Dall'inizio della grande recessione sempre più donne negli Stati uniti decidono di fare i figli degli altri per sbarcare il lunario

Uteri in affitto per pagare l'affitto

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Qualche mese fa il signor Zhu e sua moglie sono arrivati a Los Angeles, con un volo diretto da Pechino e centomila dollari in tasca. Non per comprare casa, o aprire un ristorante cinese, ma per affittare un utero. Ma nessuno, all’Egg donor & Surrogacy Institute, si è stupito più di tanto della loro scelta. È ormai da un anno infatti che coppie cinesi sbarcano in California, o in Oregon, alla ricerca di madri surrogate americane. Nel 2012 ben il 40 per cento delle richieste smaltite da Surrogate Alternatives di San Diego, solo per fare un esempio, veniva per l’appunto dalla Cina. Anche se poi, ovviamente, ovuli e sperma sono rigorosamente di casa, per la nuova borghesia di Pechino o Hong Kong, gli Stati uniti sono ormai una meta ambita. Tanto per cominciare, i nuovi bambini, visto che nascono su suolo americano, avranno in dono la cittadinanza americana.  Ma ciò che più conta per i loro genitori è la speranza, o quasi certezza, che tutto andrà bene. Gravidanza e poi parto sono garantiti dall’efficienza delle centinaia di agenzie specializzate e dal loro staff medico, in un paese in cui la pratica dell’utero in affitto è diffusissima. Basti pensare che anche Tagg Romney, uno dei figli dell’ex candidato repubblicano alla Casa bianca è diventato padre, ben due volte, in questo modo.  Adesso però, a far felici le ricche coppie cinesi, o americane, è arrivata la crisi economica. Perché dall’inizio della Grande recessione, sempre più donne scelgono di fare i figli degli altri per sbarcare il lunario.

Il boom è cominciato già nel 2008, assieme ai primi pesanti segni della crisi, ma anche adesso che le cose vanno meglio, la disoccupazione rimane alta in molti stati americani e affittare il proprio utero o vendere le proprie “uova” può servire a rimpannucciare le finanze della famiglia. Dei centomila portati dal signor Zhu, solo un terzo in realtà, andrà alla madre, il resto se lo mangeranno le spese mediche (strabilianti in questo paese) o le agenzie. Ma 20 o 30 mila dollari sono comunque un bel gruzzolo, si può accendere un mutuo e comprare casa, o più semplicemente un'auto nuova. Così a volte, come raccontava nel 2009, forse l’anno più buio della Grande recessione, Robin von Halle, presidente della Alternative Reproductive Resources, agenzia di Chicago, sono addirittura i mariti a telefonare e offrire l’utero delle mogli. “Quando la disoccupazione cresce è sempre cosi, il centralino impazzisce. Ci sono state settimane in cui ricevevamo fino a 60 telefonate al giorno”.

Così come è aumentato vertiginosamente il numero delle giovani donne, che vendono i loro ovuli. Pagate benissimo, dai 3 agli 8 mila dollari, una mano santa per tante studentesse alle prese con i debiti universitari. E se si hanno buoni voti, si può guadagnare anche di più. Perché le coppie in cerca di bambini sono disposte, come racconta Darlene Pinkerton, direttrice di A Perfect Match di San Diego, ad arrivare fino a 50 mila dollari nella speranza che il futuro figlio erediti le capacità intellettuali della donatrice. Non che vendere le proprie “uova” sia un’operazione così semplice o indolore, c’è sempre il rischio di un’infezione, anche se ovviamente le agenzie giurano che non succede quasi mai. E molte ragazze preferiscono correre il rischio piuttosto che essere costrette a lasciare il college.

Ma c’è anche chi sceglie di trasformare l’esperienza, soprattutto se si tratta di affittare il proprio utero, in una scelta occupazionale vera e propria. Moltissime donne infatti non si limitano a una sola gravidanza, anche perchè la seconda o terza volta che sia, il guadagno aumenta e non di poco. I futuri genitori amano l’idea di avere a che fare con un'“esperta”. Jeri Chambers, trentaquattrenne dell’Oregon è arrivata così addirittura alla settima gravidanza. Tre figli li cresce lei, gli altri quattro li ha venduti. Ma non si è fermata qui. Grazie alla sua ormai lunga esperienza, ha messo in piedi il Greatest Gift Surrogacy center. Così ora fa l’imprenditrice, anche se non esclude altre gravidanze in affitto, e molti dei suoi clienti vengono per l’appunto dall’estero. Magari dalla Francia o da Israele, e a volte sono coppie un po’ particolari. Al Northwest Surrogacy center di Portland ad esempio si sono specializzati, ora la maggioranza dei loro clienti è fatta di coppie gay. L’estate scorsa, accompagnati dai futuri nonni, sono arrivati in città due francesi, pronti a ricevere in dono il loro terzo figlio da una madre surrogata americana. E questo, giura John Chally, cofondatore dell’agenzia, sarà il mercato del futuro. Anche quando la ripresa economica americana sarà un po' meno anemica di quella attuale. Perché in effetti, crisi o non crisi, i paesi che concedono alle coppie gay di adottare o di affittare un utero si contano sulle dita di una mano.

Altri articoli sui temi della maternità surrogata, su questo sito:

Margaret J. Radin, "Il corpo del mercato, i mercati del corpo"

Yasmine Ergas, "Il mercato degli ovuli e quello delle pance"

 

La vignetta @Pat Carra è stata pubblicata su inGenere, settembre 2010