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A fronte di sei milioni di disoccupati e di dati allarmanti sull'aumento della povertà, il governo spagnolo si occupa di aborto e controllo dei corpi delle donne. E lo fa tornando indietro fino al periodo franchista. Ecco cosa prevede la proposta di riforma presentata dal Partito popolare

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Le spagnole non ci stanno

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Perché io decido! Questo è il motto che la maggioranza delle donne, ma anche degli uomini spagnoli, ripetono non appena ne hanno l’occasione. Siamo scese in strada in centinaia di migliaia da tutta la Spagna per dire al governo che non siamo più disposte ad accettare limitazioni ai nostri diritti, che vogliamo poter decidere delle nostre vite e dei nostri corpi, e non vogliamo che in uno stato laico e di diritto si imponga un’ideologia cattolica e patriarcale. Insomma, non vogliamo la nuova legge sull’aborto. 

Da quando il Partito popolare ha vinto le elezioni politiche (con un 26,15% di astenuti) e ottenuto la maggioranza parlamentare, goccia a goccia ha cambiato radicalmente la legislazione. In poco più di due anni, facendosi schermo con la crisi economica e le richieste dell’Unione europea, a colpi di decreti, senza confrontarsi con le altre parti, senza rispettare la costituzione né ascoltare la cittadinanza ha ottenuto quello che nessun altro governo era riuscito a ottenere: due scioperi generali e la protesta delle cosiddette maree, manifestazioni di massa a difesa della casa, della salute e dell’educazione pubblica, del welfare, eccetera.

Oggi ci sono quasi sei milioni di persone disoccupate, una persona su quattro vive sotto la soglia di povertà. Secondo l’Istituto nazionale di statistica (Ine) le famiglie che arrivano a fine mese con molte difficoltà sono il 13%, e aumenta il tasso di povertà tra le persone tra i 16 e 64 anni, in età lavorativa e con bassi livelli di istruzione e formazione. Uno ogni quattro minori di 16 anni vive sotto la soglia di povertà e tra le persone immigrati questo tasso raggiunge il 43%. Il rischio di povertà ed esclusione sociale dei bambini e le bambine nelle famiglie monoparentali (formate nella loro maggioranza da donne) è del 45,6%, percentuale che cresce se i loro genitori hanno un basso livello di istruzione (57,6%) o se uno dei due (49,2%) è di origine straniera, secondo un rapporto Save the Children.

Tre milioni di persone vivono con meno di 307 euro al mese in condizioni di povertà estrema, sottolinea l’ultimo rapporto Caritas (1). L’organizzazione cattolica avverte che arriverà presto una seconda ondata di povertà ed esclusione sociale resa “più acuta dalle politiche di austerità e dai tagli conseguenti, dal prolungarsi della disoccupazione e dal prosciugarsi del sostegno economico”. Più del 44% delle famiglie non può permettersi le vacanze, più del 30% ha un mutuo e c’è un settore della popolazione in uno stato di povertà energetica (senza gas e senza riscaldamento in inverno) composto soprattutto da donne anziane. Il tasso di disoccupazione femminile è del 26,6%, (25,5% per gli uomini) (2) e il divario di genere nei tassi di attività attiva ai tredici punti percentuali il che mette in evidenza la maggiore difficoltà che incontrano le donne nell’accesso al mercato del lavoro salariato. Il potere d’acquisto è sceso del 30% negli ultimi tre anni (anche per chi ha un lavoro retribuito). Una situazione che percepiamo come sempre più precaria e resa più acuta dai tagli ai servizi pubblici che hanno aumentato il carico di lavoro di cura delle donne.

Lo smantellamento di uno stato di welfare ha un impatto fortemente negativo sulle donne in quanto cittadine, lavoratrici, utilizzatrici che vedono ridursi sempre di più le risorse pubbliche. Come se tutto questo non bastasse si aggiunge ora l’attacco patriarcale più grave degli ultimi trenta anni per uno stato che si definisce laico e di diritto. La Catalogna ha avuto una legge per l’aborto fin dalla II Repubblica (1936-1938), che venne poi revocata dalla dittatura franchista che proibì i contraccettivi e trasformò il diritto di scegliere in un delitto.  

