Opinioni

Donne e uomini non sono due gruppi contrapposti che si confrontano alla pari, e la violenza è la manifestazione di uno squilibrio di potere che struttura la relazione tra i generi. Lo mostrano bene i fatti degli ultimi giorni, che su questo squilibrio hanno molto da dire

Il silenzio
degli uomini

5 min lettura
privilegio maschi

#Nontuttigliuomini è un hashtag che ha avuto una notevole fortuna e che rappresenta la presa di parola di moltissimi uomini sulla violenza. #Nontuttigliuomini dice che ci sono uomini buoni (tanti) che non sono violenti e "trattano le donne con rispetto" e uomini cattivi che agiscono violenza. 

Diciamolo subito, è una lettura che non funziona: donne e uomini non sono due gruppi contrapposti che si confrontano alla pari, ma la violenza, secondo la definizione ufficiale della piattaforma di azione di Pechino, è la manifestazione di uno squilibrio di potere che struttura la relazione tra i generi, una relazione di dominazione degli uomini sulle donne.

Quando un uomo uccide una donna ha sempre già messo in atto molte altre forme di violenza. La violenza non è lo stupro, lo schiaffo, il controllo del telefono: non singoli gesti isolati, ma lo strumento del patriarcato per il mantenimento dello status quo che si nutre di moltissime forme di micro e macro aggressioni quotidiane e di una diffusa complicità sociale.

Uno status quo che costruisce la narrazione che lo legittima e che spiega perché, nonostante almeno una donna su tre abbia subito violenza, continuiamo a pensare che siano solo alcuni uomini cattivi e devianti ad agirla. La narrazione intorno alla violenza prevede una serie di luoghi comuni che servono proprio a poter pensare che riguardi singoli casi e non l’intero impianto delle relazioni di genere. In questo contesto, il femminicidio di Giulia Cecchettin contiene degli elementi per cui apre uno squarcio e mette in discussione i luoghi comuni intorno alla violenza. Luoghi comuni che sono funzionali ad allontanare la violenza, per poter dire "quest'uomo no", "mostrificarla" e non riconoscerla nelle nostre relazioni di prossimità. Questo avviene nonostante tutti i dati ci dicano che la violenza degli uomini contro le donne è un problema di prossimità. Sono principalmente gli uomini che dicono di amarci a essere violenti con noi.

Filippo Turetta è giovane, e anche Giulia Cecchettin lo era. Vedere la violenza agita da un ragazzo giovane va contro la retorica della violenza nelle relazioni come retaggio di un mondo antico, superato, in "bianco e nero" per citare un bel film recente, che non investe le giovani generazioni o lo fa solo in settori sociali considerati arretrati, quindi in qualche modo "vecchi".

Il secondo motivo per cui credo che questo omicidio abbia fatto breccia in un modo diverso nell'opinione pubblica: erano due studenti a un passo dalla laurea, benestanti, che hanno successo negli studi, non scapestrati, non drogati, non senza famiglia. 

Erano in un certo senso i figli, nipoti, vicini di casa d'Italia. E questo rende più difficile pretendere di non vedere la violenza che gli uomini intorno a noi agiscono. Tanto che, dopo la morte di Giulia, dopo il racconto intorno ai comportamenti di Turetta e il modo in cui la controllava si sono moltiplicate le telefonate al 1522, il numero nazionale antiviolenza.

Il terzo motivo: come spiega Flaminia Saccà, la stampa, di fronte alla violenza contro le donne, propone una narrazione che normalizza la violenza nelle relazioni private. Parlare del senso di colpa, e quindi della responsabilità di Giulia, parlare di lui come del bravo ragazzo che la porta al lago, la fuga d’amore, le cucinava i biscotti, la mamma gli stirava la tuta, il papà è un brav’uomo: uno schema narrativo che tenta di colpevolizzare lei e crea empatia con il violento avvallando la tesi del raptus, dell’impazzimento. A interrompere le narrazioni tossiche, la presa di parola della sorella di Giulia, Elena, che trasforma il lutto personale in un fatto politico, e dice che il re è nudo, Turetta non è impazzito: è il figlio sano del patriarcato. Elena Cecchettin con le sue parole apre di fatto uno squarcio sul maschile, e dice: "Turetta è uno di voi" e questo rende un po’ più difficile dire #nontuttigliuomini.

C'è un elemento che riguarda questo caso di cronaca e dice una cosa importante: lui le chiede di non laurearsi. Lei è più brava, più veloce. Lui non va male, ma lei è fortissima. Lui le chiede di aspettarlo. Giulia fa quindi due cose che Filippo vive come umiliazione, una frustrazione tremenda che non riesce a tollerare, la prima: lo lascia. E la seconda, che le sarà fatale: lo supera.

Questo ci racconta la grande resistenza degli uomini di fronte alla libertà delle donne. In una ricerca sulla dimensione economica della violenza, Bettio identifica come fattore di rischio di subire violenza il fatto di guadagnare di più. Come a dire: libertà sì, ma non troppa. Lavora, ma part-time, perché devi lavarmi i piatti. Insomma, la libertà delle donne va bene nella misura in cui non mette in ombra il primato maschile, un primato difeso, è il caso di dirlo, a ogni costo.

In questo contesto c'è un silenzio che pesa ed è il silenzio degli uomini. Attenzione, non dei singoli uomini: molti di loro hanno già parlato, soprattutto per sminuire e minimizzare, per delegittimare Elena Cecchettin. 

Manca invece una parola maschile che parli del privilegio di essere uomini nella nostra società, manca una parola collettiva che metta in discussione l'ordine costituito. Mentre le donne hanno trasformato l'esperienza del loro corpo in parola politica, del maschile sappiamo poco. 

E manca, soprattutto, una parola politica che racconti come trasformare la relazione con il proprio corpo e con le donne (e con i bambini e le bambine) possa essere una rivendicazione di vitalità e libertà.