo reddito.

E ha iniziato a cambiare le regole.

Così, mi sono ritrovata a pagare anche l'Irap, attorno al 5%. So che non mi spetta, ma non posso evitarlo. Infatti, riuscire a non pagare costa più che pagare. Anche se il mio ufficio si muove con me.

Otto anni fa ho deciso di avere un figlio. Ho potuto farlo e l’ho fatto.

E per la prima volta è stato l'Inps a pagare me, restituendomi una piccola parte di quel che avevo versato.

Ora non potrei più farlo.

Perché lo Stato ha continuato a cambiare le regole.

Per darmi l'assegno di maternità oggi, lo Stato mi chiede di giurare che smetto di lavorare per cinque mesi. Io, se smetto di lavorare per cinque mesi rischio di non lavorare più per anni. Perderei tutti i clienti.

Io un figlio ce l'ho già, ma le altre?

Sono una traduttrice. Sono una autonoma. Sono una partita Iva, ma prima di tutto sono una cittadina. E come cittadina voglio essere trattata, da questo Stato.

Ora sono io che voglio cambiare le regole, perché sono Francesca, ho 45 anni e traduco da 18.