In democrazia ci sono state due leggi (3): la “Ley Orgánica 9/1985” che ha depenalizzato l’aborto sulla base di tre presupposti, cioè “che ci sia un pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica  o per la sua salute psicologica”; nelle prime 12 settimane in caso di stupro o entro le 22 settimane nel caso in cui il feto sia portatore di “gravi tare fisiche o psichiche”; e la “Ley Orgánica 2/2010” in materia di salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria di gravidanza (attualmente vigente), che non si basa su alcun presupposto ma stabilisce alcuni limiti: si può abortire entro le prime 14 settimane, che diventano 22 se sussiste “un grave pericolo per la vita o la salute della donna” o “gravi rischi di anomalie per il feto” e in qualunque momento di riscontrino anomalie del feto incompatibili con la vita o nel caso in cui fosse portatore di malattie molto gravi e incurabili”. Non c’è bisogno che alcun medico certifichi i rischi per la salute della donna così come invece avveniva con la legge precedente. I dati: l’89,58% dei 118.359 aborti che hanno avuto luogo in Spagna nel 2011 sono avvenuti entro le prime 14 settimane e il 65,56% entro le prime otto (Ministero della Salute, servizi sociali e uguaglianza).

Ora il governo guidato dal Partito Popolare vuole approvare una nuova legge a protezione “della vita del concepito e dei diritti della donna incinta”, sostituendo una legge di termini con una di presupposti. Questo disegno di legge elimina la possibilità di abortire entro le prime 14 settimane (peggio che nel 1985), elimina il presupposto della malformazione del feto anche se incompatibile per la vita e conserva il presupposto dello stupro purché entro le prime 12 settimane, e anche quello di pericolo per la salute fisica e psichica della donna incinta, anche se introduce l’obbligo di produrre due rapporti firmati da professionisti diversi da quello con cui farà l’aborto. In caso di rischio per la salute psichica si deve dimostrare che ci saranno conseguenze di lungo periodo. Le donne di 16 e 17 anni hanno età “legale” per avere rapporti consenzienti ma non per abortire: hanno infatti bisogno del consenso dei genitori. Inoltre con la legge viene ampliato il numero di figure professionali che possono fare obiezione di coscienza e tutte le donne che abortiranno fuori da questo iter commetteranno un crimine, così come i professionisti che le aiutassero.

È ovvio che qualunque forma di legislazione sui diritti sessuali e riproduttivi genera conflitti e dibattito in termini morali ed etici. Ma è altrettanto evidente che in Spagna le lobby conservatrici e la chiesa cattolica stanno cooptando il potere politico e disprezzando il patto sociale e democratico che sancisce il diritto delle donne di scegliere se e quando diventare madri.

Si tratta di una riforma misogina, con una visione regressiva dei diritti delle donne, sottoposta ad una morale antica, fuori dal tempo e superata dalla maggioranza della popolazione. Esiste un grande movimento sociale, politico e professionale che rifiuta questa legge medioevale, composto da esponenti della comunità medica, dalle femministe, dalle sindacaliste, dalle donne della politica in maniera trasversale (dal centro, destra e sinistra). Per tutti noi è una riforma che ci allontana dall’Europa e va vista come un avvertimento per tutte le donne europee.

La lotta delle donne per decidere liberamente della propria sessualità e della propria maternità è stata una delle tappe più rilevanti del movimento femminista. Il diritto all’aborto è un diritto centrale nella costruzione democratica della nostra società, in qualunque paese.


NOTE

(1)  VIII Informe del Observatorio de la Realidad Social - Octubre 2013

(2)  I dati su popolazione attiva, disoccupata e occupata sono ripresi da Encuesta de Población Activa (EPA) e sono stati elaborati da Secretaria de la Mujer del Sindicato de Comisiones Obreras

(3) Si veda Secretaria de la Dona de Comissiones Obreras de Catalunya