Cambiamenti climatici e disuguaglianze di genere sono aspetti fortemente interconnessi. In una scheda ripercorriamo le tappe principali che hanno visto le donne entrare a far parte del processo decisionale internazionale sul clima nel corso degli ultimi vent'anni
Abbiamo già parlato di come il cambiamento climatico abbia impatti diversi sugli uomini e sulle donne, così come diverso è il ruolo che uomini e donne possono avere nel suo contrasto e, più in generale, nella lotta contro l’inquinamento e a favore dell’ambiente, a livello globale. Alla fine dello scorso anno, però, su questo fronte sono stati fatti dei progressi significativi, che abbiamo ritenuto rilevante riportare, dato che il tema in Italia fatica a trovare un suo spazio di primo piano.
Facciamo, allora, un passo indietro, cercando di capire come funziona la discussione e il processo decisionale, a livello internazionale, sulla materia della lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. Il contesto più importante è la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United nations framework convention on climate change – Unfccc).
La convenzione è un trattato internazionale, firmato nel 1992 ed entrato in vigore nel 1994, volto alla riduzione delle emissioni dei gas serra. Nel testo originale tale riduzione era prevista in forma volontaria e non obbligatoria. La convenzione prevedeva, tuttavia, che, in occasione delle “Conferenze delle parti” (Cop) che si sono tenute (e tuttora si tengono) annualmente, fosse possibile, per i paesi firmatari, adottare dei protocolli che ponessero limiti obbligatori per le emissioni. Il più noto di questi è il Protocollo di Kyoto, firmato nel 1997.
Andando a cercare, a partire dal 1995 (anno in cui si è tenuta la prima Cop), i primi riferimenti al ruolo delle donne nella lotta al cambiamento climatico o, più in generale, al tema della parità di genere, dobbiamo arrivare fino al 2001. In questa data, infatti, viene utilizzato per la prima volta il termine “parità di genere” nei lavori della convenzione. Tuttavia, più che rappresentare l’inizio di un processo lo potremmo descrivere come un caso isolato, dato che, negli anni successivi, non viene compiuto nessun sostanziale avanzamento su questo tema.
Nel silenzio generale sul tema del ruolo delle donne nelle policy discusse ma anche della rappresentanza femminile all’interno delle stesse Cop, passano altri otto anni: arriviamo al 2009 – vero momento di svolta – quando nasce, unendosi alle diverse constituencies (sostanzialmente, gruppi di interesse che rappresentano le proprie istanze specifiche all’interno dei lavori dell’Unfccc) anche il Women and gender constituency, che negli ultimi dieci anni è cresciuto come composizione e capacità di influenza.
I risultati non si sono fatti attendere. Ha senso raccontare questa storia anche per sottolineare come, a livello internazionale e per diverse tematiche, la creazione di gruppi di interesse formalizzati che portano la prospettiva delle donne e dell’uguaglianza di genere (uno dei più noti è il W20, all’interno del G20) ha permesso la conquista di una voce all’interno dei meccanismi decisionali e il raggiungimento di risultati significativi.
La prima Cop che registra un importante risultato concreto è la Cop20, che si è tenuta a Lima nel 2014. Qui è stato approvato un documento (decision 18/CP.20), conosciuto come Lima work programme on gender (Lwpg), che stabilisce un programma biennale per la promozione dell’equilibrio di genere e per il raggiungimento di una politica climatica che integri una prospettiva di genere. Il Lwpg prevede la promozione del gender mainstreaming e della partecipazione delle donne alle negoziazioni all’interno dell’Unfccc e individua anche diverse innovazioni molto concrete: propone, tra le altre richieste, anche la nomina di un gender focal point, un responsabile per queste tematiche, da parte del segretariato esecutivo, per guidare e assicurare l’implementazione del programma biennale, e riconosce la necessità di istituire un budget dedicato per il raggiungimento degli obiettivi. Vale la pena ricordare che dal 2013 viene stilato il gender composition report, nel quale viene registrata la rappresentanza di genere sia negli organi tecnici e negli organi decisionali dell’UN Climate Change sia nelle delegazioni nazionali alle conferenze annuali.
Nel 2016 si tiene a Marrakech la Cop22, durante la quale viene presa la decisione su Gender and climate change (21/CP.22): questa estende il Lima work programme on gender per altri tre anni e chiede espressamente la creazione di un gender action plan per “supportare l’implementazione delle decisioni e dei mandati relative alla prospettiva di genere all’interno del processo dell’Unfccc”.
Il gender action plan vede effettivamente la luce l’anno successivo, il 2017 (decision 3/CP.23). Si tratta di un documento che riconosce, da una parte, lo scarso progresso fatto dalle delegazioni per il rispetto di un equilibrio di genere tra i propri componenti e, dall’altra, la necessità di rafforzare la considerazione di una prospettiva di genere all’interno delle politiche adottate. Il documento si compone di cinque aree di azione prioritarie e contiene 16 attività specifiche per i due anni successivi alla sua adozione.
Il 2019 è stato l’anno in cui sia il gender action plan che il Lima work programme on gender hanno affrontato la loro prima revisione. Un’opportunità importante, che ha segnato uno dei pochi risultati positivi ottenuti alla Cop25. Nonostante i negoziati facessero temere un arretramento sui temi dei diritti umani e, in particolare, delle popolazioni indigene, il testo che è stato approvato è stato giudicato complessivamente in maniera positiva dalle associazioni che si occupano dei diritti delle donne nel cambiamento climatico.
Per capire meglio la strada fatta finora e le prospettive per il futuro, abbiamo intervistato Anne Barre, Coordinator su gender and climate policy nell’associazione Women engage for a common future (Wecf).
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