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La sentenza della Corte sulle pensioni è motivata dai principi di solidarietà e uguaglianza. I numeri però ribaltano la prospettiva, dicendoci che la sentenza entra in conflitto con la stessa idea di equità insita nei principi costituzionali che vuole difendere

Pensioni, è questa
l’equità che vogliamo?

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foto via Flickr / Pensionate_DSC02165

Il governo intende disinnescare la 'mina' della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni con un rimborso parziale e forfettario, limitato alle pensioni inferiori ai 3.200 euro mensili lordi. Il rimborso sarà di gran lunga minore dell’indicizzazione effettivamente perduta, ossia del mancato recupero dell'adeguamento al costo della vita, e decrescente al crescere dell’importo della pensione (con una forchetta che va dai 278 ai 750 euro). Si tratta di una soluzione che, escludendo dal rimborso le pensioni più alte e dando e tutte le altre una cifra assai minore di quella che sarebbe stata dovuta, riduce l’impatto finanziario sulle casse pubbliche che una restituzione totale avrebbe avuto. Con una decisione che con tutta probabilità produrrà un nuovo contenzioso giuridico, il governo interpreta a suo modo le istanze di equità che tutto il dibattito seguìto alla sentenza della Consulta ha sollevato. Infatti la sentenza della Corte nel sottolineare che “l’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite”, ha fatto riferimento non tanto ai diritti acquisiti quanto ai massimi princìpi costituzionali: la “proporzionalità e adeguatezza” delle retribuzioni e dunque delle pensioni, in attuazione dei princìpi di solidarietà e di eguaglianza sostanziale degli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Tutti contenti, dunque? Possiamo dire che eguaglianza sostanziale ed equità sono salve? In realtà, in tutto il dibattito che è seguìto alla sentenza della Corte si è diffusa la sensazione che le cose stiano molto diversamente. Per esempio, potremmo chiederci: è equo e soddisfa il principio di eguaglianza sostanziale, il fatto che sia destinata adesso al rimborso parziale delle pensioni una somma che - almeno a parole – pareva essere destinata a misure contro la povertà (il cd. “tesoretto”)?  E cosa ne è, nell’attuazione della sentenza della Corte, dell’equità di genere e generazionale? Forniamo qui alcuni numeri per approfondire questi aspetti.

Equità di genere

Con la decisione cassata dalla Corte del dicembre 2011, la manovra Monti-Fornero limitò la protezione dall’inflazione solo alle pensioni inferiori a un importo pari a tre volte il minimo. Dunque, solo le pensioni più basse: tra queste c’è una grandissima prevalenza di pensioni di donne (come si è già evidenzialo, il gender gap pensionistico è più alto di quello salariale). Tra i beneficiari della restituzione prevarranno invece gli uomini. La tabella che segue evidenzia che se la mancata indicizzazione fosse rimborsata a chi riceve pensioni tra i 1.500 e i 3.000 euro lordi la platea dei beneficiari sarebbe maschile al 61% (anche se gli uomini sono un po’ meno della metà dei pensionati: dunque, molti più uomini che donne godranno del bonus-Consulta).

Si potrebbe dire che quest’effetto non è così pesante, poiché ci penserà la famiglia a compensare: le pensionate hanno spesso coniugi pensionati, e dunque salirà nel complesso il benessere familiare. Ma in ogni caso aumenterà il gender gap pensionistico (già superiore al 30% nel nostro paese) e non migliorerà la condizione relativa delle donne anziane sole, realtà crescente.

Equità tra generazioni

Appassiona di più il dibattito sull’equità fra generazioni, e per valide ragioni. Confrontiamo l’entità delle pensioni ritenute degne di protezione, e per le quali dunque adesso saranno stanziati 2 miliardi di risorse pubbliche, con quello dei salari medi dei giovani fra i 25 e i 35 anni.

Tra i 25-30enni che abbiano la 'fortuna' di stare alle dipendenze, stanno al di sotto o appena al di sopra dei 1200 euro netti al mese gli insegnanti, gli impiegati, gli addetti alle vendite, gli addetti ai servizi alla persona e molti operai. Ci fermiamo qui con un elenco che nella realtà sarebbe molto più lungo se non fosse problematico calcolare medie salariali per occupazioni e mestieri meno numerosi di quelli citati. Naturalmente in alcuni mestieri, quali gli addetti ai servizi di pulizia, si scende ben sotto i 1200 euro al mese (la media è di circa 800), mentre per stare un po’ meglio occorre essere ingegneri, chimici o altri professionisti con qualifiche scientifiche; oppure professionisti altamente qualificati in posizioni manageriali e amministrative. Anche in questi casi fortunati, però, non si va comunque, in media, al di sopra dei 1700 euro netti al mese se si è giovani.

Se prendessimo in considerazione anche le retribuzioni di tutti i giovani che lavorano fuori da un rapporto di lavoro dipendente, il confronto sarebbe ancora più svantaggioso. Certo, i più anziani hanno spese più forti per bisogni essenziali, come quello della salute (peraltro sempre meno coperte dal servizio pubblico). E certo, non è 'colpa' dei pensionati se i giovani guadagnano poco, e spesso è solo grazie all’aiuto dei genitori (nonni) pensionati che questi riescono ad andare avanti. Ma si può parlare di equità (e di conseguenza prendere misure di notevole impatto in termini di finanza pubblica) senza chiamare in causa questo baratro di equità tra le generazioni?

Equità tra famiglie e rischio di povertà

Il guaio è che i giovani tra i 25 ei 35 anni dovrebbero mettere su famiglia. Chi lo fa e guadagna tra i 900 e i 1300 euro netti al mese si ritrova a vivere in una famiglia che rischia di cadere in povertà nel 13% dei casi. Il confronto con il rischio di povertà delle famiglie in cui vivono i pensionati potenziali beneficiari del provvedimento della consulta è eloquente. Il rischio di povertà è pari all’1,4% per coloro che percepiscono pensioni nette tra i 1200 e i 1900 euro netti al mese (1500-2500 lordi); 0% per chi percepisce pensioni tra i 1900 euro e i 2300 euro (2500-3000 lordi).

Nei primi commenti alla sentenza della consulta si sottolineava l’imperizia 'giuridica' del legislatore che non  si era accorto del potenziale conflitto con norme costituzionali che tutelano non soltanto i redditi bassi ma anche quelli medio bassi. I numeri qui mostrati però ribaltano la prospettiva, dicendoci che  la sentenza entra in conflitto con la stessa idea di equità insita nei principi costituzionali che vuole difendere.

Con tutta probabilità, è difficile uscire da questa tragica contraddizione restando nel recinto del comparto previdenziale (nel quale peraltro proprio le ultime riforme – ben prima del blocco della indicizzazione – hanno aperto differenze generazionali profonde e improvvise). Per chiamare chi ha di più a pagare di più, e proteggere davvero chi ha di meno, bisognerebbe metter mano ad altri strumenti. A cominciare da quello fiscale: perché parlare di pensioni alte o basse come indice di maggiore o minore bisogno di tutela, ignorando che c’è una profonda differenza tra pensionati (e non) che hanno un patrimonio e quelli che non ce l’hanno? Se vogliamo parlare di equità, parliamone allora a tutto tondo. Riusciremo forse così a fare qualcosa di più che spostare un presunto "tesoretto" dai più poveri ai meno poveri.