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La conoscenza si forma attraverso le parole. Con il glossario di Prossima inGenere vuole comporre un lessico minimo del mondo digitale. Molte espressioni ormai entrate nell'uso infatti restano spesso opache nel significato, il nostro obiettivo è quello di renderle più trasparenti. Oggi parliamo di coding

Coding

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Credits Unsplash/Anton Maksimov
glossario coding

Prestito integrale dall’inglese, che deriva a sua volta dal verbo to code: nella prima accezione, il verbo inglese corrisponde all’italiano “codificare, parlare in codice”, mentre in seconda battuta equivale a “scrivere programmi informatici, ovvero istruzioni”.

Su Treccani è registrato come neologismo a partire dal 2018, con il significato di “capacità di programmare, di apprendere la scrittura di un codice informatico per la composizione di un programma”, ed era già apparso come termine specialistico dell’informatica nei dizionari Zingarelli e Garzanti, rispettivamente nel 2016 e nel 2017, come sinonimo di “programmazione”.

La prima attestazione del termine con quest’accezione risale però al 2013, quando il Ministero dell’Istruzione decide di introdurre il termine coding per indicare una nuova materia di studio nelle scuole, volta a sviluppare le abilità informatiche e il pensiero computazionale, cioè quella capacità che consente di risolvere problemi complessi e analizzare dati con strumenti che si acquisiscono con lo studio dell’informatica. Nell’ottica di evitare fraintendimenti, dal momento che nella lingua italiana il termine “programmazione” reca altri cinque significati oltre a quello informatico, in ambito scolastico si è scelto di utilizzare coding per indicare la “programmazione informatica”, e il termine comincia ad avere una larga diffusione proprio con questo significato a partire dal 2014.

Coding era però registrato nei dizionari specialistici di informatica già a partire dagli anni Settanta, ma non con il significato di “programmazione”, bensì con quello di “codificazione”.

In inglese, ci sono infatti due termini distinti, coding e programming: il secondo è più ampio, perché indica il processo di creazione di un programma, che prevede una serie di attività fra cui il coding, che invece designa specificamente il processo di scrittura di un codice. Il prestito italiano odierno e di uso comune tecnicamente è quindi in realtà più simile all’inglese programming piuttosto che a coding, che indica la capacità di tradurre in codici il pensiero umano per impartire istruzioni a una macchina. In questo senso, il coding è complementare al pensiero computazionale.

Alla luce di ciò, secondo l’Accademia della Crusca, l’uso di coding per indicare la disciplina scolastica appare non adeguato, in quanto a scuola non viene di fatto insegnato agli studenti a scrivere righe di codici, né a programmare. L’opinione della Crusca è che sarebbe più appropriato utilizzare espressioni più trasparenti come fondamenti di informatica o principi di informatica.

Malgrado lo slittamento di significato nell’integrazione del prestito dall’inglese all’italiano, il termine coding descrive dunque un’attività di scrittura, che, in quanto tale, richiede l’utilizzo di un linguaggio specifico e condiviso. Non esiste tuttavia un unico linguaggio di programmazione: ce ne sono di diversi, a seconda dell’obiettivo al quale sono destinati.

Attualmente i più utilizzati sono Python e Java, che sono anche tra i più accessibili perché, a differenza dei linguaggi di programmazione tradizionali come C e Visual Basic, che richiedono a chi scrive il codice di comunicare in un linguaggio che sia direttamente compilabile dalla macchina, questi sono dotati di un interpreter, ovvero di un programma che converte un linguaggio di alto livello, cioè più astratto e più simile al pensiero umano, in linguaggio macchina.  

Per approfondire

Accademia della Crusca: parole nuove

Cambridge English Dictionary

TechCamp: Polimi

Treccani: neologismi

Una parola al giorno: coding

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